“Angus” Bidoli è una di quelle figure che potremmo definire “patrimonio comune” del metal romano, ma non solo. Insieme ai suoi Fingernails ha rappresentato un punto cardine proprio per la capacità di riunire e mettere d’accordo frange differenti della scena e di anticipare in qualche modo quell’incontro col giro punk, che, grazie all’avvento del thrash, divenne in qualche modo consuetudine a metà degli Ottanta (basti pensare alla trasmissione radio Outer Limitz, la cui scaletta alternava band thrash e hardcore senza soluzione di continuità). Dal 2004 i Fingernails sono tornati a calcare palchi e produrre dischi e, di recente, Bidoli ha pubblicato un libro (“Con Le Borchie Nel Cervello”, Mal Edizioni, 2014) tramite il quale ricorda i suoi anni Ottanta e, di conseguenza, il metal a Roma in quel periodo. Il libro ha anche avuto un seguito pubblicato solo in rete (“Catene e Sangue”), mentre i Fingernails continuano tuttora a far sentire il loro ruggito. Ovvio che non ci potevamo lasciar scappare l’occasione per fare quattro chiacchiere con lui.
Roma, prima metà anni Ottanta, facevo ancora il liceo e avevo da poco scoperto gli Iron Maiden e il metal grazie ai soliti amici più grandi, ricordo che dall’autobus prima di Piazza Fiume avevo intravisto la scritta HMK (heavy metal kids) su un muro e l’avevo vissuta come una rivelazione: c’era altra gente che ascoltava metal oltre a me. Ecco, diciamo che una volta non era così facile entrare in contatto con la tua tribù, mi sbaglio?
Angus Bidoli: Ti dirò, nei primi anni Ottanta, con l’avvento della NWOBHM, si riusciva ad entrare facilmente in contatto con la tribù metallica, ti bastava indossare la maglietta di un qualsiasi gruppo dell’epoca che subito venivi fermato in strada dagli altri appassionati . Questo era dovuto al fatto che non c’era ancora un grosso seguito ed eravamo più che altro cani sciolti che ascoltavano metal, non c’erano i locali dove riunirci e non esistevano gruppi di un certo livello. Subito dopo si formarono i ritrovi di quartiere e ogni band aveva il proprio seguito, ma c’era sempre il problema di dove suonare la tua musica, non era facile, i pub erano troppo piccoli e poco inclini a sopportare il rumore, fu così che ci si ingegnava organizzando festival nelle scuole oppure si mettevano insieme i soldi per affittare le discoteche o piccoli teatri, c’era una tale voglia di divertirci che l’aria era fortemente elettrizzante, esisteva veramente la fratellanza tra noi metal kids. Solo qualche anno più tardi entrare nelle grazie di un raggruppamento divenne più difficile, perché crebbe il numero degli appassionati e portare la t-shirt della band preferita non era più sufficiente, bisognava conoscere a fondo il genere e la storia del metal, il nome dei componenti, le formazioni più in voga, possedere una collezione da urlo, in più dovevi assumere i comportamenti tipici del metallaro, avere il look giusto ed essere un buon bevitore. Erano tutte cose necessarie per non cadere nella trappola del travestimento da weekend.
Poi c’erano i concerti dei gruppi locali e da lì entravi nel mondo degli scambi di demo, delle ‘zine, delle dritte sugli ascolti. Insomma, essere metallaro era una cosa a tempo pieno cui dedicavi ogni momento libero, magari passando interi pomeriggi tra Revolver, Disfunzioni o i pochi negozi che vendevano dischi metal…
Quei negozi che tu hai citato erano divenuti ritrovo degli appassionati del metal, lì potevi parlare di musica e magari scambiare materiale, soprattutto quei demo registrati dalle formazioni romane, c’era sempre una grossa folla e molte amicizie sono nate proprio in quei frangenti. Da quello che ricordo del primissimo periodo, c’era difficoltà a reperire gli album delle band europee ed americane, non esistevano ancora distributori di genere da noi, venivano vendute le versioni d’importazione giapponese che costavano il doppio e non sempre il portafoglio supportava la tua voglia di possederle, quando c’erano questi problemi ti rivolgevi agli amici più facoltosi che te li doppiavano su nastro facendo in modo che tu non perdessi la conoscenza dei gruppi meno famosi. Il magazine Rockerilla conteneva solo due pagine di notizie sul metal, ti soffermavi sul look delle band e correvi in negozio ad acquistare i loro album, spesso ti trovavi ad uscire di casa, comprare il giornale controllando le ultime uscite discografiche e qualche minuto dopo entravi nel negozio richiedendo le esigue copie che trovavi negli scaffali, era diventato un lavoro a tempo pieno, una corsa contro il tempo. Personalmente non sono stato un grosso acquirente di dischi anche perché il denaro non era mai sufficiente e le birre costavano ancora troppo… Quando raramente si andava ad assistere ai pochissimi spettacoli metal di gruppi italiani riuscivi a rifornirti dei demo che venivano venduti, spesso scambiavi i prodotti per ovviare all’acquisto diretto.
