ANDRO’ GIROVAGANDO, MA PER FAVORE SEGUITEMI, di GLG, 12 nov. ‘13

Creato il 12 novembre 2013 da Conflittiestrategie

(SECONDA PUNTATA) qui la prima

1. E’ bene ribadire un punto che viene spesso frainteso (anche se non capisco bene per quale motivo). Non è mia intenzione difendere la UE e nemmeno l’euro; quindi non sono, per principio, contro coloro che propugnano l’uscita dall’una e dall’altro. Tuttavia, non sono d’accordo nel mettere in primo piano questo tipo di lotta scordandosi quali sono le vere cause del disastro che procura a vari paesi il restare in Europa e nell’area della moneta comune. Nemmeno sono convinto, però, che sia sufficiente riformare e l’una e l’altra con ritocchi modesti o anche più radicali per far girare la ruota della sorte in senso positivo. Chi continua con queste due opposte sponde della critica – riforma o uscita – non vede il nocciolo duro del problema, confonde (spesso inconsapevolmente, molte volte con piena coscienza) l’effetto con la causa; anzi tende proprio a nemmeno nominare la causa.

Lo stesso dicasi per la questione della Germania, che sarebbe il vero oppressore di noi italiani e di altri paesi della UE. Personalmente non ho mai odiato nessun popolo nel suo complesso. Inutile raccontarmi che il popolo tedesco ha accettato in massa il nazismo, quello italiano il fascismo. E quello americano il lancio delle atomiche, l’aggressione infinita a vari paesi dalla fine della seconda guerra mondiale, credendo ai suoi “simpatici” dirigenti che raccontano di portare democrazia e libertà nel mondo a suon di bombe e di assassinî. Per non parlare del popolo inglese che ha accettato atrocità coloniali di tutti i tipi per un tempo lunghissimo. Eppure ognuno dei paesi ricordati (e tutti gli altri) hanno dato i natali (e il modo di agire) ad importanti personaggi in ogni campo della “superiore” attività umana (arti, letteratura, musica, filosofia, scienza, ecc.); ognuno ha apportato beni culturali e di pensiero d’ogni genere. Quindi la si smetta con le generalizzazioni, salvo che in momenti di polemica e di semplificazione per ragioni di brevità.

In questa puntata voglio limitarmi a parlare proprio della Germania degli ultimi vent’anni, dopo il crollo del “socialismo” e dell’Urss. Per il periodo precedente, ricorderò solo che la sua parte occidentale (prima della riunificazione) cercò di svolgere un ruolo di minima indipendenza con alcuni settori della socialdemocrazia (all’epoca di Brandt, ma anche di Schmidt) timidamente inoltratisi lungo i binari della cosiddetta ostpolitik, che apriva spiragli in direzione del “polo socialista” e dell’Urss. Sappiamo che simili tentativi furono in gran parte frustrati, anche per mezzo dell’episodio relativo al caso di spionaggio Guillaume. Quella politica non fu abbandonata da settori minoritari della Germania occidentale, ma comunque non mi sembra avere avuto mai un grande respiro.

Dopo la fine del mondo bipolare e la riunificazione tedesca, la Germania non ha certo brillato per la sua intraprendenza; tuttavia, ha sfruttato la sua potenza economica, superiore a quella di altri paesi europei (del “polo” occidentale), per una penetrazione nei paesi dell’est europeo, sottratti al predominio sovietico. In particolare, la Polonia ricevette un forte afflusso di investimenti tedeschi. Così pure la Slovenia (la Germania fu tra i primi paesi a riconoscerla come indipendente nel 1991) e la Croazia divenuta autonoma dalla Jugoslavia poco dopo. Certamente non va sottovalutato il ruolo dei tedeschi nella progressiva dissoluzione di questo paese dopo la morte di Tito (1980), processo che divenne celere dopo il 1989-91. Non scordiamoci che, in seguito al crollo del “polo socialista” (quello europeo e l’Urss), si pensò per un paio d’anni alla nascita di un mondo tripolare (Usa, Germania e Giappone) con il paese asiatico considerato da alcuni superficiali (in specie di “sinistra” e addirittura auto-elettisi marxisti insigni) come destinato a sostituire nel XXI secolo gli Stati Uniti in qualità di principale potenza e con avvio ad un monocentrismo appunto giapponese. Il tutto in base alle fesserie sul toyotismo, cioè sulla superiorità del Giappone nell’industria automobilistica senza tenere conto che i settori d’avanguardia e strategici per la potenza d’un paese erano ormai l’aerospaziale, l’informatica ed elettronica e semmai il controllo delle fonti energetiche; tutti settori dove la primazia statunitense non era minimamente intaccata.

