Altro ripescaggio dal vecchio blog. Questa volta si tratta di un articolo criptozoologico/scientifico. Mi spiace solo aver perso le fonti di riferimento, ma se le ritroverò non mancherò di segnalarvele.
La criptozoologia è un tema interessante, soprattutto se spogliato dai suoi aspetti più "weird" (avvistamenti di Bigfoot, di Chupacabras etc etc). Mi piacerebbe tornarci in futuro con qualche nuovo post, anche perché gli spunti narrativi potrebbero essere davvero tanti. Semmai fatemi sapere se l'argomento vi interessa o meno, che un po' di materiale da parte io ce l'ho.
- - -
Dopo aver parlato di animali estinti e - più volte - di criptidi, è arrivato il turno di parlare di animali un tempo creduti leggendari. Ovviamente i maggiori riferimenti in materia li abbiamo dai bestiari medioevali, e dai diari di bordo delle varie spedizioni navali che esploravano terre a quei tempi sconosciute.
Mancando del raziocinio scientifico dei tempi moderni, era certo facile identificare creature appartenenti a poemi epici (draghi, basilischi, unicorni), o alla mitologia classica (chimere, kraken etc). Provate a immagire cosa dovevano pensare dei marinai del '500 nel trovarsi davanti un ippopotamo inferocito. Di certo era più facile immaginarlo come un mostro partorito dall'inferno, che non come un animale calato nel suo ecosistema.
I calamari giganti, ritenuti un tempo creature mitiche, sono calamari della famiglia Architeuthidae, composta da circa otto specie del genere Architeuthis. Sono abitanti delle profondità oceaniche che possono raggiungere dimensioni immense: stime recenti parlano di dimensioni massime di 13 metri per le femmine e di 10 metri per i maschi, dalla pinna caudale fino all'estremità dei due lunghi tentacoli.
I racconti di calamari giganti erano comuni tra i marinai fin dai tempi antichi e questi possono aver portato alla leggenda norvegese del kraken, un mostro marino tentacolato grande quanto un'isola capace di ingolfare ed affondare ogni nave. Japetus Steenstrup, il descrittore dell'Architeuthis, suggerì che un calamaro gigante fosse la specie descritta come monaco di mare dal re danese Cristiano III nel 1550 ca. Anche l'esistenza del Lusca dei Caraibi e della Scilla della mitologia greca può trarre origine dagli avvistamenti di calamari giganti. Si pensa che anche gli avvistamenti di altri mostri marini, come il serpente marino, possano essere stati interpretazioni erronee di incontri con calamari giganti.
Si è a lungo ritenuto che la famiglia degli ippopotami avesse origine dallo stesso ceppo da cui derivano, da un lato, i suidi (maiali, cinghiali ecc.) e, dall'altro, i ruminanti (per esempio, cervidi e bovidi).
Gli studi più recenti sulle origini degli ippopotamidi suggeriscono che ippopotami e cetacei condividano un antenato comune semi-acquatico che si sarebbe differenziato dagli altri Artiodattili circa 60 milioni di anni fa, per poi dar vita, circa 54 milioni di anni fa, a due branche distinte , da una delle quali si evolsero i cetacei.
Gli ippopotami abitavano un tempo la bassa valle del Nilo. Per gli antichi Egizi, il loro aspetto tondeggiante e massiccio evocava una dea della fecondità, e sotto queste sembianze vennero spesso rappresentati nei bassorilievi.
Un'azzeccata descrizione tratta dal bestiario noto come Liber monstrorum (VIII secolo d.c.) li descrive così: " Si dice che in India ci siano gli ippopotami, belve più grandi degli elefanti, che, dicono, abitano in un fiume dall'acqua impotabile. E si narra che una volta in una sola ora abbiano tratto nei rapaci vortici dei gorghi trecento uomini e che li abbiano divorati in una morte crudele. "
La fonte occidentale più antica che cita per nome questa creatura mitizzata è Sulla natura degli animali, un'opera di zoologia in diciassette volumi redatta da Claudio Eliano, scrittore in lingua greca degli inizi del III secolo.
