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Anime gemelle: Aristoteles Onassis e Maria Callas

Creato il 20 marzo 2016 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
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Maria Callas nel ruolo di Violetta (La Traviata) nel 1958

Aristoteles Sokrates Homer Onassis (in greco Αριστοτέλης Ωνάσης; Smirne, 15 gennaio 1906 – Neuilly-sur-Seine, 15 marzo 1975) è stato un armatore greco.

Biografia

Greco di origine, Aristoteles Sokrates Homer Onassis nacque il 15 gennaio 1906 a Karatass, un sobborgo di Smirne (oggi Izmir, Turchia) da Socrate e Penelope Onassis (nata Dologu), che aveva sposato Socrate all’età di 17 anni. Aristoteles Onassis aveva una sorella, Artemis, e due sorellastre, Kalliroi e Merope, nate dal secondo matrimonio del padre dopo la morte di Penelope, avvenuta quando quest’ultima aveva 33 anni. Socrate Onassis proveniva dal villaggio di Moutalasski (ora denominato Talas), vicino a Cappadocia in Asia Minore, nell’attuale provincia di Kayseri, nella Turchia centrale. La sua era una famiglia povera, reduce dal massacro effettuato dai turchi per riconquistare la sua città natale.

Ancora adolescente, Onassis venne imprigionato, torturato e condannato a morte. Riuscì però a liberarsi ed a fuggire in Argentina, nel 1923, con in tasca solo 60 dollari. Qui si dedicò all’importazione di tabacco orientale.

A Buenos Aires il giovane intraprendente greco venne poi assunto come telefonista e, grazie a quest’impiego, poté ascoltare le conversazioni di uomini di affari e fare investimenti, che gli fruttarono moltissimo denaro. Nel 1928 era console generale greco. Nel 1932, in piena depressione economica, Onassis comprò alcune navi da un’azienda canadese in bancarotta per soli 120.000 dollari. Investì molto del denaro ricavato per costruire ed acquistare navi petroliere. Arrivò così a formare una delle flotte più grandi del mondo.

Quando il mercato dei noli vide un rialzo, Onassis iniziò una prosperosa e fortunata attività di armatore che non conobbe rallentamenti neanche durante la Seconda guerra mondiale. Il prezzo con cui forniva le sue navi agli alleati era altissimo. Nel 1954 l’FBI indagò sull’armatore per frode ai danni degli U.S.A. e lo fece condannare ad un risarcimento di 7 milioni di dollari.

Ma Onassis non si fermò e nel 1957 creò la compagnia aerea Olympic Airways (successivamente rinominata Olympic Air) e si occupò anche della costruzione della Olympic Tower di New York. L’armatore era ormai uno degli uomini più ricchi e potenti del mondo: arrivava a controllare da vicino l’economia e le scelte del Principato di Monaco. La tensione diplomatica era altissima: Grace Kelly fu una sua fiera oppositrice. Nel 1967 finì col cedere ai principi il pacchetto di maggioranza della Société des Bains de Mer.

Intanto, nel 1945, aveva sposato Athina Mary Livanos, figlia dell’armatore Stavros Livanos, con la quale entrò attivamente a far parte dell’alta società europea. Dalla Livanos ebbe due figli, Alexander e Christina. Il suo ruolo di importante uomo d’affari non lo teneva comunque lontano dalla vita mondana. Fu spesso presente in Italia: nel 1957, dopo aver divorziato da Athina, incontrò Maria Callas, celebre soprano sua conterranea, anche se nata in America. Il loro primo incontro avvenne nel 1957 ad una colazione a base di pesci fritti e champagne, con i camerieri vestiti da gondolieri, tenutasi sulla spiaggia del Lido di Venezia organizzata dalla Contessa Anna di Castelbarco. Iniziò, nel 1959, una relazione con lei: fu un amore tormentato. L’armatore ricevette il soprannome di “collezionista di donne celebri”.

Nel 1968 Onassis terminò la relazione con la cantante: sposò infatti la vedova di John F. Kennedy, Jacqueline Lee Bouvier. Il matrimonio tra Jacqueline e l’armatore non funzionò apparentemente bene: la coppia raramente trascorreva il tempo insieme più del minimo garantito dal rigido contratto pre-matrimoniale che i due avevano stilato e Jacqueline finì per dedicarsi ai viaggi e allo shopping. Nonostante Onassis si trovasse bene con i figliastri Caroline e John (il figlio Alexander diede al giovane John le prime lezioni di volo e, per ironia del destino, entrambi sono morti in seguito a incidenti aerei), la figlia Christina Onassis non legò mai con Jacqueline. Il 23 gennaio 1973 Alexander, l’unico figlio maschio, morì in seguito alle ferite riportate in un incidente aereo. In cattive condizioni di salute a causa di una malattia cronica, la miastenia gravis, e abbattuto dalla morte del figlio, Aristotele Onassis morì il 15 marzo 1975 a Neuilly-sur-Seine, dopo un intervento resosi necessario a causa di un’infezione. Pochi giorni prima aveva ricevuto un’ultima visita della Callas al suo capezzale. La figlia Christina morì il 19 novembre del 1988 a soli 37 anni per edema polmonare.

La sua fortuna fu stimata nel 1975 in circa 500 milioni di dollari del tempo, pari oggi a circa 2,133 miliardi di dollari.

Onassis è stato il proprietario del Christina O, considerato uno degli yacht più lussuosi del mondo e anche di un’isola chiamata Skorpios, non visitabile, nella quale è stato sepolto.

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Maria Callas, in origine Anna Maria Cecilia Sophia Kalogeropoulou (greco: Άννα Μαρία Καικιλία Σοφία Καλογεροπούλου; New York, 2 dicembre 1923 – Parigi, 16 settembre 1977), è stata un soprano greco, in possesso della nazionalità statunitense e naturalizzata italiana fino al 1966, quando rinunciò ad entrambe per ottenere quella greca[1].

Nata a New York da genitori greci, Maria Callas studiò ad Atene dal 1939 al 1945, intraprendendo la carriera internazionale dai tardi anni quaranta agli anni sessanta.

Dotata di una voce particolare, che coniugava un timbro unico a volume, estensione e agilità notevoli, Callas contribuì alla riscoperta del repertorio italiano della prima metà dell’Ottocento (la cosiddetta «belcanto renaissance»), in particolare Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti, di cui seppe dare una lettura personale, in chiave tragica e drammatica, oltre che puramente lirico-elegiaca. Sempre a lei si deve la riscoperta della vocalità ottocentesca definita canto di bravura, ma con lei in un’epoca moderna che comprendeva anche il genere verista fu coniato da Teodoro Celli il termine di soprano drammatico d’agilità per la restaurazione della tecnica di canto di origine primo-ottocentesca applicata a tutti i repertori.

Tra i suoi cavalli di battaglia vi furono Bellini (Norma, Puritani, Sonnambula), Donizetti (Lucia di Lammermoor), Verdi (Macbeth, Traviata, Trovatore, Aida), Ponchielli (La Gioconda), Puccini (Tosca, Turandot).

Si dedicò inoltre con successo alla riscoperta di titoli usciti di repertorio a causa della mancanza di interpreti sopranili adeguate, quali Armida e Il Turco in Italia di Rossini, Il pirata di Bellini, Anna Bolena di Donizetti, Alceste e Ifigenia in Tauride di Gluck, La Vestale di Gaspare Spontini e Macbeth di Verdi, sia pure senza quel rigore filologico per le partiture integrali o originali, ossia accettando i tagli e i molti adattamenti di tradizione imposti dai direttori dell’epoca.

Indissolubilmente legati al suo nome sono Norma di Vincenzo Bellini e Medea di Luigi Cherubini, ruoli di cui ha dato un’interpretazione magistrale, sia vocale che teatrale.

Le sue straordinarie doti di soprano e attrice, il successo, artistico e mediatico, il mito costruito attorno a lei, le sono valsi l’appellativo di Divina.

Nome e data di nascita

Il nome all’anagrafe è Sophia Cecilia Kalos, mentre il nome di battesimo, per esteso, è Anna Maria Cecilia Sophia Kalogeropoulou (in greco: Άννα Μαρία Καικιλία Σοφία Καλογεροπούλου). Il cognome originario del padre, Kalogeropoulos (Καλογερόπουλος) – Καλογεροπούλου è il genitivo – fu da questi semplificato dapprima in Kalos al suo arrivo negli USA, dopodiché diventò Callas. Per quanto riguarda la data di nascita, ci sono state diverse incertezze tra il 2, il 3 e il 4 dicembre, dipendenti probabilmente da un lapsus memoriae della madre. Il registro dell’anagrafe riporta il 3, il passaporto il 2, mentre sia la madre che lei concordavano sul 4, data di cui Callas non era sicura ma che prediligeva perché giorno di Santa Barbara, santa pugnace e combattiva che sentiva a sé congeniale. Oggi è assodato che la data esatta fosse il 2 dicembre. Nel suo libro, l’ex moglie di Giuseppe Di Stefano racconta di una cena organizzata il 2 dicembre 1972 in onore di Callas per festeggiare il compleanno della cantante.