La dodecennale stagnazione giapponese mise fine a simili sciocchezze, pur se gli “antimperialisti” (antistatunitensi) non rinunciarono alla loro totale inconcludenza e incompetenza predicando la veloce e irresistibile ascesa della Cina a primo paese del mondo; in ciò giocando di conserva con alcuni ambienti statunitensi predominanti che dirottavano (e dirottano tuttora) la loro “ufficiale” attenzione in direzione del grande paese asiatico nel mentre mettevano a punto le strategie per rinsaldare quella che per un decennio circa fu pensata quale nuova preminenza monocentrica della superpotenza rimasta. Fra queste strategie, la prima ad essere attuata è stata quella tesa a bloccare ogni velleità tedesca, sia pure di tipo “regionale” (appunto verso l’Europa dell’est ma certamente con la tendenza alla prevalenza più generale in Europa).

Tramite la pantomima della riluttanza della UE (i cui organismi sono sempre stati strettamente subordinati agli Usa) e la minaccia di veto di Russia e Cina al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, si arrivò all’aggressione della Nato (ancor meglio controllata dagli statunitensi) alla Jugoslavia, ormai ridotta in pratica alla Serbia, nel 1999. In quest’aggressione, l’appoggio decisivo agli Stati Uniti fu fornito dal governo italiano, in cui fu addirittura sostituito Prodi con l’ex piciista D’Alema; a dimostrazione ulteriore, e a questo punto non più discutibile, di chi fossero i migliori servi italiani del paese d’oltreatlantico da ormai molto tempo (dagli anni ’70, anzi già dalla fine di quelli ‘60) e per quali motivi fosse stata scatenata in Italia l’operazione giudiziaria del dopo crollo sovietico per affossare Dc e Psi e sostituirli con i rinnegati del “comunismo” (il piciismo, che fu capofila del sedicente eurocomunismo, una semplice accolita di gentucola priva di qualsiasi dignità oltre che di intelligenza e dunque pronta ad ogni bassezza, a svolgere i più vili compiti richiesti normalmente ai traditori di rango inferiore).

A questo punto, la Germania rientrò pienamente nei panni tipici del periodo bipolare (quando era fra l’altro divisa). Lungi da me quindi ogni intenzione di benevola comprensione nei confronti di questo paese europeo, che ha svolto un ruolo assai rilevante nella storia del nostro continente (e quindi del mondo) tra la guerra franco-prussiana (la nascita ufficiale della Germania è del 1871) e il 1945. E’ però necessario tenere conto degli eventi successivi al crollo sovietico – fino alla scoppola inferta indirettamente dagli Usa ai tedeschi con l’aggressione alla Serbia, in cui l’Italia si comportò nel modo più vile e servile – per capire la poca simpatia dei tedeschi verso noi italiani, di cui forse resta anche il ricordo del comportamento altrettanto miserabile e nauseante tenuto nella seconda guerra mondiale; e la si smetta di far finta che tutto sia dipeso dalle colpe dei fascisti, come se questi fossero un corpo minoritario e separato rispetto alla “nazione Italia”. Siamo costituzionalmente infidi e traditori (anche l’eurocomunismo non poteva che trovare i suoi massimi esponenti in questo paese ricco di infami).

In ogni caso, la Germania si è pur essa acconciata a credere alle menzogne criminali degli Stati Uniti in merito al presunto genocidio in Kosovo, cui bisognava portare rimedio abbattendo il “novello Hitler” (uno dei tanti Hitler che gli Usa si permettono di aggredire, massacrando a man bassa, quando ciò è consono alla loro pretesa di dominare il mondo). Su tale genocidio ci fu un rapporto Osce dell’autunno ’99 che nella sostanza lo smentiva [vedi per notizie in merito qui]. Per di più il capo dei sedicenti partigiani in lotta per la libertà del loro paese era Thaci, divenuto poi addirittura primo ministro e di cui un altro rapporto europeo racconta i misfatti particolarmente obbrobriosi [leggi qui]:  (si veda anche la voce Thaci su Wikipedia, in particolare al paragrafo sulle sue “attività criminali”).

