"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via".
Mi è venuto in mente proprio Pavese mentre mi riappropriavo della casa, sabato sera, al ritorno del fantomatico viaggio a Praga.
Non c'entra in realtà la malinconia di casa - inesistente per tutta la durata del viaggio, ma forse è meglio non dirlo -, quanto, in realtà, proprio la scoperta di nuovi luoghi. Meravigliosi è dir poco.
Praha è la nostra guida che, con i soldi con cui l'abbiamo pagata, va a comprare come regalo per suo marito un libro sull'ingegneria aerospaziale, la sua passione, che altrimenti non avrebbe potuto permettersi.
Praha è la torre dell'orologio, l'antico cimitero ebraico e i migliaia di turisti italiani.
E' il goulash piccante con gli gnocchi di pane, è la birra che in bocca lascia il sapore di spezie.
E' il Ponte Carlo con la statua dei desideri, è il pane al cumino e il vecchio suonatore che nella più antica osteria della città, vedendo che siamo italiani, si mette a suonare con la fisarmonica il ballo del qua qua.
E' il trdlo (impronunciabile!) che si trova ad ogni angolo, caldo e buonissimo; il fiume Moldava che straripa ogni anno e il Vicolo d'Oro, con la casa azzurra di Kafka al numero 22.
Sono gli anziani negozianti che ti dicono che in Repubblica Ceca bisogna parlare il Ceco, ma che poi accettano di buon grado gli euro, ma sono anche i giovani negozianti che l'inglese lo mangiano a colazione, che dicono di chiamarsi Michele ed esultano "Forza Juve!".
Sono i luccicanti negozi di Swarovski e i taxi giallissimi.
Praha è tutto questo e molto altro ancora, e non voglio fare quella che dopo esserci stata soltanto una settimana pensa di conoscerla già come le sue tasche, ma io di questa città mi sono innamorata.
Vabbè, è vero che il merito è un po' (ma solo un po') anche delle mie amiche, senza le quali questo viaggio non sarebbe stato lo stesso.
Na shledanou, Praha!