Non ho problemi con le saghe. Le amo. Quando lo scorso anno La Ruota del Tempo è finita, io mi sono sentita “orfana” di Robert Jordan tanto quanto mi ero sentita orfana nel 1997, quando lo scrittore era morto. La mia vita è cambiata durante la lettura della Ruota del Tempo, e non avrebbe potuto essere altrimenti considerando che lo letto per la prima volta L’Occhio del Mondo nel 1992 ho impiegato ben 21 anni a leggere un’unica storia. Ed è un’unica storia, anche se è divisa in libri. Piccoli problemi potevano venire risolti nei singoli volumi, ma la minaccia costituita dal Tenebroso evidente fin dal prologo veniva risolta solo alla fine dell’ultimo. E tutti i passi narrati da Robert Jordan, e poi anche da Brandon Sanderson, erano necessari per questa soluzione. Ritrovarmi, dopo oltre vent’anni, con la consapevolezza che non avrei potuto più scoprire nulla di nuovo nel mondo della Ruota del Tempo, accanto all’appagamento per aver finalmente potuto conoscere la fine della storia mi ha lasciato anche un senso di vuoto. E per quanto a qualcuno possa sembrare strano, per me la conclusione dei singoli libri è sempre stata soddisfacente, e non ho mai avuto quel disorientamento che può cogliere il lettore quando fatica a seguire la direzione presa dallo scrittore.
Ora ho appena letto un altro libro senza finale. Si tratta del Battesimo del fuoco di Andrzej Sapkowski. Più passa il tempo e più leggo lo scrttore polacco con una certa perplessità.
Il guardiano degli innocenti è una raccolta di racconti che affonda le sue radici in fiabe e folclore. Sword and sorcery fatta bene e appassionante visto che Sapkowski sa scrivere. Anche La spada del destino è costituito da racconti ma sono legati fra loro in modo più stretto e l’atmosfera si fa più cupa. Con Il sangue degli elfi iniziano i romanzi, costruiti in modo particolare, con salti avanti e indietro nel tempo narrativo, o scene descritte attraverso un punto di vista assolutamente marginale, comunque la costruzione è interessante. Sapkowski è stato anche capace di fare il passaggio che Robert Jordan ha compiuto tanto bene e su cui Terry Goodkind si è arenato.
Se non ho problemi a focalizzare i vari intrighi orditi da Martin, e con Sapkowski non distinguo un regno dall’altro (tranne Cintra e Nilfgaard) e non distinguo una maga dall’altra (tranne Yennefer) significa che ho qualche problema. Significa che io fatico ad andare avanti, a raccapezzarmi in quello che sto leggendo, e che evidentemente lo scrittore non è riuscito a mettere nelle sue storie quel qualcosa in più che me le avrebbe davvero fatte capire e amare. Un anno di distanza fra un libro e l’altro non è un intervallo così lungo da farmi dimenticare ciò che è avvenuto prima, non se quegli avvenimenti mi hanno davvero coinvolta. Invece in questo caso non so cosa stiano combinando i vari personaggi, mi perdo in intrighi che dovrei capire e quando mi sono resa conto che non stavo capendo nulla dell’albero genealogico di Ciri invece di prendere una matita e trascriverlo in forma ordinata – cosa che con altri autori ho fatto – me ne sono infischiata perché non l’ho ritenuto così importante. Non ero interessata a sapere, io che su certe cose ho sempre la brama di sapere. L’aspetto politico di questo libro per me è inesistente, sono parole su parole ma non mi comunicano nulla. I movimenti delle truppe ho smesso di capirli parecchio tempo fa, la presenza di una cartina nel libro non avrebbe fatto male. Ne ho scaricata una da internet ma quando ormai mi ero già persa, perciò ho rinunciato a fare i controlli che abitualmente faccio. Non mi interessavano. Sono andata avanti con quello che avevo, principalmente parole che parlavano di un viaggio, anche se di mezzo ci sono un intrigo da maghe che ho capito solo in parte e una ragazzina che non sa più chi è e sta diventando un po’ troppo assetata di sangue. La ragazzina non mi piace quanto Arya Stark, sono preoccupata per lei ma non così tanto. Le maghe non le distinguo, prima o poi mi tireranno qualche altra mazzata e io non capirò neppure da che parte è arrivato il colpo. Quanto al viaggio è un viaggio nel nulla. Scontri, profughi, fughe, nemici che spuntano fuori da tutte le parti perché in quel contesto anche chi dovrebbe essere un amico diventa un nemico, e una situazione di tempo sospeso, di storia sospesa, che non porta a nulla. Alla fine siamo dov’eravamo all’inizio, solo che Sapkowski non ha neppure la scusa, come Rothfuss, che il libro era troppo lungo e che doveva chiuderlo. O forse davvero era troppo lungo e doveva chiuderlo, cosa ne so io del mercato editoriale polacco? Questo in fondo è il suo libro più lungo, almeno fino a questo momento. L’ultima scena fa ridere, solleva un po’ il morale rispetto al tono precedente della storia, a quanto è appena avvenuto, ma alla fine ci fermiamo in mezzo al nulla, come se questo libro non ci fosse mai stato. Carino, scritto bene, anche qualche riflessione interessante, ma davvero c’era bisogno del Battesimo del fuoco?