Dopo il ’99, comunque, la Germania subì una battuta d’arresto nella sua penetrazione in Europa dell’est e nei Balcani, pur se la sua rilevanza economica in quella zona resta in ogni caso più che notevole; anche in tal caso devo ribadire che ciò conferma l’importanza secondaria dell’influenza economica in merito al predominio su paesi e date aree territoriali. Tale influenza non è irrilevante, sia chiaro, è spesso l’avanguardia di più solide e durature penetrazioni; ma solo se è poi seguita da ben altro sfoggio di potenza. Se l’Inghilterra si fosse limitata alla penetrazione economica in India, Sud Africa, Egitto e in tutti i suoi enormi possedimenti coloniali, ne avrebbe perso relativamente presto il controllo e non sarebbe oggi ricordata come potenza coloniale di prim’ordine. E non lo sarà la Cina attuale, di cui si è troppo sbandierata la decisiva e irreversibile “conquista” dell’Africa, se si ridurrà soltanto ad investire “soldi” per incapacità di impiegare una potenza d’altro genere (militare ma non solo); adesso, non a caso, sta andando incontro a notevoli difficoltà con paesi come il Niger, il Ciad, il Mali, dove si sviluppa la controffensiva dei francesi (per conto degli Usa con alcuni vantaggi in proprio).

2. La Germania fu dunque negli anni ’90 l’ulteriore dimostrazione che non è sufficiente una forza economica abbastanza rilevante – comunque nettamente inferiore a quella statunitense – per assurgere al ruolo di potenza competitrice di quella predominante. Non credo del resto che essa avesse simile intenzione, ma soltanto quella di approfittare del crollo sovietico per godere di maggiori vantaggi “regionali”, tipici di certe (sub)potenze (in fondo è la stessa politica che ispira oggi paesi come Iran, Turchia, ecc.). Sintomatico che gli Usa non volessero concederle nemmeno questo ruolo pur subordinato. E lo impedirono, probabilmente, per i rapporti che i tedeschi hanno comunque sempre intrattenuto, pur in modo assai coperto, già con l’Urss e che erano in grado di incrementare notevolmente – dopo la dissoluzione della stessa – con quanto ne era rimasto (la Russia).

D’altra parte, la penetrazione economica tedesca verso oriente non credo turbasse troppo i dirigenti russi post-Eltsin (quest’ultimo avendo rappresentato il punto di disfacimento più alto raggiunto dal paese in senso, quanto meno oggettivamente, favorevole al predominio monocentrico statunitense). Nemmeno, secondo il mio parere, i dirigenti dell’ex superpotenza erano particolarmente urtati dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia cui certamente la Germania diede un buon contributo. In fondo, quanto rimasto di quel paese, la Serbia, veniva maggiormente spinto ad appoggiarsi alla Russia e poteva divenire una discreta pedina nei rapporti di quest’ultima, in cerca di riassestamento e nuova crescita, proprio con la Germania, quindi in funzione di un contenimento del suddetto monocentrismo statunitense.

Esattamente a questo punto, gli Usa spinsero sull’acceleratore, pur essendo convinti dell’impossibilità russa di risorgere ostacolando il predominio unico americano. Da qui l’aggressione alla Serbia, la necessità di ritirata da parte della Germania, l’accelerazione del mutamento politico in Russia. Gli Usa sembrarono aver rinsaldato la loro posizione univocamente dominante. Ed è da lì che riparte invece una debole tendenza al multipolarismo (all’inizio ancora invisibile). Dopo l’11 settembre 2001 e l’aggressione all’Afghanistan (con accentuazione della guerriglia cecena in Russia, non proprio esclusivamente autoctona), si sviluppa di fatto l’ultimo tentativo di ottenere la connivenza, tutto sommato subordinata, russa mediante la “comune lotta” al terrorismo (islamico); ma si è trattato di un breve momento di solo apparente inversione di tendenza.

A questo punto, a costo di compiere un salto improvviso (comunque del tutto comprensibile e seguibile) riporto un recente articolo apparso sul Giornale (e non molto evidenziato, credo per motivi ovvî): http://www.ilgiornale.it/news/esteri/anche-i-servizi-italiani-hanno-spiato-papa-964296.html. Nel contesto di questa mia seconda puntata, il pezzo che ci interessa di questo articolo è il seguente:

“L’altro grande malinteso del ‘Datagate’ secondo l’interlocutore del Giornale è la convinzione che tra Stati Uniti e Germania esistesse un rapporto limpido e una convergenza d’intenti: «Nel 2005 – ricorda – quando Angela Merkel diventò cancelliere e Gerard Schroeder, suo predecessore e avversario, abbandonò la politica per dirigere Nord Stream, la grande impresa finanziaria destinata a portare il gas e gli investimenti di Gazprom in Europa. La Germania è da sempre il grande interlocutore economico e finanziario della Russia in Europa. Le ‘relazioni pericolose’ per gli interessi americani passano attraverso la Germania. Attraverso Schroeder prima e la Merkel oggi Mosca investe in Europa e si contrappone agli Stati Uniti. Pensate potessero a fare meno d’ascoltarla?».