Ricordo che c’era questo gruppo formato da ragazzi più grandi e guidati da una figura burbera ma amichevole, una sorta di padrino per i metallari romani, hai mai sentito parlare dei Fingernails e di Angus Bidoli?
Ahahah, come no? I Fingernails sono come il figlio che non ho mai voluto. Musicalmente sono nato seguendo il rock blues degli anni Sessanta (Hendrix, Cream, Free, Ten Years After…), ho amato la chitarra come strumento e come simbolo del rock. Poi è venuto l’hard rock dei Black Sabbath, Led Zeppelin, Grand Funk e sopratutto i Deep Purple, che mi hanno introdotto nella NWOBHM con i Maiden, i Saxon, Motörhead, Angel Witch, ma soprattutto ho fortemente amato gli AC/DC che coniugavano il r’n’r dei Seventies con il nuovo sound metal. Da lì nacque l’idea di formare i Fingernails (1981), che avrebbero dovuto suonare esattamente come i miei gusti musicali. All’inizio è stato tutto molto elettrizzante, c’era un grosso seguito a Roma e soprattutto divenimmo dei beniamini in breve tempo, si stava insieme, si beveva e ci si sconvolgeva tutto nel nome della musica che amavamo più delle femmine… I concerti erano un party senza fine che durava tutta la notte, davvero un periodo divertente, spesso e volentieri la musica dei Fingernails era la giusta colonna sonora. Non lo dimenticherò mai, è qualcosa che ti rimane dentro, si appiccica come colla sulla tua memoria e non sparisce nel nulla.
Una cosa che mi ha sempre colpito era la vostra capacità di attirare e mettere d’accordo ascoltatori differenti anche quando le scene cominciavano a dividersi, il che non era facile visto che noi giovani thrasher non eravamo certo inclini alla tolleranza. Eppure i Fingernails erano stati capaci di far breccia pure nei punk anche quando non correva troppo buon sangue tra cugini.
Bravissimo, hai colto lo spirito dei Fingernails. Dicevo prima, appunto, che la band doveva seguire i miei gusti musicali e ovviamente io, che ne ero il principale compositore, sapevo da dove attingere le idee. Essendo un metallaro, avevo una forte avversione verso il mondo punk, anche se negli anni Settanta era un genere che avevo seguito ed ascoltato. Ero attratto dall’album dei Sex Pistols, che suonava veramente heavy quasi da non farmelo considerare un disco punk: lo stile chitarristico di Steve Jones era molto penetrante e deciso, un po’ come quello di Angus Young. Mi piaceva quella ritmica, era accattivante e fortemente r’n’r, feci suonare i Fingernails con quel tiro ed il metallaro amò ogni singola nota, c’era notevole grinta metallica ma anche tra i ragazzi punk si parlò molto della nostra band. Ci furono momenti in cui le due frange si affrontavano pericolosamente durante i nostri show e qualche volta fui costretto ad interrompere lo spettacolo incazzandomi come una bestia, non volevo essere la colonna sonora di una tragedia… Credo comunque che con l’avvento del sound thrash californiano di metà Ottanta ci fosse stato un avvicinamento e i kids divennero dei metallari selvaggiamente punk. La nostra qualità era appunto di tenere incollate le differenze idealistiche dei due fronti, tant’è che ci siamo sempre trovati perfettamente a nostro agio con qualsiasi tipo di pubblico, pensa che riuscimmo a suonare anche in situazioni dove i kids erano dei glammettoni.
Una cosa tipica della scena di Roma era la sua attitudine da cane sciolto rispetto al resto della comunità metal. Ricordo il concerto dei Deep Purple all’EUR quando partita Highway Star noi thrasher abbiamo cominciato a pogare e fare stage diving sulla scalinata pensando alla cover dei Metal Church, con tanto di Gillan che si scusava con il resto dei presenti… Immagino abbia anche tu i tuoi aneddoti.
