ANCORA SULL’AMORE
Angela Bonanno, AMURI E VADDITI Editrice Uni Service 2009
Preceduto da un puntiglioso studio di Luigi Lo Cascio, il canzoniere amoroso di Angela Bonanno descrive, secondo un andamento a macchia d’olio, “l’amuri piccatu”, (l’amore come forma di peccato) di sconfitta, cioé, del progetto della casa e degli affetti.Incomincia, questo amaro ricamo, e con riprese successive, con appelli a capire, a riassumere – nella forma sincopata del detto popolare, del proverbio reinventato – qualcosa che, come sempre, non ha parole per essere definito esattamente:
u duluri àutri nomi non nni sapi
si vota sulu s’o chiami duluri
il dolore altri nomi non ne ha
si volta solo se lo chiami dolore
p.31
unni si ni ienu
l’occhi
dove se ne sono andati
gli occhi
p 34
sangu friscu sangu bonu
a testa leggia
mbriaca di vita
sangue fresco sangue buono
la testa vuota
ubriaca di vita
p 36
Questi epigrammi rimandano a uno spaesamento, a un silenzio in cui, improvvisamente, si aprono nella mente spaccati di consapevolezza amara, e i pensieri si fanno saggezza essenziale. Saggezza che non insegna nulla, certo; piuttosto piccole note dovute al dolore.
Questa donna affranta, tuttavia, non si arrende alla vita, non rinuncia al guizzo che illumina il piccolo gesto, la forza della sopravvivenza:
acqua e sapuni
fazzu palluni
mumenti d’amuri
acqua e sapone
faccio bolle
momenti d’amore
p 37
L’ironia si mischia con l’amarezza e diventa guazzo pittorico, efficace prospettiva di un espressionismo che ben si sposa con la ruvidezza della lingua:
mi susu prestu
lassu nt’o pettini
capiddi ruppa ruppa
mi nficcu n surrisu
u megghiu d’a iurnata
nesciu
m’arrialu ô munnu
mi alzo presto
lascio nel pettine
capelli pieni di nodi
mi infilo un sorriso
il migliore della giornata
esco
mi regalo al mondo
p 99
E’ una donna moderna, quindi, che non celebra il lutto nascosta per vergogna dietro le persiane accostate, ma esce per le strade e affronta le ganasce del mondo, si butta nel carnevale della splendida vita e prova a ricominciare:
sugnu fimmina
sugnu firuta
haiu ncagghi e
m’annacu ncazzusa
bistemmiu di duluri
e sputu
tra na dogghia e n’autra
m’arrizzettu
ma quannu é ura
parturisciu focu
sono femmina
sono ferita
ho fessure
e mi dondolo irritata
bestemmio di dolore
e sputo
tra una doglia e un’altra
mi quieto
ma quando è ora
partorisco fuoco
p 109
Come si vede, questa lingua diretta e spartana, non sopporta l’ombra, la sfumatura del sentimento. Procede per istinto, fiutando, come un cane, il vento del sommovimento interiore e calmandosi, almeno provvisoriamente, dopo il testo. Testo, dunque, come farmaco, medicamenta, schizzo pittorico usando il rosso del sangue e il nero del carbone. A volte percepiamo il clamore abbagliante della luce, ma in funzione di scherno, di tragico imbellettamento del destino.
occhi nt’a ll’occhi
u sangu si fa duru
a nozzula arrizzola
si rumpi
non mi lassari peri peri
arricogghimi
occhi negli occhi
il sangue si fa duro
a noccioli precipita
si rompe
non lasciarmi sparsa
raccoglimi
p 77
m’avissa nginucchiari
ê peri di sta rosa
c’avannu non ciurìu
e chianciri chianciri
comu su tuttu u duluri fussi u miu
mi dovrei inginocchiare
ai piedi di questa rosa
che questo anno non è fiorita
e piangere e piangere
come se tutto il dolore fosse mio
p 85
Nella mia personale utopia di poter realizzare, tassello dopo tassello, una mappa della poesia siciliana, aggiungo a una cartografia ancora assai nebulosa, questi versi di Angela Bonanno, scritti in una lingua che non é stata dispersa, e quindi precisissima, vicinissima alle origini: “E solo richiamandosi all’originario, come fa questa lingua prosciugata e attenta a contrastare l’ovvietá del dato di fatto, lo stile stabilisce le ragioni del proprio compimento” (Luigi Lo Cascio)
Sebastiano Aglieco
Bruge, estate 2012