Credo che questo sia un punto rilevante su cui bisogna essere sempre più chiari, anche verso certi ambienti “sovranisti” o simili con cui ritengo si debba collaborare. Intanto dovremo essere chiari in merito ai motivi per cui tale collaborazione appare indispensabile nell’attuale fase storica, che non credo proprio sarà breve. Ne tratteremo più diffusamente nella terza puntata. Qui dobbiamo discutere intanto, sia pure del tutto provvisoriamente (e sempre in base ad ipotesi circa l’attuale multipolarismo), della questione germanica, in merito alla quale mi sembra si stia svolgendo una polemica che appare largamente pretestuosa e tale da favorire i veri nemici e artefici della subordinazione europea e soprattutto italica; con totale squinternamento del nostro paese, che rischia gravi processi di impoverimento o almeno di perdita di importanza internazionale e di “velocità”, diventando una sorta di Protettorato come già rilevato altre volte.

La Germania sembra accentuare la sua ostpolitik. Se fossimo superficiali, dovremmo guardare ad essa con sommo favore quasi si trattasse di addivenire ad un fronte antiamericano, perfino quasi antimperialista. Sarebbe atteggiamento errato in radice, tipico di residui di tempi ormai remoti, poveri fessi nostalgici. Bisogna partire da precise considerazioni. Nell’attuale epoca – come appunto spiegheremo meglio nella terza puntata – è indispensabile comprendere che il conflitto, per un periodo di cui sarebbe certamente sbagliato voler profetizzare la durata, si svolgerà tra gruppi dominanti; e, malgrado le sciocche chiacchiere (soprattutto di rancidi avanzi del ’68 e seguenti), esso si articolerà coinvolgendo gli Stati, le nazioni, dunque i vari paesi: quelli da me definiti spesso formazioni sociali particolari per distinguerli, nella loro individualità, dalla struttura più generale che li caratterizza in quanto appartenenti all’area detta capitalistica, cioè appunto alla formazione sociale capitalistica in generale.

Non a caso, insisto e insisterò ancor più sulle somiglianze, che ovviamente non escludono per nulla le nette differenziazioni (sempre il solito problema: tutto torna ma diverso), tra la fine ‘800 – ivi compresa la lunga fase di andamento economico altalenante e sostanzialmente stagnante, ma solo in termini di crescita del Pil, non di sviluppo trasformativo delle “strutture” sociali – e la fase attuale iniziata grosso modo nel 2008; precisando che in tale anno si colloca grosso modo l’evidenziazione della crisi economica (di “lungo periodo”), mentre si vanno progressivamente accentuando le somiglianze (tra le due fasi) per quanto concerne le continue situazioni critiche in politica internazionale e l’andamento (instabile e mutevole) delle “alleanze” ai fini del conflitto tendenzialmente multipolare.

Per comprendere l’epoca che abbiamo cominciato a vivere, bisognerà tornare pure a comprendere che cosa significò a quel tempo la sua definizione in termini di imperialismo; termine oggi reso inutile e inconsistente da studiosi di basso conio, immemori del passato e dei suoi dibattiti teorici, veri “intellettuali del piffero” che hanno prodotto un autentico corto circuito su ogni problema rilevante per la comprensione del presente, con la massiccia partecipazione a tale “catastrofe culturale” di perfetti ignoranti pretesi “marxisti” o già tali. I cultori delle teorie considerate “ufficiali” nell’ambito dei dominanti – in rapporto antitetico-polare (di reciproco sostegno) con i falsi “critici” dell’ordine costituito e con i “marxisti” ignoranti e imbroglioni – hanno prodotto il più fetido rigurgito di escrementi di finta analisi, ridotta a sproloqui demenziali di impossibile contestazione “pubblica”, dato l’abisso di idiozia in cui è caduto il popolo degli utenti dei vari media, che formano una perfetta rete fognaria inquinante la società tutta. Anche dell’imperialismo – termine da sostituire con altro meno abusato – parleremo in altra puntata.