Biografia

I genitori, George Kalogeropoulos ed Evangelia Dimitriadou, si conobbero all’università dove entrambi studiavano farmacia. George Kalogeropoulos era originario del Peloponneso ed era di estrazione modesta. Evangelia Dimitriadou veniva invece da una famiglia abbastanza benestante: i suoi genitori, di ascendenza greca, si erano trasferiti da Istanbul a Stylis, per poi stabilirsi ad Atene. Nella società greca dell’epoca aveva una certa importanza il fatto che i Dimitriadis fossero una famiglia di tradizioni militari. Il matrimonio era insomma, almeno in parte, male assortito, e sarebbe stato motivo di frustrazione soprattutto per Evangelia Dimitriadou. Si sposarono nel 1916, stabilendosi a Meligala. Nel giugno del 1917 nacque la primogenita, Yakinthy (più tardi detta “Jackie”). Nel 1920 nacque l’unico figlio maschio, Vasili, che sarebbe morto nel 1923, vittima di un’epidemia di tifo. Questa perdita lasciò tracce profonde soprattutto nella madre e fu alla base della scelta di trasferirsi negli Stati Uniti d’America, dove i coniugi sbarcarono il 2 agosto 1923, trasferendosi in un appartamento di Long Island. George Kalogeropoulos trovò lavoro nel settore farmaceutico di un’azienda chimica[senza fonte].

Maria, concepita in Grecia, nacque al Flower Hospital di New York il 2 dicembre 1923. Il padre aveva già cambiato all’anagrafe il suo cognome da Kalogeropoulos in Callas (ma sulla carta di identità italiana al momento del suo matrimonio a Verona appare “Kalòs”). Si dice che la madre, che avrebbe voluto un maschio (che avrebbe battezzato Vasili, come il fratellino morto), per quattro giorni rifiutò di vederla ed esitò a lungo prima di trovarle un nome. La bambina, eccezionalmente robusta, pesava più di sei chili alla nascita, sempre secondo le fantasiose reminiscenze della madre, raccolte da giornalisti statunitensi abbastanza privi di scrupoli.

La bambina venne battezzata a tre anni d’età, nel 1926, presso la chiesa greco-ortodossa di New York. A quest’età, sempre stando ai racconti di Evangelia, sembra già ben avviata alla carriera musicale: a tre anni ascolta arie d’opera grazie alla pianola del padre e della madre, a quattro comincia a mettere assieme le prime melodie al pianoforte. Sempre nel libro My daughter Maria Callas, Evangelia Dimitriadou sostiene che, a quattro anni, la piccola Maria, cantando ignara con le finestre aperte, avesse addirittura costretto gli automobilisti a fermarsi ad ascoltarla incantati, bloccando il traffico.

Nel 1928, sfuggita al controllo della madre, la piccola Maria tentò di raggiungere la sorella Yakinthy, intravista dall’altra parte della strada, attraversandola di corsa: un’automobile la colpì in pieno, trascinandola sotto le ruote per molti metri prima di riuscire a fermarsi. Trasportata subito all’ospedale di St. Elizabeth, dopo 22 giorni uscì dal coma. Questo fu un fatto al quale sia Maria che Evangelia Dimitriadou addussero molta importanza. Maria confessò ad Eugenio Gara che durante il lungo stato d’incoscienza strane musiche le ronzavano nelle orecchie. La madre sostenne che dopo l’incidente Maria sviluppò un carattere completamente diverso da prima e fece risalire il “cattivo carattere”, che sarà famoso nel mondo, umbratile, ostinato e ribelle, proprio a questa circostanza.

Nel 1929 il padre aprì una farmacia a Manhattan. La famiglia viveva con un certo decoro, risentendo limitatamente del crollo di Wall Street, grazie soprattutto all’intraprendenza paterna. Maria Callas seguì una brillante carriera scolastica e, parallelamente, dal 1931 prese lezioni di canto (sotto la guida di una ignota “signorina Sandrina”, che fu l’artefice della sua prima impostazione vocale) e pianoforte. A proposito di questa prima formazione, nonostante le sue notazioni in merito siano state molto laconiche, Maria ebbe modo di mettere in luce il fatto che già in questa primissima fase qualcosa la portava a quella sorta di “sincretismo” tra scuole nazionali di cui la sua voce sarà il risultato: la signorina Sandrina infatti le insegnava sia il metodo italiano che quello francese (che consisteva nel far passare la voce dal naso, forzando in modo disastroso l’organo). Per proprio conto (come ricorderà più avanti la stessa interessata) aveva già preso l’abitudine di alternare arie molto diverse, ad esempio la Habanera dalla Carmen di Georges Bizet e Io son Titania, dalla Mignon di Ambroise Thomas: un’aria di mezzosoprano e una di soprano di coloratura.

Di robusta costituzione, sviluppò molto presto un’importante disfunzione ghiandolare, che la porterà ad un’abnorme crescita di peso, dalla quale non si libererà completamente prima del 1953. Nel 1937 i genitori si separarono e la madre, ritornata in Grecia, riassunse il cognome Kalogeropoulos.

In Grecia (1937-1945)

Una volta in Grecia, Maria fu ammessa al Conservatorio di Atene dove si diplomò in canto, pianoforte e lingue, studiando con il soprano italiano Maria Trivella, forse prima scopritrice di un registro acuto facilissimo, ma ancora senza quelle note gravi che sarebbero divenute tipiche della sua particolare estensione vocale. L’audizione del 1937 prevedeva la “Habanera” dalla Carmen e “La Paloma”. L’11 aprile 1938 partecipò ad un saggio con altri studenti, e cantò arie da Il franco cacciatore di Weber, La regina di Saba di Gounod e il duetto d’amore dalla Madama Butterfly. Dopo altri piccoli concerti e audizioni, arrivò, il 2 aprile 1939, un ruolo da primadonna: Santuzza in Cavalleria rusticana di Pietro Mascagni, vincendo il premio che il conservatorio metteva in palio. Cominciò così la prima fase di una precocissima carriera che le farà guadagnare l’appellativo di “Divina”.

Nel 1939 continuò a cantare soprattutto arie e duetti del repertorio lirico-spinto italiano (Aida, Un ballo in maschera, Cavalleria rusticana), fino all’audizione davanti ad Elvira de Hidalgo, celebre soprano di coloratura che si trovava bloccata in Grecia per ragioni private, nel mese di settembre, con “Mare, grande mar”, dall’Oberon di Weber. La guida della De Hidalgo determinò subito una svolta anche verso un altro repertorio, con lo studio di arie e duetti da Norma e Il trovatore, ma nel 1940 l’altro ruolo completo fu di tipo lirico-drammatico, con Suor Angelica di Puccini, e così via: da quell’epoca, Maria Callas inserì sempre arie virtuosistiche nei suoi programmi (“Bel raggio lusinghier”, dalla Semiramide di Rossini, appare già in un programma del 1942) per tenere la voce “leggera”, secondo, sembra, i precetti della maestra.

Nonostante lo scoppio della guerra, sarà un susseguirsi di interpretazioni in crescendo, preparate in condizioni precarie ma con molto scrupolo e precisione per l’ambiente musicale greco-tedesco: le musiche di scena de Il mercante di Venezia al Teatro Reale di Atene, fu Beatrice in Boccaccio di Franz von Suppé al Palais Cinéma; dal 1941 fino al 1945 interpreterà Floria Tosca nella ripresa nell’Helleniki Ethnikon Skini di Atene di Tosca di Giacomo Puccini, Cavalleria rusticana, Fidelio, Der Bettelstudent (Il principe studente di Millöcker), la sua unica interpretazione (Smaragda, 1943 e 1944) di un’opera contemporanea, O protomastoras (Il capomastro, di Manolis Kalomiris, da un dramma di Nikos Kazantzakis) e Tiefland di Eugen d’Albert. Il momento più internazionale, tutt’altro che trascurabile per la sua preparazione tecnica e drammatica, fu decisamente il Fidelio di Beethoven, studiato con Irma Kolassi, del quale Maria aveva già cantato l’aria principale, la lunga e famosa “Abscheulicher”, in almeno due concerti dell’anno precedente.

