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Ancora sulle preferenze e in risposta a Filippo Facci.

Creato il 14 marzo 2014 da Cristiana

Filippo Facci scrive su Il Post che appoggerebbe il referendum che il deputato Marco Meloni vorrebbe proporre per reintrodurre le preferenze. Lo fa ricordando poi cosa accadde nel 1991 quando Craxi disse al paese di andare al mare e il PDS per fortuna portò 27 milioni di italiani a votare contro con affermazioni valide tutt’ora, anzi forse tra le affermazioni più valide di una classe dirigente che non ha spiccato né per vittorie neé per lungimiranza:

“«Espressione di populismo che fa leva sulla disaffezione popolare», discorsi sul clientelismo e sul voto di scambio, insomma gli stessi argomenti che ora imbraccia Forza Italia. Piero Fassino e Walter Veltroni parlarono delle preferenze come di «un fattore di competizione perversa e malsana tra candidati della stessa formazione, di lacerazione e indebolimento nel confronto con gli autentici avversari». Altri, come Fabio Mussi e Pietro Folena, paventarono «l’incremento delle spese elettorali, il proliferare delle pratiche clientelari, del malaffare e della corruzione, del voto di scambio e degli inquinamenti malavitosi», una «garanzia del predominio delle organizzazioni criminali»”

A parte che Facci dimentica che oltre alle preferenze esiste anche una forma elettorale “a collegio uninominale” che come è noto è la mia prediletta per il giusto equilibrio che viene distribuito al collettivo politico e al singolo candidato, l’affermazione che più mi ha fatto sorridere è la seguente:

“Anzitutto, un mix di preferenze e indicazioni uninominali è già ampiamente usato nelle elezioni comunali e regionali ed europee: e funziona. Quando si paventa il rischio di clientele, in secondo luogo, forse non è chiaro che le segreterie dei partiti sono considerate proprio questo: delle clientele, degli avventori al servizio di un venditore unico che si chiami Berlusconi o Renzi o altri ancora. Senza contare che, diversamente dai capibastone della Prima Repubblica, certi nominati le preferenze non sarebbero nemmeno capaci di andarsele a prendere: non saprebbero proprio come si fa. Poi ci sarebbe un terzo argomento, questo: i voti di scambio e le clientele sono una minoranza estrema, ed è assurdo che una maggioranza di italiani non possa esprimere una preferenza per via di un’estrema minoranza. Questa non è una nazione interamente di clientele, e tantomeno lo è il Sud. In qualsiasi caso l’erba cattiva si cerca di estirparla, mica si sospende tutto il raccolto.”

E’ verissimo che non tutto il Paese è clientelare. Infatti la % di chi esprime le preferenze rispetto al totale dei votanti in alcuni casi è bassa (partito più forte – e forte – degli eletti, vedi caso Piemonte), in alcuni casi è altissima (partito identificato con gli eletti e debole). In ogni caso la % totale degli italiani che esprime le preferenze sul totale dei votanti è bassissima, quindi di cosa parliamo? Di una minoranza che decide le persone con pesi decisi dalla maggioranza (studiare i maccanismi elettorali è affascinante, ma è materia da approfondire e da non liquidare con populismo). In entrambi i casi le preferenze si concentrano su pochi, quei pochi che hanno 100/200k per pagare una campagna elettorale e dotarsi della giusta visibilità rispetto ai componenti dello stesso partito. A Facci poi sfugge che quei soldi (spesso, non sempre, non nei casi di quei pochi singoli davvero visibili ed amati dal territorio, ma si tratta di rarissimi casi comunque di persone che hanno dedicato la vita alla politica o sono famosi per altri motivi) vanno restuiti e vengono restituiti sotto forma di marchette quando si governa: si finanziano progetti, si concendono appalti, si prendono decisioni x piuttosto che y.

La verità è che, a mio avviso, l’unica legge elettorale sana per il nostro Paese in questo momento è quella maggioritaria con i collegi uninominali a doppio turno. Ma che prima del sistema delle regioni è meglio l’Italicum con liste corte e collegi comunque piccoli. Le preferenze sono un guaio. Lo scandalo delle regioni e le molte marchette che si fanno spesso nei comuni ne sono la prova.

p.s. per fortuna il Paese non andò al mare e la storia di Craxi e di tangentopoli racconta semplicemente che non solo Craxi aveva torto ma era anche in malafede come la storia ha dimostrato.


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