Qui va invece ricordato un recente interessante saggio tradotto dal tedesco:

http://vocidallagermania.blogspot.it/2013/11/la-nuova-politica-di-potenza-tedesca.html

Il documento strategico di cui si parla, redatto da membri di entrambi i maggiori partiti (oggi in coalizione), per quanto con una serie di differenziazioni se non vere divergenze fra loro, sembra indicare con una certa decisione l’intenzione tedesca di uscire da una condizione di eccessiva minorità – che giocò il suo ruolo nella crisi jugoslava (aggressione alla Serbia di cui abbiamo parlato) – per conquistarne una più confacente ai propri interessi. E non solo quelli economici, anzi sembra esservi consapevolezza che anche la propria penetrazione economica in altre aree non è stabile e corre molti rischi se non vi è alle spalle una notevole forza d’altro genere, di tipo politico meglio se garantita pure sul piano militare. Sembrerebbe quindi che la lezione jugoslava sia servita a qualcosa, ma….. Già ci sono dei ma in almeno due passi del documento, se deve essere preso come un punto di vista (pur con qualche diversificazione) prevalente nel quadro politico tedesco.

3. Innanzitutto si afferma – come si nota da tempo anche in ambienti strategici americani – che gli Usa saranno sempre più impegnati in futuro a contenere la Cina; sarà quindi in parte sguarnita l’area europea e quelle africana e mediorientale, dove la Germania, coadiuvata dalla UE, potrebbe assolvere un’importante funzione sussidiaria. Come ho già ricordato in un commento nel blog, è da qualche anno che scrivo intorno alla necessaria attenzione da prestare alla Cina, presa dai superficiali privi di ogni rigore interpretativo come un paese in lineare crescita e sviluppo verso una supremazia mondiale, di cui ho sempre dubitato: almeno non prima di alcuni decenni e soltanto attraverso una profonda, e pericolosa, trasformazione dei rapporti tipici della presente formazione sociale cinese del tutto ibrida – e incoerente giacché lo è proprio il sedicente “socialismo di mercato”, dove l’eccessiva centralizzazione del potere contraddice e intralcia il mercato, assai più a suo agio con un potere maggiormente disseminato non appena il paese diventa fortemente industrializzato – e che dunque segnala la presenza di un’epoca di “transizione”, che sarà ben tormentata e probabilmente punteggiata da qualche sconvolgimento. Malgrado tutte le chiacchiere sulla Cina nemico principale, proprio per non preoccupare la Russia, gli Usa sono ben consci, io credo, che quest’ultimo paese, cui vengono dedicate negli ultimi anni molte attenzioni, è un nemico più pericoloso per almeno i prossimi anni e qualcosa in più.

Gli Stati Uniti non sono in difficoltà nell’area europea – dove stanno riducendo in crescente sudditanza l’Italia con le mosse degli ultimi due anni – e in fondo nemmeno in Africa e Medioriente, dove hanno svolto con l’Amministrazione Obama una strategia (da noi definita del caos) con intendimenti non semplici da capire (ad es. liquidazione di due regimi stabili e filo-occidentali nel senso di filo-americani come quelli in sella da tempo immemorabile in Egitto e Tunisia); una strategia che sembra avere risvolti non sempre favorevoli ad una sicura obbedienza alla potenza d’oltreatlantico. L’aggressione alla Libia ha distrutto il labile “asse” Mosca-Roma-Tripoli, dato che accanto alla liquidazione di Gheddafi ha ottenuto anche il risultato di rendere complice il Berlusconi, impaurito e ormai con le mani legate ed una spada di Damocle sempre pendente, che lo costringe a galleggiare e barcamenarsi alla bell’e meglio, contribuendo ad un rimescolamento delle carte in Italia; per il momento ancora molto confuso, ma comunque chiaramente intenzionato a spappolare ogni nostra minima autonomia.

I cambi di regime in alcuni paesi arabi “moderati” – evidentemente ormai considerati delle vecchie carcasse non più adatte ad una politica estera di movimento come quella necessaria in fase di crescita del multipolarismo, con particolare attenzione dedicata alla Russia – sono andati incontro a varie incertezze, tuttora in atto, ma non devono essere considerati in perdita per gli Usa. Credo che si sia stati superficiali pure nel giudicare l’apparente ritirata (trattata da sconfitta obamiana) sulla questione siriana, dove si era arrivati ad un passo (forse più nelle apparenze che nelle intenzioni effettive) di intervento americano coadiuvato dalla UE. Sia in Siria che in Libia, la Germania è apparsa contraria(ta) e si è astenuta, pur non rifiutando rapporti con i “ribelli” in entrambi i paesi (in un caso apparenti vincitori, creando il caos più completo, e nell’altro in forti, ma non definitive, difficoltà).

