Oh, poveri, poveri, davvero infelici cittadini della caotica, rumorosa, alluvionata metropoli, martoriata da black block e centri commerciali dalle mostruosi proporzioni, imbottigliati nel traffico, aggrappati ai vostri volanti rabbiosi ad inveire contro l'umanità tutta, condannati ad impiegare un tempo base di tre quarti d'ora solo per spostarvi da un quartiere a quello limitrofo, a girare come trenini Lima alla ricerca infruttuosa di un buco dove lasciare l'auto, e infine rassegnati all'evidenza di doverla mollare proprio lì, in terza fila a ridosso dell'incrocio, per un terzo col muso sulle strisce pedonali e per un quarto di culo sul passo carrabile.
Sì, dico a voi: non me ne vogliate. Io non son fatta per tutto ciò: impazzisco, entro in fibrillazione assai prima di trovarmici, solo all'idea dell'eventualità di trovarmici, sento montarmi l'ansia in gola dallo stomaco al pensiero di sbagliare uscita sulla tangenziale e ritrovarmi in chissà quale dedalo di straduzze residenziali periferiche, a tornare sempre sui miei passi, e per la paura di perdermi, mi perderò, per l'ansia di sbagliare manovra, la sbaglierò, per il timore di fare tardi, impiegherò un'ora in più a ripetere più e più volte sempre lo stesso percorso, mentre da destra e da manca mi strombazzano i cortesi automobilisti che, qualsiasi boiata facciano, perché qui vige l'anarchia stradale più totale, sbraiteranno le loro ragioni e i tuoi torti dalla fessura del finestrino appositamente abbassato per poterti schiacciare sotto il peso della loro arroganza.
E vedrai che le probabilità di generare un impatto sia pur lieve ma rognoso tra la tua vettura e quella di un pischello incazzoso che sosterrà di essere assicuratore e figlio di carrozziere sono assai più alte di quanto l'umana ragionevolezza possa consentire.
Ma io sono qui, ora, cullata dall'accento altalenante di altre genti, dallo sciabordio di un altro fiume, dallo scorrere di altri ritmi.
Ci coccoliamo al risveglio, porto lei nel lettone per gustarmi ancora qualche manciata di minuti di dormiveglia, mentre lei gioca alla "nanna", afferra il naso del babbo ronfante che tanto continuerà a ronfare fino almeno a quando noi usciremo di casa (non siamo di quelle femmine che vogliono a tutti i costi cambiare gli uomini, noi. Gli vogliamo bene lo stesso!)
Percorriamo le strade della città sulle note delle nostre sigle sceme, tra il fruscio delle foglie secche sotto le ruote della bici. Il sole di novembre ci bacia. Avere il cielo sopra la testa, l'aria sulla faccia, la strada sotto i piedi. Godere dei colori dell'autunno.
Lascio lei al nido, che piange sempre , ma poco. Mi aggiro leggera per il Corso, a piedi. I passanti sono ancora pochi, a quest'ora del mattino. Un anziano suonatore di violino siede su un piccolo sgabello in mezzo alla via. Peccato non ci sia lei a sentirlo suonare.
E' strano girovagare senza la pupa. Constatare che quindici minuti son stati sufficienti ad espletare le mie commissioni. La fila in comune per la consegna del censimento. Buon giorno e arrivederci. Evitare i venditori scassapalle della Mondadori (posso farti una domanda? Ultimo libro letto?) e quelli di Africa Insieme coi loro libri assurdi su ricette improponibili e leggende inquietanti del Senegal, di cui già ho piena casa.
Medito sull'eventualità di utilizzare parte del mio tempo girando negozi e vetrine.
La mattinata è infinita avanti a me. Posso fare un sacco di cose, con calma, con tutta la calma che posso.
Constatare che pure il negozietto ove un tempo accattavo vestitini di mezza stagione a 4 euro, ora esige un cospicuo sacrificio delle mie finanze a suon di ventisette, e pensare che in fondo non mi serve niente di urgente.
Ritrovarmi fuori posto nel bijoux shop che in passato mi vedeva rifornirmi di orecchini pendenti di ogni foggia.
Accorgermi che il luogo in cui in tempi remoti mi maceravo nell'impossibilità economica di attingere contributi per il mio guardaroba sembra esporre articoli più adatti a una squinzia diciassettenne che a una giovine madre sulla trentina.
Chiedermi se sono io che ho cambiato gusti nel frattempo, o il comune senso estetico corrente.
Vagliare l'ipotesi di immolare i miei 7, 90 euro contanti nell'acquisto di un mascara in offerta.
Decidere che non ne vale la pena.
Apprezzare la mia immagine riflessa in vetrina inaspettatamente di mio gusto.
Sorprendermi a fare pensieri da donna e ricacciarli nel fondo dell'insondabile e dell'indicibile.
Constatare che girare scosciata in vestitino di lana fantasia e pantacollant turchesi oggi detti più comunemente leggins fa scomparire a un tratto dal lessico delle commesse il "lei" e la "signora", e ritornare alla ribalta il "ciao, posso aiutarti?"
Smetterla di gingillarmi e capire che tanto non fa per me lo shopping.
Passare a trovare un'amica se mai, chiacchierare di fronte a un caffè e un biscotto, rifiutando caffè e biscotto, ma poi accettando il biscotto.
Cercare per pupa la mantellina impermeabile e gli stivali da pioggia.
Ammettere a me stessa che il tunnel del baby shopping lungi dall'essere indice di incondizionata dedizione materna è solo l'ultimo approdo del narcisistico autocompiacimento consumista, ma chiudere un occhio e, sì, prenderle anche quel fantastico ombrellino con le fragole...
Rendermi conto che non ho con me il telefono, porca zozza! Che mi sia caduto per strada?
Tornare verso casa perdendomi nel contrasto cromatico piombo e oro, muovendo l'occhio tra cielo e terra, quando dovrei tenerli fissi al suolo, a scrutare tra il fogliame se per caso ci fosse il mio cellulare.
Pensare con una certa emozione a un appuntamento inatteso.
E in tutto questo ho ancora un sacco di tempo davanti, gioia delle gioie!
Mi perdo nell'andamento lento dei miei movimenti e nell'indugiare dei miei pensieri, sopraffatta da tutto questo improvviso giallo a cumuli, ne raccolgo un po', per regalarne anche a chi mi segue.
Ah! Ho giocato un Superenalotto. Credo che vincerò: la mia vita potrebbe cambiare tra poco, credo.
Pensavo che duecentomila mi sarebbero bastati, ma fatte alcune considerazioni, il casale rustico che acquisterò per il mio B&B avrà bisogno di ristrutturazioni serie quasi sicuramente. Se proprio devo vincere, meglio stare tranquilli: facciamo cinquecentomila. Non di più che poi mi monto la testa.
E se invece non vinco va bene uguale. In fondo non mi dispiace la mia vita anche così. E sai che palle combattere con calcinacci e traslochi?