Qui di seguito viene riportato uno stralcio della prefazione.
Encomiabile agente economico,
Essì, dico a te.
Tu cheppur di cibarti vai sovrappeso, che per abbigliarti vesti alla moda che passa di moda, che per andare da qui a lì magari acquisti un Suv; sì, proprio tu che con la spesa che fai generi i due terzi della crescita, lasciando ad altri il resto; tu sei quell’agente, chi altri sennò?
A voler esser pignolo fai ancor di più: quando acquisti trasformi quelle merci in ricchezza, quando le consumi spingi le imprese a dover nuovamente produrre; fornisci continuità al ciclo produttivo, dai sprone alla crescita economica.
Altro che scemo da tutelare: badante dell’economia, non più badato!
In Professione Consumatore mi sono fatto mentore di un tal operatore, poi l’ho spedito a investigare l’economia fin giù in mezzo alla crisi. Un posto difficile dove uno tenace trova vigore e… quando il gioco si fa duro non si sottrae. Sì, insomma, comincia a giocare. D’azzardo.
Lo muove un assillo, anzi due: porcoggiuda, quando a chi lavora mancano i soldi per acquistare quel che si è prodotto e chi acquista ha già tutto, forse di più, il meccanismo dello scambio si blocca.
Cerca le cause di tal inefficienza, intravvede quali antiquati precetti ancora governano il moto del mercato.
Sa di stare a ridosso del baratro, risoluto stringe le chiappe e tira innanzi. Uno, due passi, al terzo urla un nuovo paradigma: vi è più valore nell’esercizio del consumare che in quello del produrre!
Quattro, cinque, sei passi poi si china, si cheta; riflette. A terra traccia tratti lenti poi d’un tratto mette a fuoco il fatto, chiude il cerchio, scrive l’Economia dei Consumi e giaccheccè strafà: detta le regole che la regolano, compila un sillabario di settantotto voci per dare dritte a chi l’abita, l’usa, ci guadagna.
Con cotanto bagaglio, gagliardo empirista fa le pulci agli ideologi del vecchio andazzo fin quando scorge, in un agitato consesso sulla crisi, sparuti economisti che brandiscono tomi di dottrine scadute. Li prende di petto: voi con le vostre dannate ricette avete proposto stimoli in tutte le salse per dare spinta ai consumi.
Cacchio: ricette di reflazione, per lo più a debito, per il timore che tocchi ai prezzi scendere per sostenere gli acquisti.
Qualcosa si muove sul fronte occidentale: c’è chi sta con le Imprese, lui con i consumatori.
Seppur in giacchetta professionale, lui pure lo è; ne cerca altri per fare squadra, ne trova tanti, tutti: quelli attrezzati, quelli disgraziati; quelli sapienti e quelli insipienti. Di primo acchito deve andare per il sottile: sceglie.
Si allea con tizi tutti-d’un-pezzo che recitano a soggetto l’esser Professional Consumer. Sono tanti, in tutte le salse.
Dicono cose che non t’aspetti: se troppo ricchi non spendiamo tutto, se poveri spendiamo oltre il tutto; questo squilibrio impalla l’economia. Keynesiani dell’ultima ora imprecano la pessima allocazione della ricchezza, propongono di ridefinire le quote di consumo tra gli operatori.
Dopo averli incontrati, li convoca. Si vedono, discutono, fanno tardi, alfin convergono poi convengono di fare squadra; poi ancora attrezzano un ordine professionale, quello dei Piccì: scrivono la premessa, poi definiscono i principi generali, li fissano in trentatré articoli; un tot di commi definiscono i modi dell’esercizio professionale, qualche codicillo chiude il cerchio. Il tutto ficcato dentro un codice deontologico.
Appagato? Macché, quando scopre di non disporre del denaro sufficiente per acquistare tutto quel che vende il mercato scorge pure di non avere bisogno di acquistare quel tutto. Prima prova un imbarazzo di ruolo, poi fa quattro conti ed esulta: ha più bisogno l’impresa di vendere che io di acquistare!
Ha intravvisto farsi reale l’inverosimile: fare affari. Sì, la possibilità di vendere la domanda a chi vende l’offerta. Per dare un tono al tutto redige pure il Business Plan, lo allega.
Dopo l’ordine, insomma, mette in scena lo sconquasso.
Cambia le carte in tavola, attrezza una Corporation di consumatori che gestiscono e vendono le risorse, impiegate per confezionare la domanda, a chi ha la necessità di acquistarle se vuol tornare a vendere: cose dell’altro mondo!
Pregno di tanto Sé, se finora ha dato colpi al cerchio, uno lo rifila pure alla botte: c’è chi tra noi ha troppo, tanto che spende meno di chi ha meno che spende tutto!
Be’, questo fare non s’ha da fare. Sottrae risorse a quella crescita economica, buona per tutti, ancor più per chi ha meno.
Né padri né padrini, insomma non fa sconti. Questo mi piace di lui.
Seppur non mercatista rivendica con forza il giudizio dell’alta corte del mercato per quei nuovi equilibri che ha intravvisto.
Appunta intanto la sua requisitoria: le imprese incapaci di generare ricchezza/quelli del credito generano debito/generatori di crescita si fanno i consumatori/la domanda comanda.
Si attrezza per il dibattimento; via e-mail cerca testimoni, testimonianze e pure conforto. Per convincere quegli emaillati, laconico scrive: Siamo tutori, altro che tutelati. Con un allegato in pdf indica pure la via: verso il capitalismo dei consumatori.
Io gli credo, testimonierò.
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