Le misure di sicurezza da adottare per consentire al professor Angelo Panebianco di tenere regolarmente le sue lezioni all’università di Bologna saranno al centro del comitato provinciale per l’ordine pubblico e la sicurezza che si terrà questa mattina presso la prefettura del capoluogo emiliano. Per il politologo ed editorialista del Corriere — qui le sue riflessioni di oggi, “Il pensiero libero e quegli slogan tristi” — , duramente contestato lunedì e martedì dai collettivi universitari b olognesi di estrema sinistra, tanto da costringerlo a interrompere la lezione e spostarla in un’altra aula, è stata attivata la protezione della vigilanza dinamica, una misura che consentirà di monitorare l’abitazione e i suoi spostamenti.
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Gli anni Settanta e oggi
Occorre anche che l’estremismo sia sospinto da una cultura diffusa che ne legittima le azioni. Qui si colgono alcune differenze, ad esempio, fra l’Italia degli anni Settanta, gli anni che sfociarono nel terrorismo, e l’Italia di oggi. Allora c’era una cultura diffusa che legittimava la «rivoluzione» e un gran numero di cattivi maestri che dicevano a certi giovani «vai avanti tu». Oggi quella cultura diffusa non c’è più e anche i cattivi maestri si sono dileguati (qualcuno, per la verità, ancora c’è: un amico mi ha mandato copia di un articolo scritto da un «collega» — sic — che inneggia al manipolo di eroi venuti da me per impedirmi di parlare). Se questo è per noi italiani il vantaggio dell’oggi rispetto agli anni Settanta, occorre dire che c’è anche una differenza di opposto segno: negli anni Settanta c’era la guerra fredda, e quindi un quadro internazionale stabile. Oggi (con l’Europa a pezzi e il Medio Oriente in ebollizione) siamo in un’altra condizione. Si dileguano uno dopo l’altro gli antichi punti di riferimento, e paura, ansia e insicurezza inevitabilmente si diffondono. C’è un corollario importante e che, incidentalmente, riguarda proprio il mestiere di chi scrive: la questione della libertà di insegnamento. Solo le democrazie la tutelano.
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Un altro insegnamento di carattere generale riguarda il perché dell’estremismo politico: perché ci sono persone che si rinchiudono volontariamente in quella prigione mentale costruita su frasi fatte e vuote, su truci e insensati slogan, su urla che devono nascondere agli occhi degli altri l’evidente paura del mondo che prova colui che grida? I percorsi individuali che portano verso l’estremismo sono i più vari e spetta agli psicologi esaminarli. Qui posso solo osservare che la politica è il luogo per eccellenza nel quale paure e frustrazioni individuali possono trovare una valvola di sfogo: un’aggressività verso l’altro che non si autogiustificasse con argomenti «politici» apparirebbe agli stessi occhi di chi pone in essere il comportamento aggressivo, come moralmente poco sostenibile. Invece, un’aggressività che si pretende guidata da motivi politici rende possibile l’illusione che si tratti di un comportamento «nobile», guidato da alti ideali morali.
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mi chiedevo come mai il ’68 fosse stato un anno di moti studenteschi in quasi tutto il mondo occidentale , salvo che in Italia. In Italia il ’68 non fu un semplice «anno»: fu invece un decennio che si concluse solo nel 1978 con il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, quando la rivoluzione immaginaria e parolaia finì e arrivarono quelli che facevano sul serio. C’è sicuramente qualcosa di speciale nella cultura politica italiana — sulla quale gli storici del futuro dovranno lavorare a lungo — che può spiegare questa anomalia. Qualche cascame o residuo di quell’interminabile decennio è ancora tra noi.
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Questi individui si sono permessi di mettere in discussione la mia integrità professionale. Io tengo corsi di scienza politica (con varie denominazioni) da un gran numero di anni. A dispetto del titolo della materia che insegno, sono particolarmente fiero del fatto che mai mi è scappato un commento politico di fronte agli studenti. Poche cose sono in grado di scandalizzarmi. Una delle poche che mi scandalizza, e anzi mi indigna, è venire a sapere (come qualche volta mi è accaduto nel corso degli anni) di professori che approfittano dell’aula, e dell’autorità propria del ruolo che esercitano, per cercare di influenzare politicamente gli studenti. Ho imparato dai miei maestri, ai quali sono grato, a trattare con la massima obiettività possibile (il massimo di obiettività umanamente possibile) gli argomenti teorici che si devono affrontare in corsi come quelli che tengo io. E ne sono orgoglioso.
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Sorgente: Panebianco: il pensiero libero e la tristezza di quegli slogan – Corriere.it