Nella crisi libica la Russia non ha nemmeno esercitato il suo diritto di veto all’ONU, in Siria l’ha promesso ma non ha dovuto andare fino in fondo. Nel contempo, ha trattato con gli Usa e mi sembra che di fatto abbia acconsentito a favorire in modo non troppo manifesto eventuali compromessi fra Assad e alcune forze ribelli; e non escluderei nemmeno che abbia preso in considerazione la sostituzione del leader siriano a tempo debito, il che spiegherebbe adeguatamente la “ritirata” degli Usa e della UE (salvo i mugugni della Francia, quella di “sinistra”, che gioca la parte, credo concordata, del “più realista del re”, come sta facendo adesso pure con l’Iran, in finto contrasto con i cauti passi compiuti dagli americani in quella direzione). Non sappiamo per nulla fino a che punto si siano spinti i russi nelle concessioni, ma comunque sono stati messi sulla difensiva e vi potrebbe essere qualche ritardo nell’avanzamento del processo multipolare.

Vi è un altro punto del documento “strategico” tedesco che solleva perplessità. In esso si approva la creazione di una zona di ancor più ampio “libero scambio” tra Usa e UE. Come aveva notato l’Huffington post, “l’accordo di libero scambio tra Usa e Ue darà potere politico alle multinazionali, che potranno impugnare le leggi degli Stati che bloccano il business”. Tale risultato sembra in netta contrasto con le intenzioni dichiarate nel documento (comune ai due grandi partiti) di più robusta politica estera dello Stato tedesco; c’è qualcosa che non torna e stride. Anche perché il potere predominante delle multinazionali è la solita “bufala” che si è sentita raccontare da tutti coloro (perfino da quelli dediti ad ultracontestazioni anticapitalistiche e antimperialistiche) che di fatto agiscono, mediaticamente, di conserva con le intenzioni strategiche degli Usa (del loro Stato non multinazionale, molto nazionale invece).

Sarà necessaria la massima attenzione agli sviluppi dei prossimi anni (e decenni, almeno due), ma ribadisco la somiglianza tra quest’epoca (di multipolarismo avviato a zig zag, con continui avanti e indietro, verso un effettivo policentrismo) e quella “dell’imperialismo” (termine ormai usurato e da cambiare: ne riparleremo) degli ultimi decenni dell’800 e primi anni del XX secolo. Naturalmente, sempre tenendo conto che Tutto torna ma diverso (titolo di un mio libro come al solito ignorato dai media perché non accettabile da parte di un ceto intellettuale di meri cortigiani “spennacchiati” e “rochi”). Le “sfide” e le “alleanze” (sempre friabili come grissini) si alterneranno e ci obbligheranno a molti mutamenti d’opinione e di ipotesi.

In questo momento, ritengo che Obama (sempre un nome per dati gruppi dominanti) ha maggiori (non certo insormontabili) difficoltà per motivi interni, non ben decifrabili invero. Comunque, il Wikileaks, Snowden, il datagate, rappresentano “fastidi” procuratigli da “qualcuno”. Tali attacchi non hanno però avuto la rilevanza del solo Watergate con cui fu liquidato Nixon (nel giro di circa due anni sempre in crescendo). Probabilmente, non si tratta di effettiva volontà (o forza) di sostituire l’attuale presidente, soltanto di richieste di “aggiustamenti” e di partecipazione a determinati vantaggi provenienti da ambienti che vi si sentono attualmente esclusi. Sul piano della politica estera, si notano alcune difficoltà, dei mutamenti di rotta, non però nel senso dell’andare alla cieca.

Anche quanto verificatosi in Libia e le vicende riguardanti l’Egitto o, appunto, la Siria, ecc. non nascondono in realtà una certa coerenza nel cercare alleati (con la consapevolezza della loro scarsa affidabilità) nel mondo islamico, mediante un insieme di manovre apparentemente contraddittorie e che hanno risvolti imprevisti e non positivi del tipo di quello verificatosi a Bengasi (tuttavia, vi è stato del can can ma poi…..). Alleanze non con l’islamismo nel suo complesso bensì con suoi settori in grado d’essere molto utili, sul piano strategico più generale, sia in Africa e Medioriente sia nelle Repubbliche centrasiatiche, dove vi sono sempre possibilità di creare difficoltà alla Russia; e, inoltre, con un occhio pure al Pakistan e all’Afghanistan. Come già detto in passato, insisto nel sostenere che alla fine ci si accorgerà – malgrado si noti sempre la sottovalutazione di certi eventi – dell’importanza rivestita dall’avvento alla presidenza iraniana di un uomo (sempre in quanto rappresentante di dati gruppi dominanti), che procede a passi di piombo (del tutto indispensabili in quel paese!) non essendo però contrario a compiere piccole e caute aperture verso “occidente”; se riuscirà nel suo intento è impossibile “divinarlo”, ma l’evidente nervosismo israeliano è piuttosto indicativo in proposito.

