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Andrea De Rosa e Giuseppe Battiston: Falstaff e il Teatro del Corpo

Creato il 21 gennaio 2015 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Andrea De Rosa e Giuseppe Battiston: Falstaff e il Teatro del Corpo

Il simbolo di Falstaff è la pancia: corpulento, vorace e gran viveur, vitale e quasi primordiale, il personaggio creato da Shakespeare è un esponente del folto gruppo dei milites gloriosi, che da Plauto in poi ha popolato il teatro europeo. Soldati o cavalieri vanagloriosi, millantatori e spacconi proprio come Falstaff, per cui "tutto nel mondo è burla" e la ricerca del piacere fisico è lo scopo principale dell'esistenza.

Andrea De Rosa e Giuseppe Battiston hanno portato in scena, al Teatro della Pergola di Firenze, l'apoteosi di questo "teatro del corpo": l'addome di Falstaff è un otre da cui si abbeverano i personaggi durante le interminabili giornate di bagordi. È letteralmente una protesi mobile che indossano anche gli altri attori in scena, una vera e propria armatura che protegge il bene più prezioso che può avere un uomo: il corpo.

Ispirato a Sir John Oldcastle, condottiero che guidò le milizie inglesi durante la Guerra dei Cent'anni e che fu poi ucciso sotto il regno di Enrico V, Falstaff è sicuramente uno dei protagonisti delle due parti dell' Enrico IV. Si narra che piacque così tanto ad Elisabetta I da indurla a chiedere a Shakespeare di farlo ancora rivivere sulle scene: nacque così Le allegre comari di Windsor. Figura tra le più celebri ed affascinanti della produzione shakespeariana, complessa ed essenzialmente comica, Falstaff ha in sé anche caratteristiche più profonde, con una commistione di generi frequente nella produzione del drammaturgo inglese. Arrigo Boito lo rese protagonista dell'omonima commedia lirica musicata da Giuseppe Verdi e da sempre ha affascinato i più grandi protagonisti delle scene, da Will Kempe (contemporaneo di Shakespeare) ad Orson Welles, che diresse un film incentrato sulla sua imponente figura.

Veniamo alla storia. Il giovane principe Hal e futuro re Enrico V (qui interpretato da Andrea Sorrentino), inizialmente, ha in realtà ben poco della grandezza e della gloria che lo vedranno trionfare sul campo di Agincourt: le sue giornate, fatte di vino, burle, rapine, sesso e trivialità, trascorrono sempre uguali nella taverna-bordello di Eastcheap, ricovero di Falstaff e della sua compagnia. Sir John, come una calamita, è insieme attrazione fatale e guida per Harry, al quale però è legato, a suo modo, da profonda amicizia.

Una anti-educazione, si potrebbe dire, in cui il piacere e il vizio sono programmaticamente lo scopo unico della vita dell'uomo. Teatro delle gesta della viziosa compagnia è, come detto, il bordello, che De Rosa, insieme a Simone Mannino (sue scene e costumi), rende come uno spazio semicircolare dove i personaggi si muovono quasi strisciando tra cuscini, divanetti di gomma, stoffe stese per terra come tappeti, alcove più o meno improvvisate di un harem. Un tripudio di plastica, gomma, tessuti variopinti, microfoni e spezzoni di canzoni pop/rock, in un caos volutamente disordinato, contrappunto visivo del lavoro sul testo portato in scena.

Spiega il regista: "Il rapporto padre/figlio è al centro del mio adattamento, per questo ho chiesto a Giuseppe Battiston di interpretare sia il ruolo di Falstaff che quello di Enrico IV. Per seguire meglio questo difficile passaggio di Hal da un padre all'altro, da un mondo all'altro, ho scelto di accompagnare il testo di Shakespeare con alcuni brani tratti dalla Lettera al padre di Kafka e dallo Zarathustra di Nietzsche proseguendo, con quest'ultima scelta, un percorso di teatro filosofico che è il cuore della mia ricerca degli ultimi anni".


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