Andromeda Heights: Avventura tra Cactus e Magia

Creato il 10 luglio 2014 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Nella vita di ognuno di noi ci sono dei porti sicuri, quei luoghi confortevoli in cui rifugiarsi sapendo già cosa trovare. Uno di questi luoghi per me sono le pagine di Banana Yoshimoto. So già che molti di voi storceranno il naso adducendo la solita spiegazione che vede la nipponica scrittrice nei panni di una stupida sempliciotta poco incline ai contenuti e alla sostanza. Se la pensate così, smettete di leggere, non ne vale la pena perché sto per parlarvi del suo ultimo libro. Il titolo è già bello, come del resto tutti gli ultimi (High & Dry. Primo amore, Moshi moshi, A proposito di lei), Andromeda Heights è il primo volume (tradotto in italiano per I Narratori Feltrinelli da Gala Maria Follaco) della quadrilogia Il Regno, pubblicata in Giappone dal 2002 e che ha visto l’uscita dell’ultimo volume solo quest’anno (sorge spontaneo pensare quanto dovremo aspettare noi in Italia). In un condensato di novantasette pagine conosciamo Shizukuishi che, orfana di genitori, ha sempre vissuto con la nonna in montagna a preparare tè e infusi personalizzati per aiutare chi avesse bisogno di guarire il corpo o lo spirito. Quando la nonna si trasferisce però in Europa, la ragazza è costretta a traslocare in una grande città, portandosi dietro solo dei cactus. Proprio i cactus e la magia sono i protagonisti di questa storia, perché Shizukuishi parla con le piante e trova lavoro presso un sensitivo quasi cieco con il quale stringerà una forte amicizia.

Con il suo tipico stile, Banana ci racconta una storia dai toni delicati, quasi semplici. Il tema del magico non ci stupisce e l’abbiamo ritrovato più volte nei suoi libri, che poi a volerla dire tutta non si tratta di un magico da baraccone, da Sim Sala Bim, quanto la sensazione che ci sia un velo sottile che divide la quotidianità da una dimensione senza tempo e spazio nel quale fluttuano i fili del destino, della vita e della morte. E le due dimensioni vengono a contatto solo in presenza di certe persone, dotate di una sensibilità particolare, fuori dal comune. É la natura però che stavolta domina le pagine. Le piante hanno un significato vitale, sono lo snodo di tutti gli sviluppi della storia, i cactus sono gli spettatori “quasi” silenziosi della morte, della distruzione, della rinascita e dell’amore. Ho come la sensazione che la Yoshimoto del dopo 2000, rispetto alle opere precedenti, sottolinei la presenza della morte con maggiore intensità, un’aura funesta sembra essere sempre in agguato come a voler tenere sempre all’erta i suoi personaggi per evitare che possano cadere nell’oblio del trantran quotidiano. Un piccolo encomio va all’aver trattato con la leggerezza di un soffio, l’omosessualità. Credo che sia la prima volta che Banana inserisca l’amore tra due uomini, e lo fa con una naturalezza disarmante, con quel candore che solo lei riesce a dare. Un libro che sicuramente mi sento di consigliare a coloro che amano già questa scrittrice e il mondo affascinante del Giappone, così lontano dal pragmatismo occidentale nel quale sguazziamo. Una lettura lieve, che forse dura troppo poco. Peccato.


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