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Animal Kingdom (Festival di Roma 2010)

Creato il 29 ottobre 2010 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

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L’esordiente David Michod sorprende non poco con un film originale, capace di rielaborare, nella forma, un genere cinematografico fin troppo usurato, quello del gangster movie, riposizionando le tipiche prospettive d’osservazione e ricalibrando, ridimensionandola,  la statura dei personaggi che normalmente gravitano all’interno delle storie criminali. Finalmente li vediamo per quello che sono: assolutamente non affascinanti, rivoltanti, esecrabili. Il carisma che il grande delinquente, infrangendo le regole, ha sempre sotterraneamente esercitato presso il popolo svanisce nella miseria delle sue azioni.

Animal Kingdom traspone in terra d’Australia una storia malavitosa incentrata su una famiglia che convive usualmente con il delitto ma, invece del classico tribalismo alla Coppola,  Michod propone una serie di relazioni in cui a fare da perno è la figura femminile della non più giovane madre, un personaggio davvero ben elaborato,  affettuoso (fino a sfiorare l’incesto) e crudele al tempo stesso.

È questo il regno animale all’interno del quale viene scaraventato il giovane Joshua ‘J’ Cody (James Frecheville), che dovrà scegliere da che parte stare.

La regia è abile nel ridurre drasticamente l’elemento spettacolare, innescando una dilatazione dei tempi narrativi che, invece di accompagnare in maniera didascalica lo sviluppo della storia, trattiene lo spettatore (prendendolo quasi in ostaggio) in uno stato di sospensione, in cui l’emotività dei personaggi è tenacemente congelata. Ed è proprio a ridosso del vuoto di questa sospensione che emerge tutta la miseria umana del mondo criminale. Niente musiche ridondanti, pochissimi spari, macchina da presa pressoché immobile: un minimalismo non furbo, originale, che davvero dà una scossa stilistica ad un genere da tempo sclerotizzato.

Complimenti al coraggio e alla bravura di David Michod.

Luca Biscontini


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