Eliano lo descrive come un unicorno delle dimensioni pari a quelle di un cavallo, con le zampe di elefante, la coda caprina, e un unico corno nero centrale ritorto sulla fronte. La creatura, veloce e bellicosa, vive nelle regioni aride e montuose dell'India. Si tratta di luoghi, precisa Eliano, " inaccessibili agli uomini" e " popolati da innumerevoli creature selvagge che gli storici e i sapienti del luogo, tra cui i Brahmani, cercano di classificare"[...]" Il nome che danno a questo animale è kartazon".
Un carattere centrale del mito dell'unicorno, soprattutto nel medioevo europeo, è costituito dalle virtù curative del suo corno frontale, ma il kartazon ovviamente non presenta alcun carattere magico o sovrannaturale.
Incontriamo il rinoceronte/unicorno della letteratura islamica nel viaggio di Sindbad il marinaio contenuto ne Le mille e una notte del X secolo, in cui viene descritta una creatura chiamata karkadann.
La descrizione dell'animale è simile a quella di Eliano, ma ne vengono evidenziate le enormi dimensioni e la feroce lotta con l'elefante. Il karkadann è acerrimo nemico dell'elefante che carica a vista e, spesso, incorna a morte, ma non riuscendo, successivamente, ad estrarre il corno dal corpo dell'elefante finisce per soccombere anche lui, accecato dal grasso che cola dalla ferita a causa del calore del sole.
Il Varano di Komodo o Drago di Komodo (Varanus komodoensis) è il più grande sauro vivente, un rettile che può raggiungere lunghezze superiori ai due metri. Morfologicamente assimilabile a una lucertola di grandi dimensioni, ha la lingua biforcuta, la pelle squamosa tendente all'azzurrognolo, è carnivoro e molto aggressivo.
Nel XIX secolo i marinai e i pescatori delle isole di Flores e Sumbawa narravano spesso storie fantastiche di uomini e animali assaliti e sbranati da grandi draghi che vivevano nella piccola isola di Komodo, un lembo di terra caratterizzato da una superficie di appena 600 chilometri quadrati e situato nell'Arcipelago della Sonda. D'altra parte, molti dei nativi delle due isole indonesiane erano così sicuri dell'esistenza dei giganteschi draghi - o "Boeja darat", cioè coccodrilli di terra - che non avevano nemmeno il coraggio di approdare sulle coste di Komodo.
Evidentemente un fondamento di verità esisteva nelle "leggende" raccontate dagli abitanti di Flores e Sumbawa, e ciò indusse Peter A. Ouwens, direttore del Giardino botanico di Buitenzorg (Giava), a organizzare nel 1912 una spedizione nell'isola stessa, con l'intento primario di osservare e catturare qualche esemplare del mitico rettile che tanto timore incuteva alle popolazioni locali. Ouwens riuscì nell'impresa: le sue minuziose ricerche, condotte in varie località di Komodo, gli fruttarono infatti quattro individui del supposto drago. Questo era in realtà un varano di dimensioni imponenti e apparteneva a una specie nuova per la scienza, cui fu assegnato appunto il nome di Varanus komodoensis.
Il clamore suscitato negli ambienti scientifici dalla notizia relativa alla scoperta del drago di Komodo fu grande, e nel 1926 anche lo staff del Museo di Storia Naturale di New York decise di organizzare una spedizione a Komodo, al fine di studiare la biologia del grande varano e di catturare alcuni esemplari della specie medesima. La spedizione - a cui parteciparono Dunn, uno dei più noti erpetologi degli Stati Uniti, il cacciatore indocinese Defosse, il quale aveva il compito di prendere i varani utilizzando delle trappole particolari, e la fotografa Burden - fu autorizzata e appoggiata dal governo olandese, che in quegli anni reggeva amministrativamente le isole dell'Arcipelago della Sonda, e permise di compiere tutta una serie di osservazioni originali sull'ecologia e sull'etologia della specie. Grazie alla cattura di dodici esemplari morti e due vivi, fu inoltre possibile intraprendere studi approfonditi sull'anatomia e sulle caratteristiche morfologiche e cromatiche del gigantesco sauro della piccola isola indonesiana.