L’Arena di Erode Attico, come gli altri più importanti organismi di Atene, erano al momento in mano all’occupante nazista. Maria, diplomata in italiano, spagnolo e francese, non conosceva il tedesco, e lo studiò appositamente con insegnanti greci, evitando accuratamente di venire in contatto con i tedeschi occupanti. Grazie alla sua lettura, le dodici rappresentazioni estive del dramma beethoveniano della libertà acquisì, in un clima di tensione spasmodica, nel bellissimo teatro all’aperto, un’enorme valenza allusiva alle condizioni di allora della Grecia, pur non risparmiandole da parte dei colleghi accuse di collaborazionismo per aver cantato sotto una direzione tedesca. È peraltro noto che Callas, la madre e la sorella nascondessero in casa alcuni militari inglesi; circostanza relativamente alla quale non manca un episodio toccante, sembra reale, che vedrebbe Callas improvvisare “Vissi d’arte”, dalla Tosca, al pianoforte durante un’ispezione fascista; i militari, distratti dal suo canto, avrebbero desistito da più approfonditi controlli. Singolarmente numerose e particolareggiate le testimonianze di conoscenti circa la condotta di Callas nei difficili anni della guerra: impegnata a mantenere sé e la famiglia con i più disparati mestieri, si adeguò a cantare in tutti i locali, anche di infimo ordine (compreso il postribolo di piazza Omonoia), svolgendo nel frattempo lavori pesanti, e per un certo periodo fungendo da interprete presso l’ambasciata inglese.

Maestri, colleghi e amici riportano concordemente l’impressione di avere davanti un talento non comune di cantante e interprete, e se molti ricordi possono essere enfatizzati dal mito creato successivamente, basterebbe la sola testimonianza di Ray Morgan, un militare suo occasionale accompagnatore: poteva alzarsi dal tavolo di un locale per cantare, e preda di una metamorfosi totale, soggiogare il pubblico con un quasi temibile magnetismo.

Musicalmente, sono molto interessanti i numerosi concerti tenuti a Salonicco nel 1945, dove oltre alle arie tradizionali e ai canti popolari greci alternava alcuni brani, all’epoca di raro ascolto, di quello che sarà il suo repertorio più tipico, di drammatico-coloratura. Un aneddoto non verificabile vuole che Callas abbia addirittura cantato da sola il duetto Otello-Desdemona, dall’Otello di Rossini, alternandosi nelle due parti sia come soprano che come tenore.

Dopo la liberazione, il cambiamento politico dovette far prevedere a Callas un futuro molto oscuro. Il 3 agosto 1945 tenne l’ultimo concerto ad Atene, e nel mese di settembre 7 recite del Der Bettelstudent di Karl Millocker, concludendo un settennio intenso del quale non ci sono documentazioni sonore. Con all’attivo 7 ruoli principali in 57 recite dal vivo, un ruolo secondario, parti da corista, almeno 7 recitals, 14 concerti e una decina di esami di Conservatorio, nonché un programma trasmesso in diretta da Radio Atene, il 14 settembre 1945 partì per gli Stati Uniti per stare un po’ col padre e iniziare là una nuova carriera, nonostante la totale disapprovazione della maestra, che le indicava l’Italia come unica possibile patria musicale.

Negli USA (1945-1947)

Ritornò quindi a New York, dove visse dal suo arrivo fino ai primi mesi del 1947, riassumendo il cognome di Callas. La sua decisione fu certamente influenzata dalle durissime condizioni della Grecia coinvolta nel secondo conflitto mondiale e dal desiderio di ritrovare il padre; ma più di tutto contò il consiglio di Elvira de Hidalgo, che l’aveva spinta a raggiungere l’Italia, l’unico paese in cui una cantante con i suoi mezzi poteva trovare una definitiva consacrazione. Tuttavia Maria esitò per lunghi mesi: raggiungerà l’Italia solo nel 1947. Nel frattempo, a New York, nel mese di dicembre, ottenne un’audizione al Metropolitan Opera House, ma con risultato negativo; le furono infatti proposti Madama Butterfly e Fidelio; per la prima parte, oltre alla perplessità di sempre nell’affrontare ruoli pucciniani, il soprano si sentiva fisicamente fuori ruolo. declinò l’offerta del Fidelio perché non si sentiva di cantarlo, come le era stato richiesto, in inglese.

Parallelamente, continuò a studiare canto, perfezionando la sua tecnica. Conobbe il sedicente agente teatrale Eddie Bagarozy, da cui fu ingaggiata per cantare Turandot a Chicago nel gennaio 1947, con una nuova compagnia che, però, fallì miseramente. La moglie di Bagarozy, il soprano italo-americano Louise Caselotti, sostenne di aver addirittura impartito lezioni di canto a Maria Callas. Quello che è certo è che Bagarozy, che aveva già avuto molti problemi col fisco ed era stato più volte denunciato per frode postale, aveva coinvolto Callas e altri cantanti (tra cui Nicola Rossi-Lemeni) in un’iniziativa che non sarebbe mai giunta in porto, fuggendo con le prevendite. Maria, un po’ invaghitasi del truffatore, aveva commesso l’imprudenza di firmare un contratto-capestro che prevedeva il versamento al suo “agente” del 10% di ciascun proprio incasso. Anni dopo, quando la cantante sarà ormai all’apice della carriera e della ricchezza, Bagarozy le intenterà causa cercando di far valere un contratto divenuto una miniera d’oro e mai scisso.

In Italia (1947)

Grazie a Rossi-Lemeni, che nell’immediato dopoguerra aveva già cantato a Verona e a Venezia, Maria entrò in contatto con Giovanni Zenatello, direttore artistico dell’Arena di Verona, giunto in America per ingaggiare nuove voci per La Gioconda. Per una cifra bassissima, Maria accettò la proposta, allettata dall’idea di lavorare con Tullio Serafin e di debuttare in un ruolo che finalmente sentiva adatto alla sua voce e al suo fisico. Il 27 giugno 1947 Callas giunse in nave a Napoli, in compagnia di Rossi-Lemeni e di Louise Caselotti, la moglie dell’agente Eddie Bagarozy per il quale aveva sottoscritto il citato contratto-capestro, e da lì si recò in treno a Verona per iniziare le prove. Bagarozy si sarebbe rifatto vivo qualche anno dopo, quando la carriera della cantante era ormai assestata, per reclamare i diritti di quel contratto, e minacciando la coppia Callas-Meneghini di rivelare il contenuto di alcune lettere un po’ troppo affettuose della stessa Callas scritte quando era già fidanzata con Meneghini. Appena giunta nella città veneta, Callas incontrò Giovanni Battista Meneghini, suo futuro marito, grande appassionato di opera e possessore di una fiorente industria di laterizi, e Serafin. Serafin la indirizzò ad alcuni maestri locali, in particolare Ferruccio Cusinati (già maestro di Rossi-Lemeni), per perfezionare e “italianizzare” il suo canto. Il debutto all’Arena nella prima del 2 agosto le assicurò una certa visibilità e un certo successo, accompagnato da critiche generalmente favorevoli, che tuttavia non fu sufficiente a spianarle la strada. Più proficui furono da una parte l’ufficializzazione del fidanzamento con Meneghini, che non cessò mai di sostenerla e incoraggiarla, dall’altra la collaborazione con Serafin, che la volle a Roma per insegnarle, nota per nota, la parte di Isotta, con cui la fece debuttare alla fine dello stesso anno al Gran Teatro La Fenice di Venezia nella ripresa di Tristano e Isotta di Richard Wagner con Fedora Barbieri e Boris Christov da lui diretta.

La consacrazione (1948-1950)

L’anno successivo fu Turandot a Venezia diretta da Nino Sanzogno, Aida con Ebe Stignani e Cesare Siepi al Teatro alla Scala di Milano, Turandot diretta da Oliviero De Fabritiis al Festival lirico areniano con Rossi-Lemeni ed Antonio Salvarezza e con Galliano Masini alle Terme di Caracalla di Roma, Aida diretta da Serafin con Elena Nicolai al Teatro Regio di Torino e poi al Teatro comunale di Firenze, dove cantò nella Norma, suo ruolo di riferimento diretta da Serafin con Fedora Barbieri e Mirto Picchi.

Ma in questo primo periodo della sua carriera italiana Maria, nel frattempo seguìta e molto spesso diretta da Serafin, venne confinata in un repertorio non congeniale, basato su ruoli wagneriani, che lei amava molto ma che non rivelavano tutte le sue potenzialità (come La Valchiria, Parsifal, Tristano e Isotta), e su Turandot e Aida, eseguiti in molte città italiane con grande e quasi unanime successo di pubblico e di critica.

L’8 gennaio 1949 è Brünnhilde ne La Valchiria diretta da Serafin con Giovanni Voyer a Venezia.

