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and the #OscarGoesTo

Creato il 23 febbraio 2015 da Signorponza @signorponza

Actress Supporting

È stata Kathy O’Hara nell’Ed Wood di Tim Burton, è stata Renee (ma anche Alice) in Strade Perdute di David Lynch, ma è per la lunga e fruttuosa esperienza in Medium che la conosciamo e si farà ricordare negli anni: sei stagioni, un Emmy, tre nominations al Golden GlobePatricia Arquette ritirerà un Oscar stanotte senza essere giovanissima (47 anni), senza essere filiforme, e proprio per questo sarà la vincitrice: perché per dodici estati si è fatta riprendere, un paio di settimane all’anno, a gestire una famiglia e un corpo che le cambiava sotto agli occhi, che invecchiava; Hollywood la celebra perché ha affrontato quello che tutte le attrici (ma anche gli attori) temono: il tempo. Ma sarà vincitrice anche per la blanda concorrenza che incontra in questa stagione: Meryl Streep mette in tasca la 19esima candidatura per un musical Disney in cui interpreta un’arcigna strega e una matrigna devota a Raperonzolo, alternando parlato a canto come le piace tanto fare, ingobbendosi, cotonandosi, ma senza lasciare particolare traccia; Keira Knightley si sforza ancora meno, ma ha azzeccato il film che piace a tutti e ha ricostruito un personaggio realmente esistito (Joan Clarke) a partire dall’unica registrazione audio che è rimasta – seconda nomination per lei dopo Orgoglio E Pregiudizio del 2005; Emma Stone invece è alla sua prima volta: snobbata per The Help, co-presentatrice delle nominations due anni fa, la big-eyes d’America esplosa col delizioso Easy A in cinque anni ha messo in porto un colpo dopo l’altro fino al Woody Allen di quest’autunno e al Birdman in cui sorprende se stessa più che noi. Ha un solo potente monologo: e vale tutto il film.

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Vincerà: Patricia Arquette in Boyhood

Potrebbe vincere: nessun’altra

Dovrebbe vincere: Emma Stone in Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’ignoranza)

Dovrebbe esserci: Tilda Swinton in Snowpiercer


Actor Supporting

Quello del caratterista J.K. Simmons (pronuncia: Simmons e non Saimmons) non sarà un volto alla dove-l’ho-già-visto perché per gran parte della carriera ha prestato, ai personaggi, solo la voce – nell’ultimo periodo, soprattutto ai giocattoloni Marvel Spider-Man e Hulk, e Korra. Si affianca un lunghissimo curriculum televisivo e accanto a Kyra Sedgwik il ruolo di Will Pope in The Closer. Per Whiplash dà il meglio di sé senza mai far nascere in noi il dubbio che non sia un vero pianista, un direttore d’orchestra, attingendo all’horror-coaching di Full Metal Jacket conducendo il batterista Miles Teller al quasi esaurimento nervoso, a una morte sfiorata, alle mani sbucciate, alle apparizioni pubbliche costrette – con una sequela di «fuck» da far imbarazzo a The Wolf Of Wall Street.  Ruolo altrettanto sulle righe ma decisamente più grottesco per Edward Norton, che porta il suo rigetto verso i supereroi dietro le quinte dei teatri di Broadway dove la telecamera di Iñárritu si muove senza sosta e lui, sostituto chiamato all’ultimo momento dal talento tanto grande quanto il suo temperamento, non si vergogna di mostrare le vesti meno eleganti. Terza nomination all’Oscar dopo Schegge Di Paura e American History X. Qualche tempo fa l’avremmo dato vincitore, mentre la doppietta mom-and-dad di Boyhood (e Ethan Hawke è stato candidato due volte come sceneggiatore!) è praticamente impossibile.

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Vincerà: J.K. Simmons in Whiplash

Potrebbe vincere: Edward Norton in Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’ignoranza) 

