Bologna, Teatro San Leonardo. Le foto sono di Massimo Golfieri, che ringraziamo.
Purtroppo, alle porte del 2014, non tutte le notizie sono state belle. Il 12 dicembre 2013 è morto uno dei grandi compositori della musica sperimentale mondiale: Zbigniew Karkowski. Anche oggi Angelica propone un doppio live, la cui prima parte sarà dedicata al rumorista polacco.
A ricordarlo è Anton Lukoszevieze, fondatore dell’ensemble da camera Apartment House: insieme a Karkowski nel 2012 compose Nerve Cell_0 – For Cello And Computer (Sub Rosa), un’opera che stravolgeva l’utilizzo del violoncello e piegava a una nuova interpretazione l’idea di musica. Oggi per la prima volta questo lavoro viene presentato dal vivo in Italia, e il teatro San Leonardo non delude le aspettative, dimostrandosi ottimo a livello acustico e di luci. Accanto al pianoforte a coda che verrà adoperato in seguito da Marco Dalpane, si siede, toccato da un’unica striscia di luce, Lukoszevieze. Come già detto, il modo in cui il violoncello viene suonato non è per nulla convenzionale, perché è trattato come un corpo risonante, una cassa nella quale creare un rimbombo, come se fosse una versione miniaturizzata del teatro stesso. Lukoszevieze, durante il concerto, si avvale anche di una serie di registrazioni di altri strumenti a corda, che divengono sempre più astratte, fino a sconfinare nella zona bianca del rumore. Se la mano sinistra tiene in modo classico un archetto, la destra non è occupata ad eseguire accordi, bensì a scordare in continuazione. Ciò permette, a detta dell’artista stesso, di “aumentare l’estensione e la profondità dei toni bassi” ed in effetti a tratti sembra di ascoltare un qualche oscuro ed esoterico rituale. Nel momento in cui il violoncello viene preparato con delle mollette (che ne fanno vibrare ancora di più le onde), le corde sono talmente tirate da stridere come lumache su carboni ardenti. L’effetto è terrificante, di una potenza viva, e il teatro dà il suo contributo con ottimi giochi di luce soffusa, in prevalenza rossa. Lukoszevieze rimane impassibile: solo alla fine accenna ad un inchino e, solitario, esce di scena.
Riuscito solo in parte, invece, il concerto per pianoforte di Marco Dalpane. Il suo progetto prevede di rigenerare “il naturale effetto di delay” della cupola di una palestra delle scuole Romagnoli, una struttura che permette di concepire in modo non-unitario lo spazio, bensì sfaccettato, con esiti sonori differenti in base a dove uno si pone. Due anni fa Marco Dalpane eseguì un concerto in quella palestra: il tutto venne registrato con cinque microfoni piazzati in parti diverse per poter restituire l’effetto di movimento del suono. È impresa coraggiosa e per nulla semplice quella di cercare di ricreare uno spazio così particolare in un altro luogo. Qui, infatti, tramite microfoni e casse posizionate in zone strategiche, si tenta di far rivivere quell’architettura, mimando la sua singolare capacità di modificare le onde sonore. In pratica il suono viene registrato, passato attraverso un programma che ne rimaneggia la struttura e rimandato fuori su cassa distorto, riverberato e ritardato. In realtà in prima fila questo effetto è davvero molto difficile da captare, tant’è che nel primo pezzo quasi non ce ne si accorge e solo in una delle ultime bellissime composizioni il delay emerge palese. L’effetto sperato, quindi, è stato un po’ nascosto. Nonostante questo, il pubblico apprezza l’impeccabile performance, tanto da richiamare Dalpane sul palco, il quale ci rivela una sua passione, ovverosia il trasporre canzoni pop su pianoforte, tanto che dedica il bis a “Everything In Its Right Place” dei Radiohead.
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