Le opere esposte appartengono alla collezione di Peter Brandt, un ricco uomo d’affari e intimo amico di Warhol che condivise insieme all’artista l’irripetibile clima di libertà e ricerca artistica degli anni ’60 e ’70. Peter Brandt, che è anche uno dei curatori della mostra, aveva a malapena vent’anno quando acquistò la sua prima opera di Warhol e lo aiutò nella realizzazione della rivista Interview, acquistata dopo la morte dell’artista. Ricordatevi di lui quando andrete al cinema a vedere The homesman, perché è uno dei produttori del film.
La mostra offre una panoramica completa della poetica e del complesso personaggio di Andy Warhol, che cercheremo di presentarvi attraverso dieci tra le opere più significative esposte.
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1) Gli esordi nel mondo della pubblicità
Elvis Presley(Gold Boot), 1956
“Credo che sia un artista chiunque sappia fare bene una cosa; cucinare, per esempio.”
Andy Warhol non iniziò la sua carriera nella bottega di un pittore, ma si fece le ossa nel mondo della pubblicità e delle illustrazioni per riviste e solo successivamente decise di dedicarsi all’arte a tempo pieno. A Palazzo Reale troverete alcune delle sue prime creazioni, con le eleganti scritte in corsivo realizzate dalla sua mamma, Julia Warhola, con cui instaurò un legame molto forte che non si sfaldò nel corso dell’età adulta.
2) Superficialità
DIAMONDS DUST SHOES, 1980
“Sono una persona profondamente superficiale.”
Cosa c’è di più frivolo di una scarpa col tacco? Le calzature nell’illustrazione sono belle, colorate, semplici e luccicanti nella loro polvere di diamante (i brillantini che spesso Warhol applicava alle sue opere). Si tratta di un prodotto di ampio consumo che il tratto accattivante di Warhol invoglia ad acquistare. Questo è l’effimero e frivolissimo messaggio di Warhol, non serve aggiungere altro né l’artista sente la necessità di esprimere un significato più profondo. Il pop è consumo, il pop è divertimenti, il pop è superficialità.
Coerentemente con la cultura pop nata con il boom del dopoguerra e affermatasi proprio in questo periodo storico, l’arte di Warhol tratta argomenti estremamente superciali e popolari. Il messaggio espresso dall’artista, che sia il fascino di una scarpa o il marchio impresso su uno scatolone di sapone Billo, non soltanto è immediatamente percepibile dal pubblico e non necessita di alcuna spiegazione, ma viene presentato in modo accattivante e scherzoso, in modo da conquistarsi il favore di un pubblico costituito dalla massa contemporanea americana.
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3) Ripetizione
Thirty are better than one, 1963
“Non è forse la vita una serie d’immagini, che cambiano solo nel modo di ripetersi?”
Siamo nell’epoca della produzione in larga scala mediante catena di montaggio: migliaia di oggetti identici gli uni agli altri vengono diffusi nei supermercati di ogni angolo dell’occidente e sono diventati popolari grazie ad un marchio che li rende immediatamente riconoscibili. E un marchio industriale diventa famoso solamente quando viene ripetuto ovunque nei negozi e nelle case degli occidentali.
Warhol si appropria della ripetizione nella propria produzione artistica sia realizzando opere “in serie”, mediante le tecniche che approfondiremo nel punto successivo, sia proponendo la ripetizione di un immagine prelevata dal repertorio popolare all’interno della stessa opera. La ripetizione non è solo un richiamo alla realtà pop, Warhol infatti sfrutta tale espediente per stupire il proprio pubblico e rendere più divertenti e trasgressive le proprie opere.
Nel caso delle trenta “fotocopie” della Monna Lisa, ci troviamo di fronte alla ripetizione della stessa immagine (che Warhol trasforma da soggetto artistico in una mera icona popolare) in bianco e nero, come se fosse la foto di un giornale. E’ singolare notare come le trenta piccole stampe, pur essendo identiche, presentano tante piccole imperfezioni che le rendono diverse le une dalle altre.
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4) L’America
SILVER COKE BOTTLES, 1967
“La cosa più bella di Tokio è McDonald’s. La cosa più bella di Stoccolma è McDonald’s. La cosa più bella di Firenze è McDonald’s. Pechino e Mosca non hanno ancora nulla di bello.”