4. Non mi sono dimenticato della Germania e del documento strategico di cui si stava parlando sia pure per cenni. Attualmente, la sua dirigenza – considerata complessivamente nonostante ovvie differenziazioni soprattutto tattiche tra i vari organismi politici, rappresentativi dei diversi gruppi dominanti – sembra porsi in un’ottica che cercherò di sintetizzare come segue. Nessuna particolare e accesa contestazione del predominio statunitense, tentativo invece di farsi accreditare quale bastione di rinforzo degli Usa in Europa per contenere la Russia, Non però attuando una rigida politica d’antagonismo rispetto al grande paese ex sovietico; anzi tutto il contrario. Si tratta di incrementare i rapporti con esso, soprattutto vellicandone gli interessi energetici onde spingere in quella direzione gli sforzi economici russi, che hanno precisi risvolti politici. Sarebbe invece controproducente mettere in difficoltà la Russia da quel lato (mediante vari oleodotti e gasdotti verso l’Europa di più aperto interesse statunitense), perché malgrado certe difficoltà la si spingerebbe ad una maggiore diversificazione dei suoi settori economici, in specie di carattere strategico. Comunque, non credo che la Russia sia così ingenua da cadere nel tranello; i tedeschi (e gli Usa) se ne rendono conto, ma da ogni parte si cerca intanto di trarre il massimo profitto dagli “ondeggiamenti” tattici. E’ un processo tipico nel multipolarismo.

Gli Usa rivolgono critiche alla Germania per una certa sua protervia verso gli altri paesi europei, ma non credo che simili “rimbrotti” siano così severi e convinti come sembrano; sono invece intessuti della quintessenza della politica come inganno e “lingua biforcuta”. Solo una qualche dose di autonomia può consentire al più forte paese europeo di svolgere la sua funzione di guardiano degli interessi Usa nella nostra area; e simile funzione verrebbe indebolita se esso fosse trattato come l’Italia, poiché gli industriali tedeschi non sono semplici “cotonieri” del tutto interessati ad una subordinazione di complementarietà con il sistema economico-politico statunitense. I gruppi (sub)dominanti tedeschi, insomma, vogliono essere considerati dei “camerieri” di riguardo, meglio detto degli algidi “maggiordomi”.

I “cotonieri” italiani hanno contribuito a indebolire i settori produttivi strategici che, per ragioni storiche (come già rilevato in altro articolo), erano “pubblici” ed in mano alla Dc, con partecipazione minore del Psi. Con il cambio “giudiziario” del vecchio regime politico, l’Italia è entrata in un processo di indebolimento progressivo della sua autonomia fino allo sbocco odierno in direzione di una autentica subordinazione, favorita dalla devastazione già compiuta nel paese dai Governi Napolitano-Monti e poi Letta, ma che si accentuerà ancora nel prossimo futuro. Si tratta di un’operazione non facile dopo vent’anni di distruzione della politica italiana – ridotta al giustizialismo, al moralismo ipocrita, alla polemica pro e contro un solo individuo – ma è comunque in pieno svolgimento. Essa è diretta da lontano dagli Usa di Obama, ed attuata in Italia da un sistema pseudo-politico, che è soltanto mera superfetazione del potere americano a partire dal suo vertice (suo dell’Italia, per non fraintenderci); sistema che vede pienamente coinvolto quello industrial-bancario (il capitale finanziario, ma nell’accezione leniniana, non in quella degli economisti cialtroni odierni) con tutta la sua stampa e i media vari.

Tale sistema, essendo costituito dagli “sguatteri” degli Usa, trova ovviamente consenziente nelle sue scelte di subordinazione la Germania, il “maggiordomo” del grande paese predominante. Fin qui sarebbe dunque possibile comprendere e accettare le critiche anti-tedesche. Se la Germania è tanto prodiga di elogi ad un Letta – come prima a Monti, mentre, teniamolo comunque presente, era inviperita con Berlusconi per i suoi, senza dubbio solo personalmente interessati, rapporti con Putin e Gheddafi – non possiamo non capire che il paese teutonico fa da tramite tra gli Usa, che fingono superiorità e distacco, e il servilismo dell’Italia, molto importante per gli statunitensi in funzione delle loro strategie verso sud ed sud-est. Di conseguenza, la polemica verso i germanici non deve mai far dimenticare chi è al vertice del campo internazionale di cui l’Italia sta divenendo uno degli ultimi gradini, mentre nel mondo bipolare essa era uno dei paesi rilevanti di tale campo antagonista di quello impropriamente detto “socialista”.

