Le stelle sono dei corpi celesti che brillano di luce propria e, come le star del cinema, le mode e gli usi, esplodendo lasciano dietro di loro una scia di polvere luccicante. Lo stesso scintillio che pervade le opere creative del re della Pop Art, Andy Warhol. Andy Warhol’s Stardust – Stampe dalla Collezione Bank of America Merrill Lynch è il titolo della mostra recentemente inaugurata al Museo del Novecento di Milano e visitabile fino all’8 settembre 2013. Allestita al piano terra del museo milanese, l’esposizione è concentrata in un corridoio, scelta non casuale con il suo voler richiamare il vero luogo simbolo della nostra epoca: il supermercato. Siamo nel secondo dopoguerra quando l’Europa rinasce dalle sue ceneri e la cultura americana è dominata dall’immagine, quella di Hollywood, delle pubblicità e della televisione. Con un piccolo passo avanti ci ritroviamo negli anni Sessanta, quelli del boom economico. Il benessere entra nelle case assieme ai frigoriferi, le lavatrici e i televisori. È in questo momento che l’arte incontra i mass-media dando vita alla Pop Art ed Andy Warhol ne è il più tipico narratore.
Polvere di stelle evoca la straordinaria capacità di Warhol di creare icone immortali e scintillanti. Anche gli oggetti di uso comune, come le bottiglie della Coca Cola, le monete da un dollaro o le lattine di zuppa Campbell’s, erano innalzate al livello di opera d’arte. In mostra New England Clam Chowder from Campbell’s Soup II, portfolio di dieci serigrafie su carta. La stessa identica immagine di contenitore per zuppa ripetuta per dieci volte. I lavori sono disposti uno accanto all’altro. Quello che cambia è solo il gusto dell’ormai mitico prodotto: formaggio, funghi o pollo. Il tutto senza uno scopo di denuncia, ma solo per documentare un’esistenza dettata dai consumi.
La procedura che utilizzava Warhol era standard: con una Polaroid Big Shot, scattava sessanta foto del soggetto e poi tra queste ne sceglieva quattro: stampa, rielaborazione, ingrandimento e serigrafia, a volte anche con polvere di diamante. Per realizzare Howdy Doody, Babbo Natale e Zio Sam, in mostra ora al Novecento, furono pubblicati degli annunci per trovare persone che assomigliassero a questi personaggi, da fotografare per realizzare le serigrafie. Un turbinio di colori fluorescenti per Marilyn Monroe, ma anche Albert Einstein e i fratelli Marx. «Dracula assomiglia al Kafka dell’altra serie. Entrambi emergono dal buio come fantasmi», sosteneva il critico d’arte Barry Blinderman. Le stesse tonalità fluorescenti erano utilizzate per rappresentare Space Fruit, composizione meno definita rispetto a Grapes, dove la polvere di diamante è usata per rifinire la stampa e aggiungere alle serigrafie un’aura di preziosità.
Agli occhi di un bambino questa mostra è divertente ed è una scoperta. Succede anche che una bimba si fiondi giù dal passeggino per piazzarsi di fronte a Mickey Mouse, gridando al padre «Guarda! Topolino». Chissà che non avesse la stessa spensieratezza Warhol quando alla domanda di Blinderman, «Quale artista americano ammiri?», rispondeva: «Walt Disney. Mi tira fuori dai guai».
Le fotografie inserite in questo articolo sono di Maria Veronica