Come sempre, Andrea Vaccaro riesce a conciliare l'anelito per un futuro di ipertecnologica abbondanza, tipico dei transumanisti, con l'anelito per l'ultraterreno, tipico delle religioni. Questo suo editoriale e' stato pubblicato sull'Avvenire del 14 gennaio 2012 (i collegamenti sono miei).
Si cantavano, un tempo, le mirabilie di un’età dell’oro, dove gli umani “vivevano come dei, liberi da fatiche e sventure e, lieti e tranquilli, si godevano tutti i beni tra molte gioie”. Il buon Esiodo doveva però essere un po’ ingenuo e assai confuso sulle coordinate temporali di questa età aurea se è vero quanto sostiene, di recente, una compatta schiera di autori, ben convinti che il regno dell’abbondanza risieda in un imminente futuro, pressappoco a portata di mano. Il più attivo, tra tali autori, è Peter Diamandis, co-fondatore della Singularity University (con la partnership nientemeno che di Nasa, Google, Autodesk e Nokia), con il suo Abundance (2012) che, all’uscita, ha portato a sbilanciarsi anche l’autorevole rubrica Schumpeter dell’“Economist”, secondo cui «il libro ci ricorda come gli scienziati continuino a rendere il mondo un luogo migliore, sebbene i politici si sforzino di fare l’opposto». In coro, poi, Rational Optimism (2010) di Matt Ridley, Getting Better (2011) dell’economista Charles Kenny e Singularity Rising (2012) di James Miller leggono il grafico del progresso che inoppugnabilmente indica una crescita generalizzata in salute, longevità, igiene, educazione e convivenza pacifica. Ed Eric Drexler, il preconizzatore delle nanotecnologie, già preannuncia il suo nuovo imponente studio, guarda caso intitolato Radical Abundance. In una Ted Talk di fine settembre 2012, Diamandis spiegava le ragioni della sua previsione: «abbiamo il potenziale, nei prossimi tre decenni, per creare un mondo di abbondanza. Negli ultimi cento anni la durata della vita è più che raddoppiata; il reddito pro capite nel mondo, considerando il potere d’acquisto, è triplicato; la mortalità infantile è scesa di dieci volte; i costi di alimentazione, elettricità, comunicazione e trasporti sono scesi da dieci a cento volte; l’alfabetizzazione è passata dal 25 all’80%». E giù a provocare sul paradosso della scarsità dell’acqua in quello che è detto il “pianeta blu” o del problema energetico quando siamo inondati, abbracciati, talvolta inariditi dal calore del sole. L’unico ostacolo consiste nell’attingere da queste inestimabili ricchezze, ma la tecnologia è qui apposta, «non per suddividere la torta in fette più piccole, ma per riuscire a fare torte più grandi». E così, in un’epoca dove risuona il lamento per il degrado politico, la crisi economica e il dissesto morale, dall’ambito della tecnologia si alza una sorta di sonora Gaudium et spes, che in certa misura spiega anche perché i giovani siano assai attratti da questa unica oasi ridente in zone generalmente depresse. Tecnologia, dunque, come nuova fede in nuove Terre promesse? La domanda sul rapporto tecnologia-religione ha già molte risposte. La risposta “apprensiva” per cui la prima è rapporto alienante con le cose, laddove la seconda è relazione con Dio, che dà pace e pienezza. La risposta “accusatoria” secondo cui la tecnologia è una propaggine naturale di un giudeo-cristianesimo fondato sull’imperativo del “soggiogare la terra”. La risposta “neutralista” che vede la tecnologia come un mero strumento e tutto dipende dal suo uso, più o meno etico. Tra queste e varie altre risposte, spicca l’intuizione – già tomista – recentemente esposta da Giacomo Canobbio, che si modella con particolare grazia sul dibattito circa l’abbondanza tecnologica. “Dal desiderio all’anima” (Ambula per hominem et pervenies ad Deum. Scritti in onore di Ignazio Sanna, Studium 2012) è il principio segnalato da Canobbio: all’origine di «questo desiderio di pienezza che è presente in tutti gli umani, benché si orienti in forme differenziate» si può intravedere «un principio di natura altra rispetto al dato neuronale». Un principio che tradizionalmente si chiama “anima”, con la sua “nostalgia” o “memoria” di una beatitudine verso cui insopprimibilmente aneliamo. Anche il regno dell’abbondanza tecnologica, con i suoi tortuosi tornanti, alla fine, potrebbe ri-portare proprio al luogo dell’anima.
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