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Angelo Smarrito

Creato il 03 settembre 2010 da Linda


Angelo Smarrito
Combatte tra la mia essenza
e la mia essenza, in me:
tutto mio. La mia anima,
contro se stessa genera
il nemico mortale
dell'anima mia, mostro oscuro.
Appena è nata,
e ode la voce sua di fiele,
gialla, e si sente
dai suoi occhi macchiata
dove il male ordisce
con sguardi penetranti
come denti la mia intima
devastazione giubilante,
lo odia, lo odia, lo odia.
Quanto son solo, quanto son solo
col mio male! Ecco, lo vedo
crescere, ingigantire,
per le mani afferrarmi,
penetrarmi per le labbra.
So che darò dolore,
che farò danno, se tocco,
se parlo; so che sono
strumento del male
ch'io non voglio compiere
eppure lo consumo, ora,
nella carne innocente
che è come mia quasi,
tanto l'ho amata.
Sono all'orlo d'essere
ciò da cui più aborro:
Caino di quel che amo.
E allora t'alzi tu:
angelo smarrito
dentro di me. Che lotta!
Tu solo, luce alata,
sorgi come l'aurora,
certo della tua luce,
in piedi. Luce, la tua spada;
luce, il tuo scudo; acciaio
il tuo respiro; la tua possanza
ali; assenza, il tuo corpo.
E tu, a lottare, con la tua luce
celeste per la povera sua
sorella derelitta,
questa luce terrestre
che ancora mi splende nell'anima.
Io, povero corpo triste,
di carne, tra le lacrime
che mi bagnano il letto.
Nulla posso, nulla.
Non posso aiutarti, angelo,
se non con quest'ansia
del tuo trionfo in me,
trepidante speranza.
Povero campo cosciente
della sua propria battaglia
che altri combattono in lui,
per lui, disperata!
Ascolto rantoli rochi
- son miei, non son miei? -.
Convulsioni di male
ferito mi lacerano.
Di quando in quando gira
dentro il mio essere
il rumore impercettibile
di una penna spezzata.
Soffi d'angelo sento:
lotta con luce, con soffi
d'aurora. Davanti al suo respiro
cantano pigolii d'alba.
È tregua, pace, vittoria?
Chi ha vinto in me,
chi si porta via la mia anima?
Ed ora un grande silenzio,
araldo del mio destino!
E il destarsi, confuso.
Son mie le mie mani,
di nuovo. S'annunzia
sulle mie labbra la voce
che io voglio, di me.
Un alito s'alza
puro, antico, novello,
come si desta un bimbo,
pigramente e adagio
e si stupisce a vedersi
lindo come prima,
ancor nella sua culla.
Ecco mi arriva; è un soffio,
è un vento che cresce,
un vento che canta,
che il petto mi gonfia.
E grido: «Salvo, salvo!»
Giubili e miracoli
imbandierano il circuito
del mondo ch'io sono.
Vittoria! Non la mia,
io povero, io senz'armi.
In me il trionfo, fausto,
delle ali del mondo.
Ora sono buono. Ora
potrei vestire
con le sue dita intatte
lo stesso sogno, il sogno
che mi vestì nell'infanzia.
L'angelo m'ha riscattato
quel ch'io mi giocavo.
E parliamo.
«Ma tu, dimmi, tu,
perché mi servi, angelo?»
«Io non so; mi comandano.
Tu non mi piaci, tu
sei goffo e opaco;
il tuo corpo è mio esilio.
Io sono un servo,
un angelo missionario.
No, non mi devi nulla:
è questo il mio triste ufficio:
lottare, salvar la tua anima,
quando tu la condanni.
Ma il mio diletto è
vagare nei miei cieli,
senza zuffa né spada».
«Allora, chi ti manda?»
«Tu pensa a chi t'ama
e saprai chi m'invia.
Io servo quelli che amano
un amato incompleto
che non sa vivere
senza un aiuto fraterno.
Io sono soltanto le mani
che tende colui che ama
all'altro, in sua debolezza.
Le mani di chi ama
con ansia vitale
terminano in angeli.
Finché un essere t'amerà
non ti abbandonerò».
Altro non dice. Si spegne
sul suo trionfo. Guardo
lo spazio inane
e nella scia dell'angelo
un volto mi sorride.
E sento che mi salvo
di nuovo, e nel salvarmi,
tu ti salvi, con me.
Pedro Salinas



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