Lattine di Coca-Cola, personaggi famosi, fotografie di eventi di cronaca, sedie elettriche, opere d’arte famose, fiori, banconote, scene tratte da un film, barattoli di zuppa… Le immagini selezionate da Warhol sono vere e proprie icone dell’America occidentale dell’epoca; a Palazzo Reale sono presenti anche alcuni dei celebri ritratti di Mao, che tuttavia Warhol riconosce semplicemente come un simbolo di un paese lontano e sconosciuto, ignorando cosa sia il comunismo. L’artista si è dunque trasformato da un “creatore” di soggetti artistici a “selezionatore” di immagini degne di essere modificate, riprodotte in serie e trasformate in emblemi della società. Oltre ad essersi dimostrato abile nella scelta dei soggetti più noti al suo pubblico, Warhol è stato anche in grado di trasformare in vere e proprie “Celebrities” dei soggetti sconosciuti come i barattoli di zuppa Campbell’s e, in primis… sé stesso!
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5) Andy Warhol superstar
SELF PORTRAIT (RED ON BLACK), 1986
Warhol riuscì ad affermarsi nel pantheon dei vips dell’epoca come una vera e propria Star. Naso ritoccato, parrucchino argenteo, abbigliamento rigorosamente controcorrente, una personalità unica e la straordinaria capacità di riuscire sempre a mettersi in mostra hanno trasformato Andy Warhol nel protagonista degli eventi mondani dell’epoca e in uno dei personaggi più popolari d’America.
Come testimoniano gli innumerevoli autoritratti, Warhol era ossessionato dal proprio aspetto pur ritraendosi sempre in pose assurde, infatti era solito affermare: “Mi piace essere la cosa giusta nel posto sbagliato e la cosa sbagliata nel posto giusto.”
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6) Celebrities
LITZ TAYLOR a Palazzo Reale
Liz Taylor, Mao, Marilyn Monroe, le fotografie di uno degli uomini più ricercati d’America, Elvis … Tra i soggetti più frequenti e conosciuti dal pubblico troviamo diversi personaggi famosi. Sin da bambino Warhol era ossessionato dai vip e dalla loro capacità di essere speciali pur essendo esseri umani come chiunque altro, infatti ritagliava dalle riviste e collezionava le loro figurine trascurando i giochi all’aria aperta con i suoi coetanei.
Come simbolo della mostra è stata scelta proprio Blue Shot Marilyn, un’opera dalla storia singolare, come testimonia un piccolo ovale bianco al centro della fronte della fotografia serigrafata di Marilyn. L’opera era esposta nella Factory insieme ad altre gemelle di colori differenti quando Dorothy Podber, una giovane donna in visita allo studio, chiese a Warhol di poter “Shot”, un verbo che in inglese significa sia fotografare sia sparare. Warhol acconsentì, credendo che la donna volesse semplicemente scattare alcune foto, peccato che la ragazza estrasse dalla borsetta una pistola e sparò in fronte ai volti sorridenti di Marilyn. Warhol si rifiutò di restaurare l’opera: «No, mi piace così, come se avesse una macchia o un brufolo».
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7) La factory e la fotografia
Un’immagine della factory dal web
“Uno è compagnia, due è folla e tre è un party.”
La factory è il quartier generale di Andy Warhol, uno studio dalle pareti tappezzate di carta stagnola argentata in cui l’artista e i suoi collaboratori davano vita alle loro creazioni, organizzavano party e altri esclusivi eventi mondani, intrattenevano pubbliche relazioni e si davano all’allegra dissolutezza tipica dell’epoca. Attraverso la fotografia e, in particolare, i piccoli ritratti esposti in semicerchio in una sala della mostra, possiamo intuire il rapporto che Warhol aveva instaurato con il mondo delle celebrità e la sua movimentata vita sociale.
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8) Money
Scorcio della mostra a palazzo reale
Con Andy Warhol l’arte diventa un bene di consumo per le masse ed il fine ultimo dell’artista non è differente da quello di ogni altro essere umano: fare soldi. Warhol dedicherà svariate opere all’argomento e diversi celebri aforismi come i seguenti:
“Fare denaro è un’arte. Lavorare è un’arte. Un buon affare è il massimo di tutte le arti.”