La svolta della sua carriera avvenne in modo del tutto fortuito: il 19 gennaio 1949, infatti, fu convinta all’ultimo momento a sostituire il soprano Margherita Carosio, indisposta, nel ruolo di Elvira ne I puritani con Ugo Savarese e Christoff diretta da Serafin alla Fenice. Fu un successo memorabile, benché un critico, acidamente, avesse notato che, dopo l’impiego di una cantante wagneriana per una parte tradizionalmente ritenuta “leggera”, la prossima volta si sarebbe potuto far cantare Gino Bechi nella parte di Violetta (La traviata).
In realtà Maria usava da sempre la cabaletta dei Puritani come vocalizzo ed aveva già debuttato in Norma pochi mesi prima: ma è anche vero che quel ruolo veniva affidato a soprani drammatici, e sembra che fece di tutto per farla sentire alla moglie del direttore Serafin, che convinse poi il marito alla sensazionale sostituzione. L’elasticità dell’organo vocale rimase tuttavia una caratteristica degli anni d’oro: tuttavia già nel 1958, quando il Met le propose la Traviata e il Macbeth insieme, Maria rifiutò le condizioni del contratto e dichiarò che la sua voce “non era un ascensore che poteva andare su e giù a comando”. Il 1949 fu anche l’anno delle prime testimonianze discografiche della voce di Maria Callas, registrata sia in maniera ufficiale che pirata: le due arie più importanti (con rispettive cabalette, ma senza interventi corali) da Norma e I Puritani, e la morte di Isotta (dal Tristano di Wagner, in italiano), vennero incise per la Fonit Cetra a Torino sotto la direzione di Arturo Basile, mentre la registrazione di un’intera recita del Nabucco, diretto da Vittorio Gui e con Gino Bechi nella parte del protagonista, data al San Carlo di Napoli nel dicembre dello stesso anno, ci ha restituito la prima Abigaille di Callas.

Nel febbraio 1949 è Kundry in Parsifal diretta da Serafin al Teatro dell’Opera di Roma.
La villa a Sirmione dove Callas visse con Giovanni Battista Meneghini tra il 1950 e il 1959

È Aida nella prima rappresentazione nel Palacio de Bellas Artes di Città del Messico di “Aida” di Verdi con Giulietta Simionato e nelle riprese nel Teatro dell’Opera di Roma con Ebe Stignani e nel Teatro alla Scala di Milano con la Barbieri, Mario Del Monaco e Cesare Siepi nel 1950. L’anno seguente torna nella ripresa di Città del Messico di “Aida” con Del Monaco e Giuseppe Taddei. Sempre nel 1950 è Fiorilla nella prima rappresentazione nel Teatro Eliseo di Roma di “Il Turco in Italia” di Rossini con Sesto Bruscantini e Norma diretta da Antonino Votto con Gino Penno e Tancredi Pasero al Teatro La Fenice, a Roma diretta da Serafin, al Palacio de Bellas Artes di Città del Messico con Giulietta Simionato, Kurt Baum e Nicola Moscona e con Jolanda Gardino al Teatro Massimo Vincenzo Bellini di Catania, Isotta in Tristano e Isotta diretta da Serafin con Benvenuto Franci e Giulio Neri a Roma.

Ancora con Norma tornerà a Catania anche nel 1951. Sempre a Catania nel 1951 la Callas fu anche applauditissima interprete di un altro dei capolavori belliniani, I puritani. Nel 1952 porterà al “Bellini” “La traviata” e nel 1953 Lucia di Lammermoor.

Dopo una corte molto intensa, accettò di sposare Meneghini, sebbene fosse molto più anziano di lei, senza però convertirsi al cattolicesimo; il matrimonio, tra il civile e il religioso, venne celebrato il 21 aprile 1949 nella sagrestia della Chiesa dei Padri Filippini di Verona con la sola presenza della madre di Meneghini. Dopo il matrimonio Meneghini lasciò la guida della sua azienda, dedicandosi da quel momento in poi alla carriera della moglie (naturalizzata italiana come Sofia Cecilia Kalos) in qualità di suo agente.
L’ingresso alla Scala (1951)

Molto faticoso fu, all’inizio, il suo ingresso alla Scala. Senza particolari protezioni (Serafin non era molto amato), senza un necessario inserimento nel giro artistico della ripresa post-bellica, le sue doti vocali, pur riconosciute, non interessavano a nessuno. La sua unica occasione, finora, era stata un’Aida nel 1950 in sostituzione di Renata Tebaldi, accolta con perplessità per via della resa scenica e dello “strano” e metallico timbro vocale. Da notare una certa ostilità precostituita della critica, soprattutto da parte di Teodoro Celli, che in brevissimo tempo diventerà invece uno dei suoi più grandi e consapevoli estimatori. Sovrintendente del teatro era allora Antonio Ghiringhelli, direttore artistico Victor de Sabata. Colleghi come Del Monaco e Giuseppe Di Stefano, con lei coinvolti nelle trionfali tournée sudamericane della Scala, riuscirono a far breccia. Le tensioni con Antonio Ghiringhelli, che aveva pianificato il periodo della propria sovrintendenza sul cosiddetto “star system”, che avrebbe dovuto avere come punte di diamante Renata Tebaldi, Del Monaco, la Simionato ed Ettore Bastianini (tutti cantanti sotto contratto con la Decca Records di Londra, diretta rivale della EMI), non sarebbero mai cessate, anche se il sovrintendente capì ben presto che Maria Callas poteva attirare sulla Scala molto pubblico e molta stampa. Firenze, grazie alla presenza di Francesco Siciliani, Direttore artistico del Maggio Musicale Fiorentino, fu determinante per la carriera italiana di Callas. Callas riuscì a fare della sua permanenza alla Scala un “periodo d’oro” parallelo a quello di Toscanini, ma spezzò l’artificioso equilibrio creato dalla sovrintendenza, ponendosi (anche se non per volontà dei colleghi stessi) a capo del quartetto principale, sdoppiandosi per giunta in due diversi cast stellari (anche per ragioni di esclusività discografica), collaborando con Del Monaco, Di Stefano, la Simionato (sua grandissima amica), la Barbieri, Bastianini e con Tito Gobbi. Parimenti, l’appoggio garantito da Wally Toscanini suonava come una sorta di “benedizione” da oltreoceano da parte di Toscanini. La Tebaldi, sentendosi tradita, soprattutto dopo la Medea di Luigi Cherubini, che Callas presentò alla Scala nel 1953 tre giorni dopo la serata inaugurale, con La Wally cantata dalla stessa Tebaldi, preferì ricrearsi un equilibrio congeniale negli USA, ciò che non impedì l’accendersi di una rivalità a distanza, anche creata e fomentata dalla stampa.

Gli anni d’oro: 1951-1957

Nel 1951 è Euridice nella première postuma nel Teatro della Pergola di Firenze di Franz Joseph Haydn con Christoff diretta da Erich Kleiber. Nello stesso anno è Violetta nella ripresa nel Teatro Donizetti di Bergamo di La traviata di Giuseppe Verdi, alternandosi con Renata Tebaldi, diretta da Carlo Maria Giulini. Cominciò così la parte più sfolgorante della sua carriera: inaugurò la stagione lirica alla Scala di Milano nel dicembre del 1951, ove trionfò nel ruolo de La Duchessa Elena ne I vespri siciliani con Christoff, continuando a mietere grandi successi scaligeri interpretando le più grandi figure femminili della lirica: da Norma nella prima rappresentazione con Nicola Rossi-Lemeni e la Stignani e Costanza nella prima rappresentazione de Il ratto dal serraglio nel 1952, a Lady Macbeth in Macbeth con Ivo Vinco nell’apertura della stagione 1952/1953, La Gioconda nella prima rappresentazione con la Stignani e Di Stefano nella stessa stagione, Leonora nella prima rappresentazione di Il trovatore nel 1953, a Medea nella prima rappresentazione di Medea con la Barbieri diretta da Leonard Bernstein nella stagione 1953/1954 e nel 1961 con la Simionato e Nicolai Ghiaurov, a Lucia di Lammermoor con Di Stefano e Rolando Panerai diretta da Herbert von Karajan, Alceste con Panerai diretta da Carlo Maria Giulini ed Elisbetta di Valois in Don Carlo con Rossi Lemeni e la Stignani nel 1954, Giulia ne La Vestale con Franco Corelli nell’apertura della stagione 1954/1955, Maddalena di Coigny in Andrea Chenièr con del Monaco, Amina ne La sonnambula diretta da Leonard Bernstein, Donna Fiorilla ne Il turco in Italia con Rossi Lemeni e Violetta Valery ne La traviata con Di Stefano e Bastianini diretta da Giulini nel 1955. È ancora Norma nell’apertura della stagione 1955/1956 con del Monaco e la Simionato, Rosina ne Il barbiere di Siviglia con Luigi Alva, Gobbi e Rossi Lemeni e Fedora con Corelli nel 1956 ed Anna Bolena con Rossi Lemeni e la Simionato, Ifigenia in Ifigenia in Tauride con la Cossotto nel 1957. È Amelia in Un ballo in maschera con Di Stefano, Bastianini e la Simionato per l’apertura della stagione 1957/1958, Imogene ne Il pirata con Bastianini e Corelli nel 1958, Paolina in Poliuto con Bastianini e Corelli nell’apertura della stagione 1960/1961.