Dovrebbe vincere: J.K. Simmons in Whiplash

Dovrebbe esserci: Michael Fassbender in Frank

Directing

L’anno scorso non c’era gara perché Alfonso Cuarón aveva fatto l’impossibile: girare un film intero in una stanza per poi farci credere che fosse l’universo, con un’unica attrice, con il tempo della storia uguale al tempo del racconto. Ha iniziato una moda: quest’anno abbiamo da una parte un folle che per dodici anni, tutte le estati, ha ripreso un ristretto nucleo di attori a imbastire una famiglia nei suoi alti e bassi e dall’altra un folle che ha preso Hollywood e l’ha dissacrata nel luogo in cui Hollywood è malvista, il teatro di Broadway, parlando di ciò che a Hollywood sta a cuore, il supereroe (ma anche l’Oscar). Dei due, Richard Linklater, il primo, ha le spalle coperte da una sequela di premi – ma anche in questo caso, tutti tranne quello essenziale, il DGA dato dal Sindacato dei Registi, la gente del campo, la gente che conta, che è andato al folle numero due, Alejandro González Iñárritu: un unico pianosequenza (ma è finto) per tutta la durata della pellicola (tranne la fine). Sarebbe il secondo messicano di fila a vincere questa statuetta. All’Academy però pareva piacesse tanto il semi-sconosciuto Bennett Miller: Capote candidato al miglior film, Moneyball candidato al miglior film, ma questo Foxcatcher – Una Storia Americana no.

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Vincerà: Richard Linklater per Boyhood

Potrebbe vincere: Alejandro González Iñárritu per Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’ignoranza) 

Dovrebbe vincere: Alejandro González Iñárritu per Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’ignoranza)

Dovrebbe esserci: Paul Thomas Anderson per Vizio Di Forma

Editing

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Vincerà: Sandra Adair per Boyhood

Potrebbe vincere: Tom Cross per Whiplash 

Dovrebbe vincere: Tom Cross per Whiplash

Dovrebbe esserci: Kirk Baxter per Gone Girl – L’amore Bugiardo

Cinematography

Se Emmanuel Lubezki dovesse vincere come previsto, e come anticipato dal Sindacato dei Direttori della Fotografia Americano, sarebbe il secondo anno di fila perché già con un altro regista messicano, l’anno scorso, aveva contribuito al quasi en plein di Gravity. E siccome è il direttore della fotografia a muovere la telecamera (non lo sapevate, eh?) sarebbe un premio-conferma perché i lunghi piani-sequenza di Cuarón esplodono nel quasi-totale di Iñárritu – che tra l’altro di Cuarón è molto amico. La doppietta potrebbe essere una scusa per il premio annunciato e poi non assegnato a The Tree Of Life di Malick. Il mondo però si chiude nel dolore di Roger Deakins: dodici (12) candidature a vuoto tra cui Le Ali Della Libertà e molti film dei fratelli Coen, che scrivono questo Unbroken, fotografato benissimo, quasi dipinto, ma che è proprio la pellicola sbagliata, non tanto per colpa della Jolie regista. Interessante soprattutto il lavoro della coppia Lukasz Zal & Ryszar Lenczewski su Ida, che riprendono a colori e poi digitalizzano il bianco e nero a partire da un attento lavoro sulle luci. Ma è Dick Pope che sorprende: a volte, nel biopic su William Turner, ci si confonde tra quelli che sono i quadri e quelli che sono i paesaggi, tale è la poesia con cui vengono resi; si aggiungono riferimenti seminati ovunque sugli oli di altri pittori.

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Vincerà: Emmanuel Lubezki per Birdman O (L’imprevedibile Virtù Dell’ignoranza)

Potrebbe vincere: Roger Deakins per Unbroken

Dovrebbe vincere: Dick Pope per Turner

Dovrebbe esserci: Darius Khondji per C’era Una Volta A New York

Foreign Film

Pochi sanno che: per la categoria del film straniero ogni anno ogni Paese sceglie un film e lo manda all’Academy oltreoceano, un film soltanto, e i giurati degli Oscar li guardano in sequenza, due o tre al giorno, e nella confusione generale delle lingue e delle proiezioni poi pubblicano una lista, a gennaio, delle nove pellicole “semifinaliste” a cui segue, dopo qualche settimana, l’eliminazione di quattro. Quest’anno l’Italia (una commissione appositamente creata) ha scelto di mandare in America Il Capitale Umano, che ai nostri David ha soffiato il miglior film a La Grande Bellezza. Un thriller sulla Brianza? Agli americani piacciono le cartoline del Bel Paese e infatti il capolavoro di Virzì non ha fatto nemmeno la shortlist; l’aspetto curioso è che non l’abbiano fatta neanche i mostra sacri usciti da Cannes: la Palma d’Oro Il Regno D’inverno, il Premio della Giuria Mommy, il ben recensito Saint Laurent, i fratelli Dardenne che non hanno proprio una data di uscita USA e sono stati accontentati dalla candidatura della Cotillard come attrice – a questo punto non ce l’avrebbe fatta neanche il nostro Le Meraviglie proveniente da quella kermesse, per cui io tifavo. La lotta, estromesso anche Force Majeur, è tutta tra il polacco Ida (dell’inglese d’adozione Pawel Pawlikowski), qualsiasi premio ricevuto in Europa, e il russo Leviathan, Golden Globe a sorpresa e l’amore dei critici. Terzo posto per Timbuktu, prima nomination per la Mauritania, incetta di César, mentre la pellicola Unicef Mandarini (Estonia) e l’almodovariano Storie Pazzesche (Argentina) fanno da tappabuchi accontenta-tutti.

