Un uomo diviso fra più patrie, l’abitante di una terra di mezzo di cui non si vedono i confini, l’esule in cerca di una nuova identità che seguita a guardarsi indietro. Di recente sembra che abbia detto che non voleva gli occhi a mandorla… Ma come si fa a nascere a Taiwan con una famiglia in fuga dalla Cina e non averli? Indubbiamente è stata proprio questa Cina della diaspora a creare le contraddizioni da cui Ang Lee, per fortuna del cinema, non ha saputo più liberarsi. Tutta popolata dai cinesi più tradizionalisti, che scappavano dal Comunismo di Mao, già negli anni della guerra fredda, l’America aveva contribuito a farne una delle sue immagini speculari più riuscite e vivibili per far morire di rabbia i cinesi rimasti sul Continente… Lusso, slanciati grattacieli e tutto “l’American way of life”! Si pensava che sarebbe stato facile per i giovani assimilare le nuove usanze… Loro che in fondo in Cina non c’erano mai stati. Ma c’erano i padri, i nonni, gli intellettuali che si sentivano più cinesi di quelli rimasti in patria e nella traversata dello stretto di Formosa si erano portati appresso, oltre alle loro spesso cospicue ricchezze, anche le tradizioni, la religiosità, i costumi e la voglia di non cambiare. Negli ultimi venti anni ormai, il mondo si è rapidamente globalizzato, molte differenze sono venute a cadere e i grattacieli di Shangai oggi sono più slanciati di quelli di Taipei, ma per uno come Hang Lee che era giovane negli anni ’80 le cose diverse erano ancora troppe…Nella famiglia si sentiva ostacolato e criticato e le prove di cinema che aveva tentato non erano state accettate da nessuno. Così se ne andò in America, le biografie ufficiali dicono in cerca di fortuna, più sicuramente in cerca di se stesso e di una nuova libertà. Ma della famiglia raffinata e colta in cui era vissuto e del National Taiwan College of Art, che aveva frequentato in patria, aveva assorbito tutto e, all’Università dell’Illinois come a quella di New York, gli insegnarono certamente le migliori tenciche teatrali e cinematografiche, ma poco influirono sul suo spirito.Voleva girare le spalle alla Cina Nazionalista o Popolare che fosse e invece quando si trattò di scelte serie si prese una moglie americana, quasi cinese. Voleva fare il cinema all’occidentale e le sue prime opere sono un’originalissima rivisitazione americana della sua patria orientale… Anche i film che verranno dopo, quelli di ambiente tutto occidentale come “Brokeback Mountain” o “Ragione e Sentimento” hanno quei personaggi pieni di contrasti e quella raffinatezza formale che sono tipici del regista, ancora impregnato delle sue scissioni personali e dei preziosismi filtrati dalla sua educazione asiatica.
