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Chi è abituato a guardare il regno animale da vicino, negli occhi, e non dall’alto al basso di una ‘razza superiore’ convinta di poter esercitare a suo piacimento il diritto di vita e di morte, sa bene quanto ogni ‘specie’ riesca ad essere sorprendente, e quanto purtroppo considerarli come meri esemplari di una specie porti spesso a prevaricarne la ‘natura’.
In un’epoca che guarda gli animali da gabbie e recinti, e addomestica o estingue quelli in ‘cattività’ (termine eloquente), qualcuno vede anche la fotografia naturalistica come l’equivalente moderno della caccia grossa di vittoriana e coloniale memoria, con i suoi trofei da stampare e appendere al muro, con la sottile differenza che il memento mori della fotografia non uccide il soggetto inquadrato, e spesso le immagini che fanno il giro del mondo e degli sguardi inconsapevoli o distratti, contribuiscono alla salvaguardia dei soggetti che riprendono.
Tra questi c’è anche l’obiettivo di Joe Zammit-Lucia e i suoi Animal Portraiture realizzati per “celebrare l’animale come individuo, non come mero esemplare della specie …” e tutelare la sopravvivenza delle specie in vie di estinzione che fotografa, grazie anche ai profitti devoluti in beneficenza. Felini che scivolano fuori da un nero di tenebra, mammiferi che ci assomigliano più di quanto vorremmo ammettere, e particolari stretti o ravvicinati che ci costringono a guardare in modo diverso.
Qualcuno contrario all’antropomorfizzazione degli animali, e tanto ingenuo o puro da ignorare i meccanismi che regolano l’etica della società di massa, potrebbe accusarlo di realizzare ‘bestiali’ imitazioni del genere umano, che inteneriscono per la loro somiglianza e non per la loro differenza.
Altri, senza essere per questo Machiavellici, per la stessa ragione potrebbero apprezzare il lavoro di sottrazione esercitato dal fotografo inglese, che isolando ogni animale dal contesto originario lo presenta allo sguardo da un punto di osservazione insolito, in grado di scatenare i meccanismi di riconoscimento e attrazione funzionali all’obiettivo da raggiungere, ovvero imparare a guardarli in modo diverso, ri-definendo la nostra visione insieme al rapporto che abbiamo con gli animali.
E se la conoscenza non è frutto della semplice osservazione..
“Reality discloses itself to us only in the spirit’s more objective reconstructions of what the senses present to us” (Karsten Harries).
Fonte
http://www.jzlimages.com/