Silvia Medeossi10 aprile 2013
Dieci anni dalla scomparsa del celebre signor G. Dieci anni dove tutto è cambiato ma ogni cosa è rimasta com’era. Sembrano proprio i prerequisiti perfetti per far rivivere sul palcoscenico un personaggio che ha segnato la storia artistica del nostro Paese, sia in teatro che in televisione, sia come cantautore che come commediografo: Giorgio Gaber. Forse sarebbe più corretto dire che la storia, quella del nostro Paese, l’ha sviscerata, raccontata, ironizzata, rappresentata trasversalmente, proprio lui. Con la stessa trasversalità l’autore di questo intenso spettacolo intitolato per l’appunto Gaber se fosse Gaber, ossia il giornalista e scrittore Andrea Scanzi, ha ben profilato il poliedrico artista. Immagini, filmati intercalati dalla presenza scenica di Scanzi che concretizza il ricordo di Gaber con un’analisi che non si limita a ripercorrere il personaggio sulla base delle sole caratteristiche intrinseche, quali storia, opere e personalità, poiché le indaga inserendole nel contesto socioculturale in cui l’artista aveva acquisito fama e verso il quale si era canalizzata la sua attività di critico, con modi e metodi a lui peculiari. L’excursus non è mai appesantito da divagazioni fuori tema o stonate e riesce a calamitare l’attenzione tanto dello spettatore che quel Gaber l’ha conosciuto, magari condividendone i vissuti, quanto di quello che non lo ha potuto conoscere, con una proiezione che emoziona delicatamente.
Della vastissima produzione dell’artista, Scanzi sceglie di soffermarsi sul teatro canzone, marchio di fabbrica della vincente coppia di autori Gaber-Luporini, riproponendo registrazioni di Quando è moda è moda, Qualcuno era comunista, Io se fossi Dio. Il teatro canzone era infatti prima di tutto innovazione comunicativa che con un monologo interpretato tanto in canzone, quanto in linguaggio gestuale, specie facciale, rendeva automaticamente Gaber un personaggio atipico capace di mixare virtù non solo artistiche, trasportandolo ben oltre il limite dello “spettacolo” vista la nudità e la schiettezza dei suoi contenuti. Non vuole mai trasmettere un messaggio ma suscitare emozioni forti dando dei punti su cui riflettere, un sasso lanciato in modo così diretto da essere spesso apertamente criticato o risultare incompreso. I contenuti non sono mai leggeri e la forza di Gaber è quella di saper movimentare i grandi temi delicati tanto sociali quanto politici e culturali dei suoi tempi, svestendoli dell’ipocrisia e semmai alleggerendoli con l’ironia in tal elegante veste da essere riconosciuto quale comico sottile.
Un personaggio di cui Scanzi non fa a meno di sottolineare l’attualità, visto il parallelismo con l’odierna situazione italiana non solo sociopolitica ma più ampiamente culturale. Uno spettacolo che, con la sua tappa a Udine, giunge alla sua sessantanovesima replica restituendo all’autore e interprete, l’eclettico Andrea Scanzi, una percettibile gratificazione professionale a testimonianza della sua bravura. Gli perdono di aver peccato di determinazione nel reggere sul palco tanto le vesti del giornalista quanto quelle dell’attore, poiché a mio avviso non ha bisogno di scegliere la predominanza delle une sulle altre, sapendole gestire entrambe egregiamente ed in maniera equilibrata. Insomma, una performance oltremodo riverente e misurata nel non voler sovrastare l’importanza del vero protagonista, Gaber per l’appunto.