Londra, età vittoriana.
Al n. 9 di Thornton Square è stato commesso un omicidio, ai danni della famosa cantante lirica Alice Alquist, strangolata all’interno della sua abitazione.
A quanto riportano i giornali, dalle prime indagini non risultano chiari i motivi del delitto e il caso sarà destinato ad essere chiuso al più presto. Con la vittima conviveva una ragazza, la nipote Paula (Ingrid Bergman), orfana, la quale, sconvolta per quanto accaduto, è ora in partenza per l’Italia, dove prenderà lezioni di canto dal Maestro Guardi, già precettore e caro amico della zia. Passano circa dieci anni, Paula è ormai una giovane donna, l’amore si affaccia prepotentemente nella sua vita, tanto da farle abbandonare il proposito d’intraprendere una probabile carriera artistica.
Si tratta di un gentile ed elegante pianista, Gregory Anton (Charles Boyer), conosciuto proprio nel corso delle suddette lezioni di canto.
Mellifluo nei modi, del tutto accomodante, Gregory, in virtù di un insinuante modo di fare, riesce a condurre Paula verso un’accettazione delle sue decisioni che ha solo la parvenza della condivisione, a partire da un subitaneo matrimonio in quel di Como e fino a giungere ad un trasferimento a Londra, città dove, come rivela alla moglie, ha sempre desiderato vivere, magari in una casa calda ed accogliente, la cui vista desse su una piazza.
Ingrid Bergman e Charles Boyer
Guarda caso, caratteristica propria dell’abitazione che Paula ha ereditato dalla zia Alice, dove i novelli sposini andranno quindi a vivere.
I modi di Gregory ora appaiono ancora più misteriosi, violenti a volte, ma ciò è causato, come si premura di rendere noto alla cuoca Elizabeth (Barbara Everest) e alla cameriera Nancy (Angela Lansbury), dalla preoccupazione per una probabile malattia mentale di Paula, vista anche la facilità con la quale quest’ultima perde gli oggetti, quando non li nasconde, dimenticandosi poi di quanto accaduto.
La stessa donna inizia ben presto a dubitare del suo stato di salute, in particolare la sera, una volta che Gregory si reca a lavorare in una stanza che ha preso in affitto, così da stare più tranquillo. Strani rumori provengono infatti dalla soffitta, mentre la luce emanata dalla lampada nella stanza si fa improvvisamente più fioca, come se qualcuno ne avesse acceso un’altra nell’abitazione … E’ tutto frutto della sua immaginazione, una probabile devianza verso la follia, così come era stato per sua madre in base ai racconti di Gregory?
E perché Brian Cameron (Joseph Cotten), detective in forza a Scotland Yard, una volta notato il bel volto di Paula, così simile a quello di Alice Alquist che ha avuto modo di conoscere quando era ragazzo, ha messo in moto delle indagini di sua iniziativa?
Un intenso dramma d’atmosfera, soffuso d’influenze gotiche di matrice europea, a metà strada fra noir e thriller, attraverso il quale si staglia sullo schermo un racconto teso ed avvincente, avvolto dalla nebbia del mistero, come quella che copre la città che fa da scenario (ricostruita in studio).
Un suggestivo gioco a nascondino fra realtà ed immaginazione, luce e buio, verità ed inganno, contrasto evidenziato dal regista con le frequenti inquadrature dell’accendersi e spegnersi dei lampioni all’esterno o delle lampade all’interno dell’abitazione. Memorabili le sublimi interpretazioni attoriali, quella della Bergman in primo luogo, qui vincitrice del suo primo Oscar come Miglior Attrice Protagonista. Indimenticabile il suo sguardo mutevole, incline ad evidenziare ogni emozione provata, dalla gioia (la sensazione dell’amore avvertita per la prima volta, i pochi momenti di tenerezza), all’agitazione angosciosa, e angosciante, propria di un dolore a stento trattenuto, quando diviene fisso, perso nel vuoto, per non riuscire a comprendere il perché di determinati accadimenti, fidandosi delle spiegazioni, plausibili in apparenza, del consorte, nell’incertezza di poter accusare effettivamente degli stati di debolezza mentale.