Fitta di premi e di riconoscimenti al mondo di Ang Lee, è “La trilogia Meticcia” o “Father knows best”. E’ un intero ciclo di film tutto dedicato a personaggi cinesi e a contrasti generazionali, trattati con quell’estrema leggerezza che è una delle cifre stilistiche più ricorrenti del regista. Nel primo di essi,”Pushing Hands” c’è il disagio di un padre arrivato in America da Pechino, tutto ancora racchiuso nell’etica confuciana e nelle arti marziali. Come in uno choc si trova immerso in una famiglia tipo americana individualista, sicuramente banale e per lui un altro mondo. Con ironia, un po’ di comicità e molto garbo, la sorpresa del film sarà che, al contrario di quello che si poteva immaginare, sarà proprio l’anziano signore a rompere la tradizione lasciando la casa del figlio per cominciare da solo una nuova vita all’”Americana”. Estremamente divertente il secondo film “Banchetto di Nozze” con due
sprovveduti genitori di Taiwan che in un irriverente e spassosissimo gioco degli equivoci, arrivano in America per le nozze del figlio del tutto all’oscuro che è gay e ha organizzato il matrimonio farsa per accontentare i genitori e le tradizioni del suo paese. Il terzo film della trilogia “Mangiare, bere, uomo, donna” lo ambienta direttamente in patria con un padre e le sue tre figlie. Il padre, la tradizione l’interpreta con la ricchissima e complicata cucina di cui è stato un grande chef. Le figlie ciascuna a suo modo sono distratte e lontane e i conflitti fra di loro emergono inesorabilmente al pranzo domenicale a casa del padre dove lui cerca di tenere la famiglia unita con la sua arte ineguagliabile di cuoco ormai in pensione. Sarà anche in questo caso l’uomo anziano a funzionare come “Deus ex Machina, sposando una donna giovane e lasciando le figlie libere al loro destino. il contrasto con Taiwan ancora una volta il regista lo affronta con il salto generazionale, ma l’amore inguaribile per la sua terra, anche se matrigna, lo esprime anzi, è il caso di dirlo, lo celebra con il rito quasi miracoloso della cucina. La rapidità dei gesti, la precisione dei tagli, il repentino sacrificio degli animali… come su un antico altare, quei bagliori di fuoco improvviso, persino le nere fumanti padelle… Tutto è orgoglio, passione e rispetto per quella tradizione che nonostante tutto gli riempie il cuore.Hanno provato a contare le ricette del film… Sembra che siano 150. Abbiamo scelto, tipica della cucina cinese di Taiwan, i “Ravioli al vapore con ripieno di granchio”.Una ricetta in apparenza delle più semplici, ma affidata all’estrema cura delle materie prime. Direttamente sconsigliato il granchio congelato o quella strana polpa detta di granchio sulle etichette, in realtà Surimi che è tutta un’ altra cosa. Occorre utilizzare invece un granchio fresco e il risultato sarà perfetto.
RAVIOLI AL VAPORE CON RIPIENO DI GRANCHIO
INGREDIENTI per 4 persone: 150 grammi di farina, 300 grammi di polpa di granchio, la scorza di un limone, coriandolo, zenzero, polvere di 5 spezie (si acquista negli store orientali), olio extra vergine di oliva, sale, pepe, 1 cucchiaino di zucchero di canna, salsa di soia,aceto di riso, salsina piccante, zenzero e cipollotti freschi tritati,qualche foglia di verza o cavolo bianco, una manciata di piselli,acqua, un pugno di riso.
PREPARAZIONE: Scaldate l’olio nella wok,aggiungete la polpa cruda di granchio estratta dal corpo, dalle chele e dalle zampe dell’animale, lo zucchero e fate rosolare a fuoco medio per qualche minuto. Aggiungete la scorza di limone, le spezie e il sale, il pepe e togliete dal fuoco. Gettate l’olio in eccesso e trasferite in una ciotola aggiungendo le foglie di due rametti di coriandolo tagliuzzate.
Mettete ora la farina in una ciotola capiente e versateci sopra 250 grammi di acqua bollente a poco a poco mescolanco fino a ottenere una pasta omogenea.Coprite con un panno inumidito e lasciate riposare per 40 minuti almeno. Dopo questo tempo prelevate un pezzo di pasta per volta, tagliatelo a pezzetti e formate piccole palline che poi appiattirete e sopra le quali verserete un po’ di polpa del granchio. Avvolgete la pasta in modo da formare dei sacchettini leggermente aperti in cima che chiuderete con un pisellino.
Foderate il cestello della pentola a vapore con qualche foglia di verza o cavolo bianco ponetevi sopra i ravioli distanziati e mettete il cestello sulla pentola sottostante in cui bolle l’acqua. Cuocete per tre o quattro finuti,estraete dalla pentola e presentateli in tavola affiancati dalla salsa di soia,un pugnetto di riso lesso, salsina piccante, zenzero e cipollotti tritati.
(Attenzione, l’unica licenza che ci siamo permessi è l’olio extra vergine di oliva in sostituzione di quello di semi, perché ad alte temperature non è dannoso.)