Magazine Cultura
Angelo (1937, tit. or. Angel), se si guarda alla struttura, è la storia di un triangolo nel mondo dorato dell'aristocrazia politica europea alle soglie della seconda guerra mondiale. Il jet set internazionale prevede sui suoi palcoscenici ambasciatori e artisti, nobili più o meno decaduti e in esilio e mogli annoiate. Nel film, che si sviluppa tra Parigi, Ginevra e Londra (anche se sempre in interni o su singoli fotogrammi-cartolina), Mary è un'inattesa Madame Bovary, una donna che trova nella capitale francese un fugace polo magnetico, pur amando sinceramente l'uomo che ha sposato e il ricordo della Vienna che li univa (le ceneri della Vienna imperiale, come ben si immagina). Lo scacchiere politico internazionale viene disegnato qui con ironia e molto alla lontana, come uno sfondo, ma viene anche moltiplicato sia nelle relazioni degli eroi di questa singolare soap, sia anche in quella realtà parallela e speculare che è la servitù, in particolare nel buon Graham (Edward Everett Horton). Sembra esista una specie di scala sociale che non viene scalfita, semmai confermata, dalla coesistenza di diverse classi che ambiscono posizioni più prestigiose, senza cambiare di status, però, in una specie di festival dell'immobilismo.
Il tedesco Ernst Lubitsch gioca per tutto il film con molta ironia sul filo mélo di una mescolanza di registri linguistici, senza mai abbandonarsi a uno in particolare. Il risultato è pregevole per senso di continuo movimento, per le angolazioni a cui sottopone scene e fatti in sé non originali, per la suspence e per la scelta dei dettagli. Angelo è senz'altro un film molto dinamico, modernissimo, che anticipa scelte artistiche posteriori di un cinema più "classico" e ancora attuale (tipo Billy Wilder), o forse solo meglio distribuito oggi.
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