I Deep Purple erano il gruppo rispettato da qualsiasi metallaro, assieme ai Black Sabbath venivano considerati i padrini della NWOBHM, malgrado la ricostruzione dell’84 suonasse totalmente differente da In Rock o Made In Japan, comunque nessuno osava criticare quel cambio di indirizzo, in fondo Gillan e Blackmore avevano influenzato le nostre scelte e meritavano il giusto tributo. Vidi entrambi gli show romani dell’86 alla scalinata dell’Eur anche se ero stato in Svizzera l’anno precedente a godermi il fantastico spettacolo all’Hallenstadion di Zurigo, da quello che ricordo fecero delle ottime performance, io partecipai al primo spettacolo davanti al palco a pogare come un qualsiasi concerto metal, ma la sera seguente mi godei tutto, seduto comodamente e ascoltando ogni singola loro nota. Non ho particolari episodi da raccontare durante quelle due serate, solo un siparietto con Blackmore che strappò i pantaloni della tuta di Gillan durante il classico duetto voce-chitarra. È altresì ovvio che l’approccio all’ascolto di certi gruppi che provenivano dagli anni Settanta poteva sembrare differente ai loro occhi, per noi era normale pogare, visti i tempi, mentre loro pensavano ad una rissa…
Nella seconda metà degli Ottanta sembrava che il metal fosse destinato a dominare il mondo e nulla lo potesse più fermare, ormai ce ne era per tutti i gusti, dai più estremi e oscuri alle rivisitazioni del vecchio hard rock, dal crossover con l’hardcore alla sua edulcorata versione radiofonica, eppure ad un certo punto il giocattolo si è rotto e l’attenzione si è spostata altrove. Da cosa credi sia dipeso?
È vero, il metal divenne uno stile seguitissimo e le case discografiche si arricchirono. Diciamo che il metal vinse proprio per la varietà del look oltre ovviamente alle stupende produzioni musicali, con album rimasti nella storia del rock. Il metal divenne una moda e come tutte le mode ebbe un principio ed una fine. Quando hai a che fare con l’industria discografica ti ritrovi a godere della grossa pubblicità che ti viene offerta, ma se il potere decide di cambiare indirizzo finisci nella merda in un attimo, ecco perché io ho sempre seguito l’ambiente underground, che offre qualitativamente proposte musicali eccezionali proprio perché non legato agli stilemi del mercato.
Altrettanto inaspettatamente, quasi un decennio dopo c’è stato un colpo di reni e le cose sono tornate a farsi più rosee, anche se a livello di sicuro meno esposto e ben più underground. Immagino tu abbia accolto questo ritorno in modo entusiasta…
Quando il giocattolo si è rotto ci sono stati anni di anonimato (i Novanta), ma poi il genere è tornato di moda grazie ai social network, che hanno cambiato l’approccio alla musica. Le grandi case discografiche fortunatamente sono andate in crisi, consentendo alle piccole realtà di riportare in auge i gruppi più sconosciuti, ma che, evidentemente, avevano segnato la storia della musica metal mondiale. Anche i Fingernails, ovviamente, hanno approfittato del revival, e nel 2004 siamo tornati in pista. Parliamo ancora di underground, ma in realtà quest’aspetto ha subito dei cambiamenti esponenziali, prima era tutto legato alla vendita dei dischi ed alla pubblicità, oggi puoi quasi competere con le grosse realtà grazie ai click degli utenti internet, puoi facilmente arrivare in tutto il mondo, mentre la nostra epoca era fortemente condizionata dalle distanze.
Se ti guardi indietro, cosa pensi sia impossibile ripetere di quell’epopea e cosa invece proprio non rimpiangi e preferisci dell’oggi?
È impossibile ripetere un’epoca, ci ha provato pure la generazione di Woodstock, l’approccio alla musica ai tempi d’oggi è totalmente differente anche se la passione può essere la stessa. Quando ti vestivi da metallaro all’epoca non era mai facile, non era facile girare in città senza che ti ritrovassi fermato dalle forze dell’ordine o insultato dalla gente, oggi invece riesci a presentarti a lavoro senza far caso al look metallico e ai tatuaggi sulle dita e le braccia, cosa impensabile all’epoca. Vivendo il periodo di revival non puoi certo godere della novità musicale e stilistica da parte delle giovani generazioni, che ripetono essenzialmente un percorso già battuto, evidentemente le emozioni sono differenti, per un ragazzo di venti anni assistere allo show dei Metallica o dei Judas (o di qualunque altra formazione degli anni Ottanta) è a livelli di svenimento, mentre per noi “vecchiacci” è una palla assurda… Ciò che mi piace di oggi è che ancora esiste una grossa frangia di “defenders” che mantengono in vita questo meraviglioso circo e mi fanno sentire ancora giovane. In fondo il r’n’r non ha età.
Veniamo ai Fingernails, ormai tornati in pianta stabile a realizzare dischi e a calcare i palchi. Raccontaci di questa rinascita e di cosa bolle oggi in pentola. Insomma raccontaci come hai rimesso in moto il tutto ad inizio millennio e cosa succede oggi.