E’ l’esternazione propria di chi vive un amore del tutto ingenuo, puro, dipendente in tutto e per tutto dalla volontà di chi le sta a fianco, l’ambiguo Gregory, reso da Boyer con una sorprendente naturalezza sinistra, solo a tratti manierata, la cui passione si esterna soprattutto verso tutto ciò che è materialmente prezioso, gli oggetti quindi ancor prima che le persone.
Ciò è evidente nell’espressione, di concupiscenza più che di cupidigia, rivolta ai gioielli esposti nella Torre di Londra, che la coppia visita in una scena, oppure, ancora più inquietante, quella manifestata nel finale, anche perché lui stesso non riesce a trovare una spiegazione razionale a tanta bramosia.
Angela Lansbury
Rimarchevole poi l’interpretazione della cameriera Nancy da parte di Angela Lansbury, qui al suo esordio, appena diciassettenne (compì diciotto anni nel corso delle riprese), che ottenne una nomination all’Oscar come Miglior Attrice Non Protagonista. Particolarmente impudica e sfrontata, lascia ben intuire una probabile tresca col padrone di casa (evidente invece nel citato precedente adattamento). Sempre ammaliante la maestria registica di Cukor, non solo nell’attenta direzione degli interpreti, che si manifesta in primo luogo nel valorizzarne le prestazioni attraverso intensi primi piani e un raffinato intarsio di campi e controcampi visualizzante il confronto fra i due coniugi (non a caso ad accompagnarlo nel corso della sua carriera sono state le definizioni “regista di attori” e “regista delle donne”). In seconda analisi, è poi evidente l’estrema, “morbida”, mobilità della macchina da presa in un ambiente reso ristretto ed opprimente da un arredamento “carico” di ogni genere di suppellettili (il secondo Oscar del film è andato alle scenografie di Cedric Williams, con la collaborazione di William Ferrari) e certo funzionale nel rendere l’atmosfera realisticamente opprimente, quasi claustrofobica. Mirabili anche la fotografia in bianco e nero di Joseph Ruttenberg e l’impiego come ironico contrappunto di Dame May Whitty nelle vesti della ciarliera e simpaticamente impicciona miss Thwaites, così come l’entrata in scena di Cotten, che spinge la narrazione verso i toni del thriller.
Joseph Cotten e Ingrid Bergman
Piuttosto coinvolgente il finale, fra le più belle scene della storia del cinema, ad avviso di chi scrive: la resa dei conti fra Paula e Gregory, con un rovesciamento dei ruoli che vede ora la donna assecondare le intenzioni del “maritino” per metterne in mostra il fallimento della sua arte manipolatrice.
A testimonianza di come la magia della Settima Arte possa anche influenzare la realtà di ogni giorno, il termine gaslighting ha visto le sue origini gergali mutuare verso la terminologia clinica, ad indicare appunto un comportamento manipolatorio messo in atto da una persona per far sì che un’altra, generalmente a lei vicina, dubiti di se stessa, della sua percezione della realtà, annullandole tanto la capacità di giudizio quanto l’autonomia valutativa. Un film certo da vedere, per quanti ancora non l’abbiano fatto, idoneo a visualizzare come, sullo sfondo di un’ordinaria quotidianità, all’interno dei canoni propri di una sociale rispettabilità, basata anche su dina deferenza costrittiva nei confronti delle convenzioni, gli spettri del Male possono insinuarsi e manifestarsi con inusitata e sottile violenza.
Proprio perché frutto dell’animo umano, espressi magari da coloro che ci sono vicino, appaiono validi ad offuscare ogni reale percezione mentale, mentre la meschinità e la doppiezza entreranno in scena rappresentando il vero orrore da affrontare.