È Elvira Valton nel 1952 nelle riprese di I puritani di Vincenzo Bellini nel Teatro Comunale di Firenze con Rossi-Lemeni diretta da Serafin e nel Teatro dell’Opera di Roma con Giacomo Lauri Volpi e nella prima rappresentazione nel Palacio de las Bellas Artes di Città del Messico con Di Stefano. Ritornò all’Arena nel 1952 (presentandosi con il nome di Maria Meneghini Callas), cantando in La traviata con Giuseppe Campora ed Enzo Mascherini e La Gioconda (1952), Aida diretta da Serafin con Elena Nicolai, Mario Del Monaco, Giulio Neri ed Aldo Protti ed Il trovatore diretto da Franco Ghione nel 1953 e Margherita in Mefistofele diretta da Antonino Votto con Rossi-Lemeni e Ferruccio Tagliavini nel 1954. È Lucia nelle riprese nel Palacio de las Bellas Artes di Città del Messico di “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti con Di Stefano nel 1952 e nel Teatro Comunale di Firenze con Giacomo Lauri-Volpi/Di Stefano e Bastianini nel 1953. È Armida nella prima rappresentazione nel Teatro Comunale di Firenze di Armida di Gioachino Rossini diretta da Serafin sempre nel 1952.

Si aprì così anche la strada della discografia: dopo la Cetra, che le fece incidere una memorabile Gioconda (1952) e una Traviata (1953), fu la EMI-Voce del Padrone che le offrì un contratto, grazie al direttore artistico Walter Legge, marito di Elisabeth Schwarzkopf, sua grandissima estimatrice. Legge ha lasciato scritto che proprio mentre si recava ad ascoltarla per la prima volta al Teatro dell’Opera di Roma, la moglie la sentì per radio, e asserì che non aveva mai sentito una coloratura così strabiliante. È anche vero che i due coniugi dettero molti consigli alla giovane Callas, in particolare sul vizio di aspirare le agilità, che Callas fece suoi in brevissimo tempo; tuttavia la loro competenza poteva anche creare dei complessi, come quando Legge ironizzò sulle note oscillanti de La forza del destino. In ogni modo Maria iniziò ad incidere una serie nutritissima di opere, tra cui Lucia di Lammermoor di Donizetti, Norma, Tosca, Manon Lescaut, La sonnambula; la casa discografica non si distinse però per coraggio e lungimiranza, preferendo farle incidere opere molto note al grande pubblico e lasciando fuori alcune riscoperte che sono state rivalutate solo grazie alle registrazioni pirata: Medea, Armida, I vespri siciliani, Anna Bolena, Il pirata, Alceste. Unica eccezione fu Il Turco in Italia di Gioachino Rossini, incisa nel 1954, rarissima a quei tempi e che Maria Callas aveva già riscoperto nel 1950 a Roma, grazie all’iniziativa di un’associazione artistico-musicale, L’Anfiparnaso, di cui faceva parte anche Luchino Visconti. Nel frattempo si esibiva in tournée in prestigiosi teatri, quali la Civic Opera di Chicago, il Metropolitan di New York, il Covent Garden di Londra.

Nel 1952 debuttò al Royal Opera House di Londra nel ruolo di Norma con la Stignani e Joan Sutherland. Al Covent Garden è Aida con la Simionato e la Sutherland e Leonora ne Il trovatore con la Simionato nel 1953.

Nel 1953 affrontò per la prima volta, al Maggio Musicale Fiorentino, la Medea di Luigi Cherubini, ripresa qualche mese dopo alla Scala. Nessuna ripresa di quest’opera più aderente all’originale cherubiniano destò altrettanta impressione. Sempre nello stesso anno è Lucia in “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti a Roma, nel 1954 a Venezia con Bastianini e a Bergamo con Ferruccio Tagliavini e nel 1955 nella RIAS di Berlino Ovest con Di Stefano e Panerai diretta da Herbert von Karajan. Ancora nel 1953 Maria Meneghini Callas è Violetta Valery ne La traviata al Teatro La Fenice e Norma con Corelli e Christoff al Teatro Verdi di Trieste.

Al Lyric Opera di Chicago è Norma con la Simionato, Violetta ne La traviata con Gobbi e Lucia in Lucia di Lammermoor con Di Stefano nel 1954 ed Elvira ne I puritani con di Stefano, Bastianini, Rossi-Lemeni, Leonora ne Il trovatore con Stignani, Björling, Bastianini e Cio-cio-san in Butterfly con di Stefano nel 1955.

È Medea in “Medea” di Cherubini nel Teatro La Fenice nel 1954 e nella prima rappresentazione nel Teatro dell’Opera di Roma con la Barbieri e Christoff nel 1955.

Nel 1956 debutta al Metropolitan Opera House di New York nel ruolo di Norma con Del Monaco, la Barbieri e Siepi. Subito dopo al Met è Tosca e viene chiamata al The Ed Sullivan Show con il duetto con Scarpia del II atto dell’opera Pucciniana.

È Lucia nelle riprese di “Lucia di Lammermoor” di Gaetano Donizetti nel Teatro San Carlo di Napoli con Panerai, nella Staatsoper di Vienna con Di Stefano diretta da Herbert von Karajan, nel Metropolitan Opera House di New York nel 1956 ed in quella radiofonica nell’Auditorium RAI del Foro Italico di Roma diretta da Serafin nel 1957.

Al Teatro alla Scala di Milano è Anna nella ripresa di “Anna Bolena” di Gaetano Donizetti con la Simionato, Rossi-Lemeni e Siepi ed Amina nella ripresa di “La sonnambula” di Vincenzo Bellini nel 1957 portata anche nella trasferta scaligera ad Edimburgo con Fiorenza Cossotto.

La “trasformazione” di Callas

È noto come tra il 1952 e il 1954 la cantante perdesse 36 chili di peso: Callas compilò anche un calendario, con sette opere interpretate in quegli anni, ponendo accanto la cifra del calo di peso per ognuna: Gioconda alla Scala del 1952 (92 kg), Aida all’Arena di Verona (87), Norma di Trieste del 1953 (80), Medea alla Scala del dicembre 1953 (78), Lucia del gennaio successivo (75), quindi Alceste (65) e Don Carlo (64) nella stessa stagione. Ma successivamente, calò ancora, e nel biennio1955–1957 arrivò a sfiorare anche i 54 kg. Si sono fatte molte supposizioni sui metodi impiegati, fino alla leggenda di un uovo di verme solitario ingerito volontariamente. In realtà una dieta a base di carne e verdura le modificò metabolismo, e molto movimento e il superlavoro fecero il resto; bisogna anche dire che non partiva da una figura obesa, ma semplicemente da un forte sovrappeso distribuito su un’altezza di 172 cm.[3]

Più che la dieta, tuttavia, fu il modello preso di Callas a destare impressione: l’attrice Audrey Hepburn, vista in Vacanze romane, era quanto di più lontano dalla corporatura e dai tratti fortemente marcati della greca si potesse immaginare. Frangia, chignon, trucco, espressione, camicette a fiori, foulard, gonne ampie e vita strettissima: l’imitazione era smaccata. La figura di Maria cambiò così drasticamente da renderla “un’altra donna”, come disse Carlo Maria Giulini il quale non rispose al suo saluto quando la incrociò alla Scala nel 1954, nonostante avesse già lavorato con lei negli anni passati.

Si parlò di “trasformazione di Callas”, ma rilevantissime furono le conseguenze sull’arte scenica, che Maria portò ad altezze inimmaginabili: libera e fluida nei movimenti, in condizioni di salute sufficientemente buone, riconcepì le sue creazioni in senso coreografico, imponendo un modello di recitazione fortemente espressionistico, dalla gestualità nervosa. L’amico critico Andre Tubeuf sosteneva che, a differenza di altre cantanti bravissime che però cantavano da un lato e recitavano dall’altro, in lei canto e recitazione erano qualcosa di assolutamente integrato, difficile da descrivere.