Nel 2004 ho ritrovato le energie per rimettere in piedi la band, c’era un nuovo interesse per le formazioni che hanno introdotto il metal in Italia negli anni Ottanta, non è stato per nulla semplice e qualche volta scarsamente gratificante, bisognava cominciare daccapo confrontandosi con le nuove leve che di certo non erano disposte a farsi fottere così facilmente. Quando ti rimetti in pista devi vincere qualsiasi altezzosità ed essere umile, tanto prima o poi se sei valido entri nei gusti del pubblico, diciamo che devi guadagnarti la fiducia del popolo metal. Oggi sembra tutto più facile per noi, ti assicuro però che è stata durissima ma non ho mai mollato, sono un guerriero ed ho sempre pensato alla musica non per guadagno ma per puro e semplice divertimento. Attualmente sta per uscire quello che è considerato il quarto album di inediti, ma in giro ci sono una decina di prodotti tra antologie, live, singoli ed outtakes anni Ottanta, più diverse ristampe, insomma un botto di roba che ci tiene ancora a galla in questo difficile campo. Abbiamo suonato in tutta Europa e il nostro nome è conosciuto negli States e in Sud America, ma anche in Giappone sono arrivati recentemente i nostri album. Certo, siamo sempre a livelli di piccola distribuzione, ma per noi era impensabile ricevere così tanti consensi.
Hai anche deciso di pubblicare un libro che racconta la storia del metal capitolino dal tuo punto di vista, un bel tuffo nel passato comune di molti di noi. Com’è nata l’idea e che tipo di accoglienza hai avuto?
L’idea è nata una decina di anni fa, un mio amico (Roberto Perciballi, Bloody Riot) pubblicò un libro che riguardava gli anni Ottanta del punk romano e quando mi incontrò mi mise in contatto col suo editore per una possibile produzione sul metal, ma non riuscimmo ad arrivare ad un accordo soddisfacente, tant’è che misi online alcuni episodi riguardante la mia epoca. Quello che trovai difficile fu rimettere ordine ai miei ricordi, avevo cancellato molti aneddoti e solo grazie l’aiuto di qualche amico sono riuscito ad aprire il cancello della memoria momentaneamente offuscato dalle nebbie alcoliche e dopanti. Per anni ho corretto le parti scritte, che spesso non collimavano con un italiano comprensibile: più che altro mi sono sempre sentito più chitarrista e non un romanziere, ma ci ho messo il cuore e la sincerità per arrivare a dare un senso alle mie parole. Spero di esserci riuscito. Il libro “Con Le Borchie Nel Cervello” ha ricevuto consensi e questo mi ha reso ancor più fiero del mio operato. Recentemente ho scritto il seguito, “Catene e Sangue”, ma ho preferito inoltrarlo tramite internet gratuitamente piuttosto che sbattermi per trovare una pubblicazione ufficiale, devi sapere che odio questo tipo di preparazione, mi snerva follemente, è così anche per le registrazioni, non amo perdere tempo in sala e soprattutto cerco le situazioni “cotto e mangiato”, per cui a volte tralascio la forma professionale dei prodotti ma è fondamentale per me rimanere underground alla vecchia maniera, una scelta di carattere, sono fatto male, che vuoi farci ?
Non ti stresso oltre, grazie mille del tuo tempo. Lasciaci con un consiglio per i gruppi che cominciano oggi a farsi le ossa, quali gli errori da non fare e le cose da tenere bene a mente…
Beh, io sono la persona meno indicata per dare un consiglio alle nuove generazioni. Se proprio vogliamo essere precisi, sono io a cercare spesso consiglio da queste, perché vivono i tempi che noi “antichi” spesso non capiamo. Certo è che la mia esperienza può aiutare coloro che vogliono conoscere il mondo metal, in questo sono maestro ovviamente, ma capisco la mentalità dei ragazzi, soprattutto di quelli che vogliono interpretare la vecchia scuola, spesso ci rimangono male rimanendo delusi della mancanza di fratellanza in questo ambiente, ma racconto che la fratellanza è esistita solamente nei primi due anni di appartenenza tra l’80 e l’82 e che il prosieguo non è stato tutto rose e fiori, anzi. Musicalmente credo che per arrivare alla notorietà siano necessari tanti sacrifici e soprattutto forte umiltà, nulla ti viene regalato a questo mondo e devi guadagnartelo con il tuo sudore, invece vedo in giro tanta inesperienza, si preferisce mettere mano al portafogli per arrivare poco più che al primo scalino, la strada è lunga e difficile. Ragazzi, vivere il metal è conoscenza e passione, non lasciatevi vincere dal mercato, vi toglie sogni e raccontano bugie, poi lasciatevi coinvolgere da questa fantastica musica e partecipate al party usando il cervello, io ho corso tanti rischi ma alla fine sto qui a raccontarvelo. Per fortuna!