Storia di una ragazza e di un ragazzo. Due storie piuttosto comuni, anche se incredibili. Due storie che hanno bisogno di arrivare agli onori delle cronache nazionali per scuotere Reggio Calabria, tutta assorbita dalle solite domande. Omologate come l’incapacità di percepire e cercare di lottare contro le discriminazioni
Succede che un giorno una ragazza, forse incoraggiata dalla mancanza del marito imposto dalla famiglia, decida di seguire il cuore. E inizi a frequentare un uomo. Che non è suo marito, ma che è quello che avrebbe voluto al proprio fianco.
La storia può avere molti finali. Quella di Angela è finita sul nascere. Diciotto anni fa: il marito è assente perché in carcere, figlio di un boss di ’ndrangheta dove l’onore è tutto. E che non ha neppure bisogno di ordinare il da farsi: ci pensano fratello, cognato e nipote a lavare l’onta. E far sparire le prove. Che nel caso specifico sono il cadavere.
Succede poi che un ragazzo decida di trascorrere la serata con alcuni amici di fronte ad un locale modaiolo. Tra questi amici c’è il suo compagno. Ridono e scherzano. Come le tante altre coppie, etero e omo, bianche e nere, miste, che hanno deciso di passare fuori la serata.
Anche questa storia può avere molti finali. Quella di Claudio finisce in ospedale: volano parole pesanti, insulti che fanno scattare un pugno dritto sul naso. L’onta di non avere problemi nel palesare il proprio amore. Il setto nasale da rimettere a posto. E l’offesa maggiore, quella che Claudio proprio non si aspetta, al pronto soccorso: il consiglio di curare, più che quella ferita, la sua tendenza gay. Di frequentare ragazze. Peggio, molto peggio del “ricchione di merda” preso sul corso prima del pugno.
Il fatto che la storia di Angela e la storia di Claudio abbiano come teatro Reggio Calabria non è l’unico elemento che unisce in modo indissolubile le due notizie dominanti di questo fine settimana. Girando per strada non si parla d’altro. L’arresto dei Lo Giudice, dopo quasi vent’anni, e l’omofobia “sanitaria” sono le notizie da commentare. Quelle da sottolineare. Per vedere se si possono arricchire. Se si può aggiungere altro su Angela e Claudio.
Angela non era incinta? E se era sposata, per giunta con un pregiudicato, non se l’è cercata quella fine? Non aveva cercato di nascondere tutto abortendo, e per questo era venuta fuori la sua storia? Esiste anche il divorzio, oltre che l’aborto…
E Claudio. Ma se ha il vizietto, proprio nel bar più frequentato, deve andare? A mostrare a tutti il suo ragazzo frocio? Non se l’è cercata? Pure in ospedale, gli hanno dato un consiglio per evitargli altre deviazioni del setto nasale…
Ovviamente ciascuno dei tanti che mi hanno ripetuto una o più frasi identiche o simili a quelle appena riassunte prenderà le dovute distanze, e negherà di averle dette. Negherà persino di averle pensate. Perché in fondo ciascuno di noi sa che Angela e Claudio potrebbero essere nostra sorella e nostro fratello.
Ma ciascuno sa di cosa sto parlando. Ciascuno sa che esiste, in questo angolo estremo di Sud, un concetto diverso di ciò che è. Di ciò che si può e di ciò che non si può fare. Qualcuno lo chiama onore, qualcuno punta l’accento sulla distorsione di questo senso dell’onore.
Nessuno, però, prova a chiedersi perché ci siano voluti quasi vent’anni per confermare il destino di Angela. La cui foto esiste grazie alla puntata di “Chi l’ha visto?” dedicata alla sua scomparsa. Due anni, non due settimane o due mesi fa.
Nessuno prova a chiedersi perché per denunciare la pericolosità dell’omofobia, e di qualsiasi altro genere di discriminazione, debba sempre esistere a monte un fatto eclatante.
Nessuno, soprattutto, prova a chiedersi perché l’omologazione debba essere al ribasso. Perché ragionare in modo malato e distorto faccia parte del comune sentire. Perché a nessuno venga in mente di chiedersi davvero: cosa direi, cosa penserei, come mi comporterei, se Angela fosse mia sorella? Se Claudio fosse mio fratello? [sciroccoNEWS]
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