Il suo modo di cantare, già forte di una capacità di fraseggio unica, si perfezionò e si arricchì ulteriormente in fatto di morbidezza, legato e colore, sfumature, e raggiunse livelli notevolissimi; con i capelli schiariti e una linea da indossatrice (era alta 1,71 m) cantò Norma, La traviata e Lucia di Lammermoor a Chicago nel novembre 1954: era la prima volta che tornava in patria dopo il 1947, e gli americani, dal pubblico ai critici, si inginocchiarono di fronte a una cantante diversa da tutte le altre. A dicembre 1954, a Milano, inaugurò la stagione lirica con La Vestale, e quindi a New York nel 1956 ove cantò Norma, Tosca e di nuovo Lucia di Lammermoor. Ma fu nella Traviata che la sua figura scenico-vocale giunse al vertice più alto: ancora in possesso dei suoi mezzi, Maria dette a Violetta non solo il fisico e le espressioni sbarazzine della Hepburn, ma anche le pose tragiche della Duse e le espressioni della Garbo. Ma anche la smania mondana cominciò a crescere. Per la sua immagine di tutti i giorni si affidò alla stilista italiana Biki, con la quale iniziò una collaborazione che andò poi al di là della semplice fornitura di abiti, e che contribuì alla creazione di un’immagine sofisticata ed elegante, perfettamente calata nei salotti milanesi degli anni cinquanta. I salotti e i ristoranti diventarono un tutt’uno col teatro, ma uno star-system di stampo cinematografico, molto tipico di quegli anni, stava per tenderle una trappola fatale. È vero che quasi tutte le sue serate scaligere, a partire dalla memorabile riesumazione del Macbeth (1952), risultarono in parte contrastate: agli applausi si potevano mescolare fischi e dissensi rabbiosi, in particolare per sottolineare un virtuosismo troppo esibito, o alcune note fortemente oscillanti, o ancora alcuni colori troppo aspri e soffocati (nella scena del sonnambulismo del Macbeth, alla fine della quale è ancora possibile udire i fischi di una parte del pubblico). Più legato a fattori di fanatismo tebaldiano sembra invece l’episodio dei ravanelli, lanciati insieme ai mazzi di fiori al termine di una ripresa di Traviata, che lei, miope, raccolse senza vedere bene sulle prime cosa fossero, e che poi mostrò al pubblico tra il trionfo generale.

Tuttavia la maggioranza del pubblico scaligero era decisamente sempre con lei, e alcune ovazioni, come al termine del “D’amor sull’ali rosee” del Trovatore, della scena della pazzia di Lucia, e soprattutto dell'”Al dolce guidami castel natio” dell’Anna Bolena, interrotto dalle grida di “Divina!” addirittura a poche note dalla fine, fanno ancora oggi capire perché per lungo tempo, dopo la sua morte, si parlò di “vedovi-Callas”. Per non parlare del trionfo riservatole fuori dal teatro sia dopo la ripresa di Anna Bolena del 1958 nel Teatro alla Scala di Milano, con la Simionato, Siepi/Rossi-Lemeni, dopo il gelo in sala dovuto agli echi dello scandalo di Roma, sia dopo l’ultima recita del Pirata, pochi mesi dopo, quando era ormai chiaro che la sovrintendenza le aveva sbarrato le porte per collaborazioni future. Unico passo falso artistico del felice periodo scaligero fu Il barbiere di Siviglia (febbraio/marzo 1956); la sua Rosina non convinse del tutto, sia per l’insolito recupero di alcune figurazioni dell’originaria tessitura contraltina (all’epoca, Rosina era interpretata quasi esclusivamente da soprani leggeri), sia, soprattutto, per la scarsa congenialità del personaggio[4]. Quando però diventò un personaggio “da rotocalco” a tutti gli effetti, ogni sua minima defaillance veniva amplificata, e la fama del personaggio pubblico divenne una spaventosa arma a doppio taglio.

L’incontro con Onassis

Il 3 settembre 1957, ad un ricevimento a Venezia all’hotel Danieli organizzato in suo onore da Elsa Maxwell, per il quale rinunciò a cantare una recita supplementare de La sonnambula al Festival di Edimburgo nonostante le richieste della Scala, incontrò per la prima volta Aristotele Onassis. Per quella volta, il greco fu solo uno dei tanti miliardari con cui la nuova vita sociale internazionale la faceva venire a contatto, complice l’ambigua e adorante amicizia di Elsa Maxwell, anch’essa presente alla festa.

Nel dicembre 1958 la Callas fece il suo trionfale debutto nel concerto la Grande Notte dell’Opera a Parigi, trasmesso in Eurovisione in 12 paesi, all’Opéra Garnier con l’Orchestra ed il Coro dell’Opéra national de Paris alla presenza del Presidente della Repubblica francese René Coty ed Onassis andò ad omaggiare la connazionale nel suo camerino. La seconda parte è stata dedicata al secondo atto della Tosca insieme a Gobbi.

L’anno seguente, probabilmente impressionato dal Gala in onore della Callas organizzato dal Teatro dell’Opéra di Parigi, Onassis organizzò una cena in suo onore al Dorchester Hotel di Londra, in occasione della prima della Medea con la Cossotto al Covent Garden (giugno 1959). Caso mai non fosse stato chiaro il messaggio, Onassis si fece anche fotografare mentre, al momento dei saluti, cercava di trattenere a sé Callas, ormai in pelliccia portata via dal marito. Un mese dopo, l’invito a trascorrere le vacanze estive sullo yacht Christina per una crociera insieme a Winston Churchill e consorte e ad altre personalità del Gotha internazionale colse una Callas stanchissima per una massacrante tournée di concerti, con la voce che iniziava a mostrare segni di cedimento ed in uno stato psicologico complesso, dove la dipendenza sempre più forte dalla mondanità si univa al desiderio di porre fine alla carriera. Dopo due settimane, al rientro a Monte Carlo dello yacht, Maria Callas aveva deciso di essere perdutamente innamorata del greco e di lasciare per sempre Meneghini. Stranamente il fatto era troppo clamoroso quasi per essere notato, e ci volle la provocazione di Meneghini, esasperato da chi, nel torrido ferragosto, cercava sua moglie per vari motivi professionali e personali, per far esplodere sulla stampa di tutto il mondo la notizia. Da quel momento, ogni uscita pubblica della cantante diventò preda dei giornalisti. Secondo alcuni amici, la separazione era nell’aria.

Il declino (1958-1965)

Le condizioni vocali, già a partire dal 1957, mostrarono segni di logoramento. L’estate dello stesso anno registrò alcuni episodi di stanchezza: un concerto al Teatro Erode Attico di Atene, dove non si era più recata dal 1944, eseguito con tensione e freddezza, anche a causa della difficile situazione emotiva che aveva trovato ad Atene dovuta ai difficili rapporti con madre e la sorella; una serie discontinua di recite di Sonnambula al Festival di Edimburgo, conclusa con una parziale defezione (un’ultima recita non prevista inizialmente in contratto), per non disdire l’appuntamento mondano organizzato in suo onore a Venezia dalla giornalista statunitense Elsa Maxwell. Nel mese di settembre, si negò all’Opera di San Francisco adducendo ragioni di salute (in seguito, il teatro fece causa alla Callas, che però dimostrò la sua innocenza in giudizio), mentre si diffuse inopinatamente la voce che stava registrando per la Ricordi l’opera Medea di Luigi Cherubini.

L’anno successivo segnò l’inizio di una vera e propria fase critica: il 2 gennaio a Roma, ad una serata di gala alla presenza di alte autorità quali il presidente della repubblica Giovanni Gronchi, durante il primo atto di Norma, Maria Callas ebbe nuovi attacchi di afonia come nei due giorni precedenti, durante le prove. La Callas, forse irritata da voci che avrebbe sentito provenire dal loggione (“Torna a Milano, ce costi un mijone!”) non proseguì la recita. Anche sobillata dall’ormai onnipresente Elsa Maxwell, ritenne di non abbassare il suo livello artistico con una recita scadente (la registrazione fa udire ancora oggi delle condizioni vocali non perfettamente avviate ma forse recuperabili nel corso della recita), creando tuttavia uno scandalo senza precedenti. Sempre nel 1958 canta in Traviata, Lucia e Tosca al Met e riprende Traviata a Lisbona (con Alfredo Kraus) e successivamente al Royal Opera House di Londra.

