Un matrimonio che dura una settimana.
Tutto si ferma. Ci si veste bene. Si prenota il catering. E via discorrendo.
E' divertente né... ed è anche bello vedere il fervore delle produzioni e anche che in questo settore, scusate, noi italiani siamo davvero i numeri uno.
Poi, succede che anche il mio scalchignato Mac vada in fiera, solo che lui si ferma a dormire e dunque che io rimanga senza protesi digitale.
Succede anche che per una serie lunga di coincidenze, io debba prendere un mezzo per spostarmi da quasi fuori Milano a centro Milano.
E così sono lì, in mezzo a una piazza che in realtà è una grandissima rotonda.
Ecco, chiedo a lui... No! E' al telefono e non parla italiano. La signora no, che la bimba piange. Ah, ecco! L'ottantenne con le perle al collo, il paltò e la borsetta.
"Scusi signora, la metropolitana?"
"Ecco, la metro eh?"
Cioè come a dire:
"Non è che perché siamo a Milano mi puoi chiedere il panettone a ferragosto!"
Allora io esplico:
"Devo andare in Duomo!"
"AH!! Il 12! Deve prendere il 12! Che peccato. E' appena passato... Vada là, prende il biglietto lì, poi si ferma là e lo prende, veda lei quale perché passa anche il 14..."
"Grazie signora!"
"Prego e auguri!"
Auguri. Auguri?
Beh, comunque bello prendersi un auguri così, a gratis, penso.
Oh, biglietto preso. Ce l'ho in mano. No, non lo metto via, lo devo obliterare, poi non lo trovo se lo metto in borsa.
Mi si avvicina un'altra ottantenne col paltò e la borsetta. Ma senza perle.
Mi fa vedere un opuscolo che conosco:
"Cosa mi dice del seguire la strada di Dio..."
La butto sul ridere:
"Guardi sono molto in ansia in questo momento per la mia di strada..."
Il 12 mi salva dal suo sguardo severo. Salgo
E' di quelli vecchiotti e scrostati. Traballa. Oblitero. Mi siedo. Studio. Ok, ho capito, non dovrei sbagliare nel scendere. Tengo il biglietto in mano. Che non si sa mai.
Nel mio vagone (ma si chiama così anche quello del tram?) sono tutti stranieri, per lo più cinesi, o comunque asiatici. E infatti entriamo in Cina, negozi di vestiti dappertutto, poi strani negozi di alimenti e poi ancora vestiti. Le vetrine coi manichini senza testa, oppure pacchi e pacchi di vestiti ancora chiusi. Chinatown, scrive google maps. Già. Scendono i miei compagni di viaggio e cambiano. Zona Arena. Via Orefici mi pare di leggere. Mi volto e due ragazze bellissime e piene di pacchetti salgono e si siedono dove prima c'era il ragazzo cinese che nervoso faceva ballare le gambe. Salumerie, bar, vestiti, tutto è perfetto, perfettamente milanese nel senso più stereotipato.
Controllore. Lo sapevo!! Ecco! L'ho in mano il biglietto, vede che provinciale previdente sono...
"Meno male che la manifestazione è dietro..." dice al collega.
Mi volto e a pochi metri dal tram, un'enorme macchia indistinta di persone con bandiere rosse e al collo avanza.
Scendo.
E il ritorno?
Ho il 14, è nuovo.
Di nuovo passo per la scorciatoia sociale, ma in senso opposto. Dalle stelle alle stalle. Il tram ti permette di vedere nel riflesso degli occhi di chi sale il mondo da cui viene, che poi è quello che c'è fuori dal finestrino.
Nel tram verde i sedili non guardano tutti avanti (verso un futuro migliore?), ma si guardano l'uno con l'altro frontalmente. Entro e di nuovo tutti stranieri. Mi siedo vicino a una ragazza asiatica che scende, subito rimpiazzata da un'italianissima cinquantenne. Noto che man mano che le persone salgono, si siedono nella fila di sedili che gli corrisponde e cioè, banalmente, italiani di quà e tutto il resto del mondo di là.
Solo i ragazzi di un liceo lì vicino scompiglia per poche centinaia di metri le carte, poi tutto torna normale. Il signore al mio fianco ha il cappello e fa il sudoku. I due davanti a me sono grossi e guardano malissimo i ragazzini che incautamente li hanno sfiorati. Tutto il gruppo di quindicenni scala di uno.
E io penso che è bello il tram. E che comunque a me Milano piace. Ma da buona provinciale, penso che non vorrei proprio viverci.
Scendo. Ho ancora il biglietto in mano. Il controllore questa volta non è passato.