“Non mi piacciono gli assegni. Ho più l’impressione di comprare se pago con i soldi.”
“Io ho cominciato come artista commerciale e voglio finire come artista del business.”
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9) La morte
SEDIA ELETTRICA
Sotto la scorza superficiale di un vip ossessionato dalla popolarità si nasconde un uomo che attraverso l’arte esprime e rielabora il proprio personale rapporto con la morte. Warhol moltiplica e tinge di provocatori colori sgargianti alcune raccapriccianti immagini di morte come incidenti di automobili mortali o di una sedia elettrica, raffigurata come un moderno crocifisso. L’immagine della morte si mimetizza anche in simboli apparentemente più allegri come i Flowers: i fiori infatti sin dall’antichità sono considerati sia delle straordinarie bellezze naturali sia delle vanitas, vale a dire dei simboli della caducità della vita. Un altro riferimento alla morte è Skull (Ayn/Grey) del 1976, uno dei tanti teschi realizzati da Warhol che, come nell’antichità, ricordano all’essere umano qual è l’aspetto finale che alla fine ci accomunerà tutti.
La morte è infine un tema molto triste per quanto riguarda Andy Warhol che, oltre alla bravata relativa alle quattro opere di Marilyn, subì ben due attentati nel corso della sua vita, il secondo dei quali gli fu fatale. Ecco cosa affermò Warhol dopo essere sopravvissuto al primo attentato: “Mentre mi sparavano era come se stessi guardando la TV e questa sensazione perdura. I canali cambiano, ma è sempre televisione…Quando mi sono svegliato in quel posto sconosciuto – non sapevo di essere all’ospedale né che avevano sparato a Bobby Kennedy il giorno prima – ho sentito vociferare su migliaia di persone riu nite a pregare nella cattedrale di St. Patrick, poi ho sentito la parola ‘Kennedy’ e questo mi ha riportato al mondo della televisione e in quel momento ho realizzato che ero vivo, e che soffrivo.”
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10) Il rapporto con l’arte
OXIDATIONS PAINTING, 1978
Warhol è un esponente della Pop Art che più volte, nel corso delle interviste e della sua movimentata vita sociale, afferò di essere troppo superficiale e commerciale per confrontarsi con l’arte tradizionale e ciò che altri artisti suoi contemporanei stavano realizzando nello stesso periodo. Eppure Warhol non si limita a rielaborare le opere d’arte altrui come delle mere icone popolari, ma realizza anche delle opere raffiguranti delle tradizionali nature morte composte da fiori, teschi e, anche se non sono presenti in questa mostra, composizioni di frutta.
Per quanto riguarda l’arte moderna, Warhol commenta l’operato altrui in modo scherzoso e dissacrante. E’ il caso di Ombre, un’opera bicromatica in rosso e nero su cui sono visibili delle pennellate spesse e cremose; a prima vista sembrerebbe un dipinto realizzato con i metodi tradizionali ma, osservando l’opera più attentamente, ci si accorge che i contorni delle pennellate non seguono le sfumature dei colori. Si tratta di un inganno, infatti la serigrafia in rosso e nero è stata realizzata su una tela ricoperta di pennellate di colore neutro. Oxidations Painting è invece un omaggio a Pollock, realizzato su un’enorme lastra di metallo ossidata dalle urine fornite da un gruppo di collaboratori della Factory. L’ultima mostra di Pollock poi previde una serie di opere realizzate rielaborando il celebre affresco dell’ultima cena di Leonardo da Vinci.
Nonostante Warhol si sia sforzato di rinnegare l’arte del passato con il suo stile ribelle e dissacrante, non è dunque riuscito ad evitare il confronto con i suoi predecessori.
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Un simpatico consiglio…
Terminata la mostra, dovreste assolutamente dare un’occhiata ai libri cartonati esposti nell negozietto di Souvenir. Non si tratta di banali libretti per bambini, ma di vere e proprie opere Pop Art. Sono davvero meravigliose, provare per credere!
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