Non ha perciò per me alcun senso sparare a zero soltanto contro “i tudesc” quasi fossero i veri padroni d’Europa e i controllori della UE (subordinata agli intenti della Nato nei momenti cruciali). O per meglio dire, un senso c’è, ma è solo di porre un paravento di fronte agli Usa per nasconderne il ghigno prevaricatore e brutale. Così non va bene, non siamo d’accordo: la critica anti-tedesca deve prolungarsi senza più veli né mezzi termini verso l’abbattimento del paravento in questione. Altrimenti, l’intenzione della polemica non è l’affrancamento almeno parziale dell’Italia dalla sua pesante subordinazione servile. Si contribuisce ad accentuare la polemica interna all’area dei paesi dominati dagli Usa, si spingono gli stessi popoli ad un reciproco odio che favorirà sempre il paese preminente.

Se in questa particolare congiuntura della (non) politica italiana – in mano a piatti servitori degli Usa con l’appoggio dei “cotonieri” italiani; tutti insieme intenzionati fra l’altro a completare l’annientamento dei settori (“pubblici” per motivi storici) di carattere strategico – ci limitiamo a sollecitare sentimenti pseudo-nazionalisti inveendo contro la Germania prevaricatrice, noi semplicemente diamo una mano a coloro che intendono rafforzare la nostra dipendenza dallo “straniero”. Si espliciti senza mezzi termini e giri di parole che quest’ultimo è il paese d’oltreatlantico e non il nostro vicino tedesco, di cui semmai va messo in luce che esso pure non è così autonomo come finge d’essere. I partiti al comando in Germania, anche se in modo differente e con alle spalle un più robusto apparato produttivo, attuano una politica incapace di far diventare il paese una effettiva potenza. Da tali presupposti ben precisi deve muovere la critica alla politica tedesca; altrimenti, volenti o nolenti, si dà soltanto l’impressione di essere astiosi perché gli Usa non riconoscono agli italiani un più alto ruolo nel servirli. La lotta contro gli attuali governanti, che ci stanno conducendo al disastro, appare allora mossa, nel migliore dei casi, dal desiderio di avere assegnata dal “padrone” una funzione (sub)dominante di maggiore peso.

E’ quindi indispensabile la massima chiarezza nell’impostare la polemica. Al primo posto fra i nemici vanno posti i gruppi statunitensi oggi rappresentati dall’Amministrazione Obama. Poi vengono i tedeschi; non però la Germania tout court (ma nemmeno gli Stati Uniti sono da considerare in blocco). Distinguiamo i vari schieramenti politici, i gruppi sociali più rilevanti i cui rapporti costituiscono la struttura fondamentale di ogni dato paese; valutiamo, congiuntura per congiuntura, la loro diversità e i contrasti di diversa acutezza che scoppiano fra loro. Non tutti sono nemici dello stesso grado di importanza (e per tutti i secoli dei secoli); e alcuni possono essere ritenuti alleati almeno nella presente fase storica. Tanto per fare un altro esempio chiarificatore, in Francia dobbiamo dichiarare nemici particolarmente odiosi, e verso cui nutrire i peggiori sentimenti di avversione, i “sinistri” alla Hollande, seguiti ad una incollatura dai vari Sarkozy. Non così chi dichiara esplicitamente di pretendere autonomia rispetto agli Usa e la necessità di allargare i propri rapporti verso est, Russia in primo luogo; senza però commettere l’errore di considerare tale paese come un buon alleato di cui fidarsi sempre, come se fosse retto da governanti che nutrono sentimenti di giustizia ed eguaglianza tra i popoli.

L’errore più grande sarebbe in ogni caso quello di trattare Usa, UE e i diversi Stati nazionali europei come un’unica grande accolta di nemici, senza gradazioni interne, magari un unico sistema dichiarato “imperialista” secondo quanto pensano minimi ridicoli residui di tempi ormai tramontati da molti decenni. E qui si apre la necessità di afferrare bene l’importanza, nel periodo (di non breve durata) in cui ci troviamo ad agire, delle intenzioni “sovraniste” o come si vogliano chiamare. Lo vedremo.

[CONTINUA]


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