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ANDREA LEONE – LEZIONI DI CRUDELTA’- POIESIS EDITRICE
Poesia fondativa, alta, quella di Andrea Leone, contrassegnata da una parola che si staglia incontaminata nel suo essere. Poesia non di una voce, ma della voce. Poesia che nomina e nominando genera ciò che resterà, la perfezione, l’immortalità luttuosa ma anche luminosa del nostro destino.
Nei versi di Leone c’è l’apertura ad un oltre che già da sempre è qui, una lucida e spietata obbedienza ad una legge superiore, ad una forza che travolge e supera ogni dato biografico, ogni sorta di minimalismo. C’è la scoperta di un segreto da far proprio, la necessità di partire, di dire addio per poter poi ritornare altri, diversi, come atleti dopo una gara. C’è una volontà epica, un respiro ed una bellezza da ritrovare, un coraggio da manifestare, perché non ci si può sottrarre al comando segreto e crudele di questa parola inaudita, di questa vita inaudita. Bisogna osare, rispondere alla parola che chiama, guardare in faccia la sua ferocia, la sua ineluttabilità. E non ci si può sottrarre allo spavento (“Divento lo spartito dello spavento:/lo spartito spietato dello spavento), ma proprio quest’ultimo si rivela indispensabile, la scossa necessaria per un nuovo entusiasmo, per quella rivelazione che si annuncia a partire dalla coscienza “imperiale della fine”. Nell’epoca dell’inappartenenza e del disastro, occorre accettare il sacrificio, l’abbandono dell’effimero, scoprire le geometrie perdute, “la verità che non ha vergogna”. Se tutto è già avvenuto, occorre riconoscerlo, ascoltare e registrare quel monologo assoluto che ci parla come fosse per noi l’ultima possibile lezione, l’apertura di un sipario su una scena che “è l’esattezza di una bellezza/che non termina”.
Ecco allora il compito quanto mai necessario dei versi inattuali, sorprendenti e fortemente ritmati di Leone, in cui l’io che parla non è più, non potrà più essere l’io del poeta, ma la lezione limpida ed inequivocabile che travalica la nostra precaria identità, la lezione rigorosa ed assoluta della poesia, il suo dire intransigente, che è simile a quello degli Dei: “Io sono il delirio dei nomi estremi./Io sono le insegne del tempo che fu straniero./Io sono la feroce/festa che si dissolve”. Come afferma Michelangelo Zizzi nella prefazione al volume “quell’io moltiplicato, fuorché essere compulsione egopatica, è limpidezza d’ambire ad una migliore aristocrazia de sentire – vedere ogni cosa”.
Andrea Leone sa che scrivere significa apprendere questo insegnamento, senza più fuga alcuna, per essere finalmente lì, nell’ “estrema battaglia del battesimo”.
Mauro Germani
19.
Io sono il delirio dei nomi estremi.
Io sono le insegne del tempo
che fu straniero.
Io sono la feroce
festa che si dissolve.
Io sono la lezione
del freddo vero.
Io sono l'eccelso
cielo di scomparsi nel giovane gelo.
Io sono gli ordini
morbosi delle invasioni,
i giorni più giovani,
l'estimo dell'esattezza estrema
che agonizza la disciplina della mattina.
Invisibile osservo
il vecchio palcoscenico allo specchio:
è l'esattezza di una bellezza
che non termina.
Io attendo in questo millennio perfetto.
Io tra i figli più felici,
io tra i giovanissimi, mai fioriti
incorruttibili morti bellissimi degli inizi,
io pronuncio le mie immortali
solitudini senza nomi.
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