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Risulta quantomeno irritante constatare che una pellicola ipercostata e pluripremiata come “Titanic” (1997) di James Cameron si sia soffermata su una patetica e artefatta storia d'amore a scapito delle centinaia di reali e travolgenti avventure vissute dai protagonisti del dramma consumatosi la notte del 15 Aprile 1912.Quando il grande transatlantico si inabissò nell'Atlantico, più di mille persone finirono nelle acque ghiacciate dell'oceano, lottando disperatamente contro i flutti e l'ipotermia nel vano tentativo di raggiungere le venti scialuppe che incrociavano non troppo lontano dal luogo del relitto. Una di esse, un canotto pneumatico di tipo Engelhardt, era stata gettata in mare capovolto immediatamente prima che la plancia del Titanic venisse sommersa. Circa trenta uomini riuscirono a raggiungere questo mezzo di fortuna, arrampicandosi sulla chiglia per poi mantenere un lungo e sfibrante gioco di equilibrio – il canotto rischiava in ogni momento di affondare del tutto a causa dell'eccessivo peso dei suoi occupanti – in attesa dei soccorsi, che giunsero solamente all'alba. I naufraghi a bordo dell'imbarcazione, guidati dall'eroico secondo ufficiale, Charles H. Lightoller (che sarà l'ultimo superstite a salire sul ponte della nave soccorritrice, la Carpathia) trascorsero circa tre ore in piedi sulla chiglia, schiena contro schiena su due file, tentando disperatamente di mantenerne il bilanciamento.Il colonnello Archibald Gracie era fra i pochi fortunati riusciti a salire sull'Engelhardt capovolto. Questi si accorse che l'uomo a lui vicino indossava un berretto ancora asciutto. Quando Gracie, quasi assiderato, gli chiese se poteva avere in prestito il copricapo per qualche istante così da scaldarsi un po' la testa, l'uomo ribattè, laconicamente: «E io cosa dovrei fare?»Un aneddoto, questo, che esemplifica la crudezza della lotta per la sopravvivenza che spesso caratterizza i rapporti fra gli individui, a prescindere dalle convizioni religiose o morali alle ognuno, soggettivamente, risponde.