Angelo... e Serena!!!
Da Debora
Angelo salutò Roberto, il suo primogenito, ed entrò in casa,
smettendo il sorriso tirato che aveva esibito nelle ultime quattro ore. Lo fece
svanire insieme al sospiro stanco che tirò, appoggiandosi contro il legno scuro
della vecchia porta. Chiuse gli occhi e si portò le mani tremanti sul viso,
schiacciando i palmi sulle palpebre, nel vano tentativo di reprimere il pianto.
Si trascinò in cucina mentre mille silenziose lacrime riempivano i
letti di fiume che erano le rughe sul suo viso. L’ultimo raggio di sole del giorno
più brutto della sua vita gettò la sua aura dorata sulla vecchia credenza,
accarezzando le 62 bottiglie contenenti un liquido denso e scuro, disposte in
una fila ordinata, in ordine cronologico.
L’anziano le guardò ed un senso di disperazione gli avviluppò il
petto, togliendogli il respiro. Sentì le gambe diventare molli e si affrettò a
trovare posto sulla sedia. Batté i pugni sul tavolo e grugnì un urlo soffocato.
Le ultime parole di Serena, sua moglie, gli tornarono in mente: «Riprovaci
anche quest’anno, per favore».
Così gli aveva detto dal suo letto d’ospedale, un attimo prima di
chiudere gli occhi per dormire il suo ultimo sonno. Nessuno nella stanza ne
aveva capito il senso, ma lui sì.
Angelo e Serena erano nati in ambienti diversi, da famiglie
differenti, 83 anni prima.
Lui, figlio di un contadino del nord ed una massaia del sud.
Lei, rampolla di una facoltosa famiglia di avvocati.
Il loro destino, apparentemente, correva su linee parallele,
tendenti all’infinito, ma nel settembre del 1939, il destino si scontrò con la
guerra, e la sorte di molti venne riscritta.
Le classi sociali furono bombardate. A quei tempi non c’erano più
medici, avvocati o contadini, ma solo persone.
La vita di Angelo entrò in collisione con quella di Serena nel
dicembre del 1942. Entrambi avevano 20 anni, entrambi avevano perso tutti,
tutto.
Lui la trovò rannicchiata tra le macerie di un vecchio palazzo.
Stava raggomitolata sotto una sottile coltre di neve, la prima di
quell’inverno.
Serena aveva visto morire tutta la sua famiglia ed aveva deciso
che sarebbe morta anche lei, addormentandosi in quella che una volta era stata
la sua stanza.
Angelo aveva notato il fagotto di coperte che tremava sotto quella
spolverata di neve.
Erano tempi duri ed ognuno pensava per sé, ma lui non si era
abituato a guardare oltre. Le si avvicinò lesto.
«Hey… tu… che fai? Stai bene?»
chiese preoccupato. Serena non rispose, Angelo la toccò cauto.
«Ohi, parlo con te! Se stai qua muori! Vieni con me, ce l’ho io un
posto per farti dormire… vieni…»
Di nuovo lei non rispose e non accennò a muoversi.
«E va bene… vuol dire che mi siedo qui con te e me muoro di freddo
pure io»
Si accucciò accanto a lei, stringendosi le ginocchia al petto ed
attese.
La neve iniziò a scendere più densa, fazzoletti bianchi danzavano
sinuosi, coprendo e cancellando quanto di distrutto e sporco c’era intorno.
Angelo osservò incantato lo spettacolo, noncurante del freddo che gli stava
congelando il sangue. Quando Serena gli vide le labbra diventare blu,
finalmente si alzò, sbuffando.
«Per fortuna! Stavo diventando un pupazzo di neve!»
esclamò lui, tirandosi su tremante. Le sorrise e le fece cenno di
seguirla. Camminò più veloce che gli riuscì e condusse la ragazza in una
vecchia chiesa, vicino alla piazza. Bussò alla porta di ferro e spiegò:
«Quando ma’ e pa’ sono morti, l’anno scorso, Don Alfonso mi ha
preso qui. Mi ha dato da mangiare e da dormire… io lo aiuto durante il giorno a
tenere pulito e faccio il chierichetto alla domenica, lui mi insegna a leggere
e scrivere… è bravo Don Alfonso!»
Qualche istante dopo venne ad aprire un uomo anziano, con la gobba
e gli occhi lattiginosi.