I fatti di Roma la fecero entrare in conflitto con il sovrintendente della Scala di Milano, Antonio Ghiringhelli, che dopo le recite trionfali de Il pirata con Franco Corelli, le fece capire di essere in quel teatro “persona non grata”. Nonostante un’interpretazione somma del personaggio di Imogene, anche dal punto di vista strettamente vocale, la sovrintendenza la costrinse a raccogliere gli ultimi veri festeggiamenti fuori dal teatro, dove l’attendeva una folla di fedelissimi; il 6 novembre, per prese di posizione giudicate inaccettabili da Rudolf Bing in merito a scelte delle opere da eseguire (si rifiutava di alternare Traviata al Macbeth), fu obbligata alla rescissione del contratto col Metropolitan, con la conseguenza di cantare ancor più veementemente la recita di Medea, a Dallas.

Nel 1959, in rotta con la Scala e col Metropolitan, iniziò a diradare gli impegni, terminando comunque una serie di concerti negli Stati Uniti ed in Europa, tra cui quello di Amburgo, ripreso dalla televisione, una delle poche testimonianze video della carriera della cantante. Nel 1959, porta in scena solo due opere: Medea al Convent Garden di Londra, seguite in autunno da Lucia di Lammermoor e Medea a Dallas, sotto la guida di Nicola Rescigno. La voce della Callas registra segni di cedimento, specie nella parte più acuta, nelle recite di Lucia a Dallas.

Nell’aprile del 1960 Maria Callas, secondo diverse fonti, diede alla luce un bambino, Omero, frutto della relazione con Onassis, morto pochi istanti dopo a causa di un’insufficienza respiratoria e sepolto nel cimitero di Bruzzano, alla periferia nord di Milano[5][6][7][8][9][10][11][12].

Nell’agosto del 1960, con una linea vocale ancora cospicua ma intaccata da un forte vibrato e dal registro acuto indebolito e accorciato, cantò Norma ad Epidauro, in settembre incise nuovamente l’opera e il 7 dicembre inaugurò la stagione lirica della Scala nella parte non protagonistica di Paolina nel Poliuto di Gaetano Donizetti. Nel 1961, oltre ad un concerto a Londra e una nuova messa in scena della Medea ad Epidauro, ritorna alla Scala con 3 rappresentazioni di Medea, diretta da Thomas Schippers . A parte queste recite di Medea, il 1962 fu un anno dedicato ai concerti, con una lunga tournée in Europa, sotto la guida di George Pretre. Le attività di cantante furono sempre più soppiantate da quelle mondane, sempre accompagnata da Onassis che peraltro non condivideva con Maria la passione per la lirica, sebbene a volte coincidessero, come la breve partecipazione canora in occasione del compleanno del Presidente Kennedy, 19 maggio 1962, al Madison Square Garden di New York.

Tra maggio e giugno 1963, Maria Callas tenne sei concerti in Europa sempre sotto la guida di George Pretre.

Nel gennaio 1964, su forti insistenze di Franco Zeffirelli, cantò in una nuova produzione di Tosca al Covent Garden di Londra, e successivamente Norma a Parigi. Ebbe maggior successo nella pur affaticata parte di Tosca, meno impegnativa vocalmente, essendo coadiuvata dal grande collega e amico Tito Gobbi. Nel 1965 decise di ritornare sulle scene e cantò Tosca, a Parigi, poi successivamente, con Corelli e Gobbi, al Metropolitan di New York: il ritorno fu trionfale. Maria sembrò aver ritrovato lo splendore degli anni precedenti e ciò la indusse a riprendere cinque recite di Norma a Parigi, ma sia la voce che il fisico non ressero, tanto che il 29 maggio terminò la scena dell’atto II sfinita e l’ultima scena venne annullata. Impegnata con il Covent Garden di Londra per quattro rappresentazioni di Tosca, riuscì a tenere solo quella di gala, in presenza della regina Elisabetta, 5 luglio 1965. Questa fu l’ultima volta che Callas cantò in un’opera integrale.
Gli ultimi anni (1966-1977)

Dopo una breve pausa di serenità, anche nella vita privata il momento si fece critico: nel 1966 Callas rinunciò alla nazionalità statunitense e a quella naturalizzata italiana per tornare alla nazionalità greca, nella speranza di chiudere la sua carriera in bellezza sigillandola con un nuovo matrimonio. Tuttavia l’armatore Aristotele Onassis non solo si rifiutò di regolarizzare la loro unione, ma nel 1968, forse a seguito di dissapori con la compagna, e per assecondare un disegno economico, decise di sposare Jacqueline Kennedy, da poco vedova di John Fitzgerald Kennedy.
A seguito di questa umiliazione, Maria Callas cadde in depressione. Senza darsi per vinta, scelse (nel 1966) una grande occasione di tornare alla ribalta, non più nell’opera ma nel cinema, come protagonista del film Medea di Pier Paolo Pasolini, anche con la speranza di riavvicinare il vecchio amante, che subito dopo il matrimonio aveva già ripreso a farsi vivo. La proposta venne in realtà da Renzo Rossellini, da tempo amico della cantante, che fece da garante contro ogni rischio di trivializzazione del ruolo (di Pasolini Callas aveva visto Teorema, del quale era rimasta un po’ scandalizzata). Il film, che riproponeva in chiave barbarica e vagamente autobiografica (sia per Pasolini che per Callas) la vicenda della maga della Colchide che viene a contatto traumatico col mondo della civiltà, convinse invece Callas che si poteva tentare una nuova trasposizione del mito, stavolta senza musica. Girato in Cappadocia intorno a Goreme (Turchia), Pisa, Aleppo e Grado, oltre che negli studi di Cinecittà, non ottenne lo stesso successo di pubblico di altre opere del regista, ma dette modo a Maria di distrarsi e di arricchirsi culturalmente e umanamente, entrando in un mondo forse meno ingessato di quello dell’Opera, ma anche meno deprimente della high-society di Onassis, nel quale si potevano incontrare intellettuali d’alto rango, come Pasolini, insieme ad attori debuttanti, comparse, tecnici, produttori, segretarie: proprio tra queste ultime, Callas strinse amicizia con la bulgara Nadia Stancioff, brillante figlia di diplomatici ed organizzatrice del Festival dei Due Mondi, che ha lasciato in un libro di ricordi un diario preziosissimo (anche se a volte un po’ enfatizzato) di quei mesi cinematografici di Callas. Altro tipo di diario è invece costituito da una serie di poesie che Pasolini scrisse in quel periodo, e che riflettono un’intesa artistica e un’amicizia profonda che poteva assumere toni amorosi, sia da parte di Callas, presa dalla nuova speranza di trovare marito, sia da parte del poeta, colpito da una personalità grande e sincera (“mi affascina in lei questa violenza dei sentimenti”, “è incapace di provare un sentimento piccolo, meschino”, dirà di lei in un’intervista televisiva a Enzo Biagi[13]). Molte di queste poesie andarono poi a far parte della raccolta Trasumanar e organizzar. La seconda significativa proposta dopo il ritiro dalle scene furono dei corsi di perfezionamento operistico da tenere a Filadelfia. L’iniziativa però rientrò a causa della insufficiente preparazione tecnica degli allievi. Più lungo e soddisfacente fu il ciclo di master-classes tenuto alla Juillard School di New York dall’ottobre 1971 al marzo 1972. Di queste master classes rimane la registrazione di 46 ore di lezioni (ridotte a una scelta significativa anche in un libro curato dall’amico John Ardoin), interessante per chi voglia capire la genesi di molte idee interpretative della cantante non solo sui propri ruoli ma anche su quelli di tutte le altre voci del grande repertorio.

Nell’ottobre 1973 iniziò un tour mondiale con Giuseppe Di Stefano, che si concluse l’11 novembre del 1974 a Sapporo. Sarà la sua ultima esibizione in pubblico. Seguendo l’incoraggiamento incessante del collega, Maria tentò di riorganizzare il proprio assetto vocale, reimparando ad aprire la gola col solo sostegno del diaframma e puntando sul registro centrale. Nonostante non fosse in grado di tornare agli antichi fasti, affiancata da un amico e sostenuta dall’incoraggiante amore del pubblico, riuscì a recuperare abbastanza da concludere la lunga tournée in condizioni vocali nettamente migliori rispetto a come l’aveva iniziata, come stanno a testimoniare le registrazioni dei concerti del 1974 rispetto al deludente debutto di Amburgo dell’anno precedente.

Durante la tournée, l’amicizia con Di Stefano, compromessa da problemi familiari del tenore, s’incrinò. Stando a quanto pubblicato nel libro Callas nemica mia, scritto da Maria Girolami, ex moglie di Di Stefano, il rapporto tra Maria Callas ed il tenore non fu di sola amicizia ed uno dei motivi del “ritiro” di Callas fu anche quest’ultima delusione sentimentale.
Maria Callas si ritirò nella suo appartamento parigino, evitando contatti con conoscenti e amici. Intanto si erano spenti due uomini fondamentali della sua esistenza: il padre e Tullio Serafin. Ma fu il 1975 l’anno più doloroso sia per la sfera privata che per la sua personalità artistica: a marzo morì Onassis; il 2 novembre Pier Paolo Pasolini fu ucciso (la circostanza dell’accaduto fu rimossa da Callas, che non si espresse mai chiaramente sull’orientamento sessuale del regista); il 17 marzo 1976 si spense Luchino Visconti.