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Vincerà: Ida di Pawel Pawlikowski (Polonia)

Potrebbe vincere: Leviathan di  Andrey Zvyagintsev (Russia)

Dovrebbe vincere: Ida di Pawel Pawlikowski (Polonia)

Dovrebbe esserci: Mommy di Xavier Dolan (Canada)

Original Score

Di padre francese e madre greca, Alexandre Desplat fa doppietta (all’annuncio delle nominations hanno tutti riso) venendo candidato sia per il film hypster dell’anno che per quello queer: è con Grand Budapest Hotel che ha maggiori possibilità perché, ricalcando la vita dello scrittore austriaco di cui si narra, ha attinto ai suoni e agli strumenti balcanici per ambientare le note in quei paesaggi senza decontestualizzarle. All’annuncio delle nominations hanno tutti riso perché con queste due candidature raggiunge quota otto: dal 2007 quasi incessantemente si è visto nominare per The Queen, Benjamin Button, Il Discorso Del Re, Argo. Nel curriculum ha anche lo spartito sopraffino di Reality del nostro Matteo Garrone, e del suo futuro Il Racconto Dei Racconti che dovrebbe passare da Cannes. Ma il Golden Globe è andato a Jóhann Jóhannsson per il composto biopic La Teoria Del Tutto. E si aggiunge Hans Zimmer, grazie al quale Interstellar sta in piedi, che di nominations ne ha raccolte dieci vincendo solo per Il Re Leone (ma è quello-de Il Gladiatore, La Sottile Linea Rossa, Rain Man). Anche in questa categoria il genio incompreso sta in Turner: l’unico commento musicale che esce dagli schemi coraggiosamente.

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Vincerà: Alexandre Desplat per Grand Budapest Hotel

Potrebbe vincere: Jóhann Jóhannsson per La Teoria Del Tutto

Dovrebbe vincere: Gary Yershon per Turner

Dovrebbe esserci: Mica Levi per Under The Skin

Production Design

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Vincerà: Adam Stockahusen & Anna Pinnock per Grand Budapest Hotel

Potrebbe vincere: Suzie Davis & Charlotte Watts per Turner

Dovrebbe vincere: Adam Stockahusen & Anna Pinnock per Grand Budapest Hotel

Dovrebbe esserci: Kevin Thompson & Stephen H. Carter per Birdman

Costume Design

Già tre Oscar e favore generale del popolo per l’italiana Milena Canonero, la costumista di Kubrick (il primo premio fu per Barry Lyndon 1975, il secondo per Momenti Di Gloria 1981, il terzo per Marie Antoinette 2007 – tre generazioni di cineasti e tre momenti cardine della Storia), e nona nomination, per il tassello aggiunto alla costruzione visionaria dell’albergo vintage di Wes Anderson. La categoria è quella dei veterani, in cui figurano la musicale Colleen Atwood che pure ha già tre statuette, Jaqueline Durran con una soltanto, per lo splendido lavoro fatto nel sottovalutato Anna Karenina, e Mark Bridges, pure uno, per il fenomeno The Artist. È solo Anna B. Sheppard ad essere nuova nel gruppo: il suo è l’unico traino di Maleficent, film dalla dubbia ricezione, che utilizza la stessa formula di Alice In Wonderland ma non ha ottenuto le candidature alle scene e agli effetti. Tra tutti, nonostante il low-budget, la minuzia egregia è in Turner: come un moderno Visconti, il regista inglese Mike Leigh ha voluto che pure le mutande, indossate sotto strati e strati di gonne e sottane, fossero fedeli riproduzioni dell’epoca – ma siamo italiani, e il pronostico ci piace.

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Vincerà: Milena Canonero per Grand Budapest Hotel

Potrebbe vincere: Colleen Atwood per Into The Woods

Dovrebbe vincere: Jaqueline Durran per Turner

Dovrebbe esserci: Kasia Walicka-Maimone per A Most Violent Year

Nelle puntate precedenti:

  • Miglior canzone originale
  • Miglior attrice protagonista
  • Miglior film d’animazione
  • Miglior attore protagonista
  • Miglior film

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