«Oh, Angelino! E dove sei stato?»
gracchiò il vecchio, aguzzando la vista.
«Don Alfonso, ho trovato una che se la dormiva sul vecchio palazzo
centrale…»
E si scostò per far vedere la ragazza avvolta nelle coperte, alle
sue spalle. L’anziano prete vide solo una sagoma scura ed annuì.
«Entrate ora… Elsa ha fatto un po’ di brodo caldo, venite!»
Si fece da parte e li invitò ad entrare.
«Elsa è una santa donna, sai?» disse a Serena «Non è come la mia
ma’, ma è tanto cara…»
Serena lo seguì silenziosa.
Don Alfonso li condusse nelle cucine dove una donna corpulenta
versava un liquido fumante in vecchie ciotole di terracotta. Gli occhi neri della
donna, incastonati nel viso paffuto, si posarono sulla giovane.
«Angelino! E chi hai trovato?»
esclamò la donna, poggiandosi le mani sui fianchi.
«Elsa, è una che le piace di dormire sotto la neve!»
rispose, addentando una pagnotta.
«Ma che sciocchezze dici?»
ridacchiò Elsa.
«Te lo giuro! Non parla nemmeno tanto… forse è rotta…»
«Angelino!»
lo sgridò il prete. Ma Serena non parlò, si sedette su una sedia e
mangiò il suo brodo caldo.
Quello fu il primo giorno di una nuova vita per entrambi.
Per tutta la prima settimana, lui non fece che parlare a lei e per
lei. Ogni tanto Elsa gli diceva di star zitto e lui rispondeva: «Oh, Elsina
mia… devo parlare per due persone o il Signore penserà che c’è una persona in
meno su questo mondo!».
La vigilia dell’Immacolata, però, Serena si decise a parlare.
Angelo stava facendo uno dei suoi monologhi, parlando di tutto e
di niente.
«Sai… una volta la mia ma’ ha lavorato al palazzo dove t’ho
trovata… e proprio una volta, come questo periodo, la Signora della casa le ha
regalato una cioccolata… mi ricordo che pa’ ne mangiò un pezzo grande così»
pose i due indici ad una distanza di qualche centimetro tra di loro «Io un
pezzo più piccolo, perché se no mi faceva male la pancia… ma era la cosa più
buona del mondo! Tu l’hai mai mangiata?»
Le lanciò un’occhiata, inclinando la testa di lato e rispose per
lei «Sì, hai la faccia di una che l’ha mangiata»
«E che faccia hanno quelli che l’hanno mangiata?»
domandò all’improvviso, interrompendo il suo soliloquio.
Ad Angelo piaceva tanto la musica e quando sentì per la prima
volta la voce di Serena, pensò che fosse come la musica più bella che avesse mai
sentito, sebbene conoscesse solo quella che veniva fuori dall’organo della
chiesa. La fissò a bocca aperta, senza riuscire a rispondere.
«Adesso ti sei rotto tu?»
lo stuzzicò lei, ridendo.
«Ah… Aehm… io… no… parlo…»
farfugliò lui.
«Allora dimmi, che faccia hanno quelli che mangiano la
cioccolata?»
ripeté lei. Lui scosse la testa e rispose:
«Hanno la faccia beata… perché hanno mangiato il cibo del
paradiso…»
Serena sorrise e da quel giorno non smise più di parlare con lui.
Quando la guerra finì i due si sposarono. Don Alfonso officiò la
messa ed Elsa preparò il pranzo di nozze. Due anni dopo, nel 1947, il vecchio
prete morì ed Elsa lo seguì dopo appena un anno. Erano rimasti soli ed il mondo
stava tornando a girare tranquillo. Lui trovò un lavoro al mulino e lei riuscì
a prendere l’abilitazione per fare la maestra.
Nel dicembre del 1950, Serena aveva una bella notizia da dare ad
Angelo e decise di accompagnarla con un regalo.
L’uomo tornò a casa da lavoro come ogni sera, sfregandosi le mani
per il freddo.
«Serenella mia! Sono a
casa!»
urlò togliendosi il cappotto. Nessuno rispose.
«Serenella?»
chiamò di nuovo. Ancora silenzio.
Si avviò verso la cucina e la trovò in piedi, intenta a fissare
fuori dalla finestra.
«Serenella…» ripeté, avvicinandosi preoccupato «Amore mio, stai
bene?»
lei si voltò e gli sorrise.
