Barattoli, fiori, tramonti, star, personaggi famosi e miti brillano tutti insieme, immortali e coloratissimi, nella polvere di diamante di Andy Warhol
Al museo del 900 di Milano è aperta, dal 5 aprile fino all'8 settembre 2013, la mostra temporanea intitolata "Andy Warhol's Stradust", che ospita alcune delle stampe più significative della collezione Bank of America Merrill Lynch del genio della Pop Art.
Ieri, durante una capatina in quel di Milano, non mi sono fatto scappare l'occasione di visitare gratis per la seconda volta il bel museo del 900 e di conseguenza anche questa esposizione temporanea.
Andy Warhol è sicuramente uno dei geni indiscussi del novecento. La Pop Art, di cui è stato creatore e alfiere incontrastato, ha influenzato in modo indelebile non solo la storia dell'arte, ma anche il modo di pensare all'arte stessa.
L'opera di Andy Warhol ha reso democratica l'arte, l'ha resa popolare, l'ha dissacrata, sconvolgendone definitivamente il canone di unicità ed elitarietà, confondendone i parametri con gli oggetti della percezione comune, sfumandone i contorni e accogliendo al suo interno le istanze della nuova società di massa, quella della televisione, del cinema, della pubblicità, dei fumetti e dei supermercati. Warhol ha portato alle estreme conseguenze quel processo che Walter Benjamin avrebbe chiamato "perdita dell'aura", che si fa strada nel mondo dell'arte con la riproduzione tecnica e la produzione seriale.
Se da un lato la Pop Art si accoda alla società del consumo e attraverso la ripetizione sembra svuotare l'opera del suo significato artistico accomunandola alla pubblicità e al prodotto commerciale, dall'altra parte, nell'opera di Warhol, cresce una nuova dimensione "auratica", tutta nuova, che nasce con i nuovi miti popolari e con il divismo cinematografico e musicale. E' prorio alla luce di questa seconda tendenza che possiamo interpretare al meglio il titolo di questa mostra, ovvero "Andy Warhol's Stardust". La polvere di stelle, infatti, non è solamente la polvere di diamante utilizzata dall'artista per rendere più scintillanti le sue stampe, ma sta anche ad indicare la volontà e la capacità dell'arte di creare icone immortali, simboli da venerare per sempre, alla stregua degli antichi monumenti funebri o religiosi, ma il cui contenuto è calato nella vita comune ed è alla portata di tutti. Su questo terreno trova significato la celebre frase di David Bourdon del 1975 secondo cui " i ritratti di Warhol non sono documenti del presente ma icone in attesa del futuro".
La mostra segue un andamento cronologico, partendo dalle serigrafie della fine degli anni '60 fino ad arrivare a quelle degli anni '80.
Entrando nel corridoio che ospita le stampe incontriamo immediatamente le celebri "Campell Soup", "Flowers", "Sunset" per poi arrivare ai "Grape"s e "Space Fruits". In questa prima parte del percorso viene messo in luce l'aspetto puramente seriale e decorativo delle opere, prodotte principalmente dai membri della Factory e poi ritoccate e modificate dallo stesso Warhol. Il carattere commerciale e popolare espresso nella riproduzione tecnica di soggetti comuni è la caratteristica principale del lavoro Warholiano di questo periodo, estrinsecazione magistrale dello spirito del tempo di cui l'artista è sempre stato un interprete formidabile.
Proseguendo nella visita troviamo le cover di Interview, la rivista da lui fondata nel 1969, insieme alle celebri copertine degli album Sticky Fingers dei Rolling Stones e The Velvet Underground and Nico dell'omonimo gruppo. Poi quattro stampe dedicate al grande Alì, con un interessante didascalia che ci riporta ai problemi razziali e alla vicenda scandalosa di Rubin "Hurricane" Carter, al quale Bob Dylan dedicò la traccia di apertura di "Desire" del 1976.
Per finire troviamo due serie di dieci ritratti. La prima serie, denominata " Dieci ritratti di ebrei del XX secolo", ci mostra dieci celebri personaggi del secolo scorso, immortalati con icone destinate al futuro, veri e propri monumenti celebrativi di un'epoca e le sue personalità. Vi troviamo Franz Kafka, Sigmund Freud, Albert Eistein, Gertrude Stein, Martin Buber, George Gershwin, Golda Meir, Groucho Marx e i suoi fratelli, Luis Brandeis e Sarah Bernhardt.
La seconda serie è invece quella dei Myths, eroi dei fumetti, dell'immaginario popolare e dei cartoni animati ritratti esattamente alla stessa maniera di personaggi celebri in carne ed ossa. Si va da Superman a Babbo Natale, da Mickey Mouse a Dracula. Il mito, il personaggio pop, gli eroi di universi fantastici come fumetti o cartoni animati, vengono immortalati in icone sacre, il nostro occhio non può far a meno di vedere in questi dieci ritratti la stessa forza simbolica incarnata dai ritratti della serie precedente. Sono immagini che rimandano ad altro, perchè sono l'espressione del mito di un' epoca ancora prima di essere ritratti.
La mostra è chiusa dal ritratto pop per eccellenza, l'icona che forse di più incarna la divizzazione di un personaggio attraverso un'immagine che può essere prodotta e modificata all'infinito, cioè il ritratto di Marylin Monroe, tratto da una foto dal set di Niagara del 1953.
Concludendo, "Andy Warhol's Stardust", pur non essendo una mostra molto ampia, è un' occasione interessante per ammirare ed entare in contatto con l'opera e il pensiero di uno delle più grandi personalità creative del '900, sicuramente una bella esperienza per gli occhi e per la mente.
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