«Sto bene Angelino mio… ti devo dire una cosa, però…»
Lui si fece serio e si sedette su una sedia. Lei gli si avvicinò,
sedendoglisi di fronte.
«Sai che giorno è oggi?»
Lui lanciò una rapida occhiata al calendario.
«È il 7 di dicembre… »
rispose titubante.
«No… è l’anniversario…»
lo corresse lei.
«Che anniversario?»
«Il nostro… della prima volta che ti ho parlato… tu non hai mai saputo perché l’ho fatto, vero?»
Lui scosse la testa.
«Pensavo che non ce la facevi più a sentire solo me…»
Serena rise e gli prese la mano.
«Hai detto che la tua mamma lavorava al palazzo dove mi avevi trovata … e che la Signora della casa le aveva
regalato la cioccolata…»
Angelo annuì confuso, lei proseguì:
«Quella Signora era mia madre… ed io conoscevo la tua mamma, ed
era la donna più buona del mondo…»
Lui iniziò a piangere.
«Mi raccontava sempre della sua famiglia, del suo bambino… e mi
diceva quanto eri speciale…»
Anche Serena iniziò a piangere.
«Quando ho capito che eri tu, Angelo… ho capito che ti aveva
mandato lei da me, quella volta… ho capito che la mia mamma e la tua ci avevano
fatti incontrare…»
«Ma perché me lo dici ora?»
domandò lui, sorridente.
«Perché anche io sto per diventare una mamma… e perché mi è capitato
questo tra le mani oggi…»
Serena tirò fuori dalla tasca del grembiule da cucina che
indossava una boccetta contenente un liquido denso e scuro. Angelo la prese in
mano e la studiò.
«Cos’è?»
«Un liquore… al cioccolato… per festeggiare»
«Per festeggiare cosa?»
«Non hai sentito, stupido? Sto per diventare una mamma…»
Gli occhi dell’uomo si spalancarono insieme alla bocca, in un urlo
muto di gioia.
Decisero di festeggiare ogni anno allo stesso modo, nello stesso
giorno. Ma l’anno successivo Serena non riuscì a trovare lo stesso liquore,
Angelo scrollò le spalle dicendo:
«E ce lo prepariamo da noi! Abbiamo la boccetta, leggiamo cosa
serve e facciamolo!»
Iniziarono così, ogni anno, a provare a riprodurlo.
Serena annotava su un vecchio quaderno come lo preparavano di anno
in anno, per capire cosa fare e cosa no. E per 62 anni accumularono bottiglie di
liquore al cioccolato, sperando di poter, un giorno, riuscire a riprodurre lo
stesso sapore.
Ed ora Angelo sedeva in cucina, da solo. Era tornato dal cimitero,
dove aveva seppellito la sua Serenella.
Il giorno dopo sarebbe stato il 7 di dicembre, il loro
anniversario speciale… e lei non c’era più.
Si alzò e prese il quaderno su cui c’erano scritte 62 ricette
diverse e sfogliò le pagine, ricordando cosa aveva vissuto ogni anno, insieme
all’amore della sua vita. Un foglietto scivolò da una pagina e si chinò per
raccoglierlo. Era un biglietto scritto da Serena ed era indirizzato a lui:
“Angelino mio,
se stai leggendo questo foglio è perché io non sono più con te… ed
allora ti devo confessare un segreto: ogni anno che ci siamo messi a preparare
il nostro liquore, ho sempre sottratto un ingrediente o cambiato
qualcosa nel processo. Non t’arrabbiare, amore mio, io l’ho fatto perché ho
pensato che io e te non abbiamo mai
avuto un anno uguale all’altro, e allora perché dargli lo stesso sapore?
Di seguito ti scrivo gli ingredienti veri, quelli giusti… così, se
vorrai, potrai risentire il sapore di quell’anno, quando ti ho confessato delle
nostre mamme, quando è arrivato
Robertino, quando hai lavorato duramente
per comprare una casa più grande, quando ti ho insegnato a ballare il valzer.
Angelino mio, hai 62 anni di sapori chiusi in delle bottiglie… hai
62 anni di vita insieme da poter assaggiare quando ti senti solo, 62 anni di
esperienze che ti torneranno nella mente e nel cuore…
io, intanto, ti aspetto di qua.
Tua, Serenella”
Angelo si portò il foglio alla bocca e lo baciò, piangendo e
ridendo insieme.
Vera ©
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