La morte (16 settembre 1977)

Maria Callas morì il 16 settembre 1977, intorno alle 13.30. Le sue condizioni fisiche erano da tempo compromesse. Il referto medico indicò l’arresto cardiaco come causa del decesso, smentendo le voci di suicidio[15]. La grave disfunzione ghiandolare della giovinezza e il drastico dimagrimento vennero citati più frequentemente come cause della sua morte. Oltre a vari disturbi, negli ultimi anni si era aggiunta anche l’insonnia cronica; la Callas aveva cominciato ad assumere dosi sempre più massicce di Mandrax (metaqualone), che si procurava illegalmente (ad esso si riferiscono i riferimenti alla “droga” che costellano le ultime pagine del suo diario). Alcune ipotesi attribuiscono il decesso della cantante a causa di una dermatomiosite[16][17].

Meno chiaro è il contorno, e quale sia stato il ruolo della pianista greca Vasso Devetzi (“dama di compagnia” stabilitasi in casa sua negli ultimi anni), della sorella, Yakinthy Callas, e della madre, Evangelia Dimitriadou. Esecutore testamentario risultò alla fine, grazie a un testamento depositato subito dopo il matrimonio presso lo studio legale dell’industriale, Giovan Battista Meneghini, che, alla sua morte, lasciò a sua volta la cospicua eredità della Callas alla propria governante Emma Brutti.

Resta inoltre irrisolto il mistero sui gioielli della Callas, i collier, gli orecchini con brillanti e rubini, forse scomparsi dopo la sua morte. Le uniche due persone che potrebbero far luce su questa vicenda, Ferruccio Mezzadri, per 20 anni fedelissimo autista, e Bruna Lupoli, la cameriera storica di Callas, non ne hanno mai parlato.[18]
La cremazione

Forti divisioni creò anche la decisione della cremazione (condivisa dalla Callas da viva; “Fai spargere le mie ceneri nel mar Egeo. Abbraccerò il mio Aristo attraverso il mare…”, disse a Bruna), non consigliata dalla religione cristiana ortodossa alla quale Callas si era serbata fedele negli anni. Da notare, nella biografia di Giovanni Battista Meneghini Maria Callas mia moglie, il mistero circa la firma semi illeggibile sulla liberatoria, “un certo Jean Roire, o Jean Rouen”: si tratta semplicemente del compagno della Devetzi, Jean Roire, che s’incaricò di accompagnare la salma ai forni, secondo la prassi, insieme con gli operatori necrofori. Ad ogni modo venne cremata e nel 1979 le ceneri furono sparse nel Mar Egeo dal ministro della Cultura greco

Vocalità e personalità interpretativa
Estensione vocale di Maria Callas: da fa diesis grave a mi naturale sovracuto

Callas era un soprano drammatico, ma studiando si appropriò di una grande coloratura ed estensione riscoprendo le possibilità del soprano drammatico ai tempi di Bellini e Donizetti, fu così che Teodoro Celli riprese apposta per lei la definizione di soprano drammatico d’agilità, categoria vocale in cui rientravano le primedonne ottocentesche Maria Malibran e Giuditta Pasta: si trattava infatti di mezzosoprani acuti di stampo rossiniano che con l’esercizio assiduo avevano esteso la gamma ai suoni più acuti per impersonare, oltre ai soliti personaggi en travesti, anche eroine sopranili appassionate e romantiche come Norma, Amina, Lucia, senza però perdere la pienezza delle note gravi, adatte a rendere il lato drammatico di questi personaggi. In realtà, sulla prima formazione vocale di Callas abbiamo testimonianze ben diverse e in lei risultano più artificiose e costruite le note gravi di quelle veramente sopranili, le quali erano affrontate spesso di slancio: resta il fatto che Callas si mise, già dall’inizio della carriera, nelle condizioni di eseguire a voce piena, e senza mistificazioni, i ruoli per i quali i soprani più dotati del primo Ottocento erano divenuti leggendari. I suoi più diretti modelli furono tuttavia alcune cantanti del primo Novecento, che poté ascoltare alla radio: Ester Mazzoleni, Claudia Muzio, Rosa Ponselle (quest’ultima da lei molto ammirata e imitata, specie nella Vestale): tutti soprani dall’autorevole linea di canto e dalle simili scelte di repertorio. Era nella tecnica di coloratura che riemergeva la maestra Elvira de Hidalgo (ben diversa dai soprani lirico-leggeri del tempo): se si confrontano le rispettive esecuzioni, di maestra e allieva, di “Ombra leggera” della Dinorah, ci si rende conto dell’assoluta uguaglianza di certe impostazioni di suono quando si trattava di eseguire le agilità.

Quello che a tratti poteva far sembrare la Callas un mezzosoprano era invece il colore scuro naturale, con note opache al centro e aspre nell’acuto, e l’ampiezza del suono, che – specie all’inizio di carriera e in età ancora molto giovane – le permise di affrontare parti di soprano autenticamente drammatico: Santuzza, Leonora del Fidelio, Tosca, Turandot, Brunilde, Isotta. Con l’esercizio, riuscì a compattare una gamma estesa in pratica su tre registri diversi (dal contralto al soprano di coloratura), che andava dal Fa diesis grave (fa♯2) emesso nell’aria “Arrigo! ah, parli ad un core” nei Vespri siciliani, al mi naturale sovracuto (mi5) raggiunto nella Lakmé di Delibes (“Dov’è l’indiana bruna”) e nelle variazoni di Proch. Rock Ferris, corrispondente del Musical Courier, recensendo un concerto dell’11 giugno 1951 dato al Grand Hotel di Firenze (programma: “Casta Diva”, “Ombra leggera”, “O patria mia”, “Variazioni” di Proch, “Polacca” dalla Mignon e “Ah fors’è lui” dalla Traviata), rimase molto colpito da “i suoi mi e fa sovracuti… emessi a piena voce” e che non ci fosse “difficoltà che ella non potesse arrivare a superare”. Elvira de Hidalgo, insegnante di Callas, in un’intervista al programma francese L’Invité du Dimanche confermò solo il mi e non menzionò il fa. Ma all’interno dello stesso programma, Francesco Siciliani parla approssimativamente della possibilità della voce di salire ad un fa naturale sovracuto (e di scendere al do grave). In realtà non esistono testimonianze discografiche di Callas che emette un fa sovracuto, mentre certi suoi mi emessi nell’Armida di Rossini – incisione dal vivo – sono stati presi per dei fa a causa di un riversamento errato della registrazione. Altre testimonianze interessanti sulla sua formazione vocale, che possono essere raccolte nella stessa trasmissione televisiva, riguardano i suoni gravi che, a detta di Callas, fu la De Hidalgo a insegnarle a impostare correttamente, e l’abilissimo gioco del passaggio tra i diversi registri che, per sua stessa ammissione e prendendosi gioco dell’aria di mistero assunta dalla maestra, disse di aver risolto grazie all’orecchio musicale finissimo.

Al di là delle caratteristiche naturali, tuttavia, che potevano essere discutibili ma fisiologiche (solo alcuni recitals incisi in studio negli anni sessanta fanno sentire intubamenti scorretti, causati peraltro da difficoltà nella corretta respirazione diaframmatica dovute a malesseri fisici), nessuna cantante all’infuori di lei è riuscita a ottenere risultati così musicalmente espressivi sfruttando il canto classico operistico, basato sul corretto e costante appoggio sul fiato, il sostegno diaframmatico e il conseguente immascheramento dei suoni di tutta la gamma, dal più grave al più acuto, che, negli anni del massimo fulgore vocale e artistico (fino alla separazione dal marito), risultarono però sempre subordinati al fatto espressivo, mai fini e a se stessi, vale a dire utilizzati a seconda del significato delle parole e del momento della frase. Infatti, non solo non inventò nulla tecnicamente (anzi, certe prodezze tecniche, prese in sé e per sé, sono state raggiunte in modo più che ammirevole anche da colleghe altrettanto agguerrite del passato e del presente, come i suoni smorzati di Magda Olivero, i sovracuti a voce piena e i trilli perfetti di Joan Sutherland, ecc.), ma è indubbio che nei primi anni di carriera italiana, al di là di un volume considerevole e di una musicalità straordinaria, le lacune tecniche mettevano in luce suoni disuguali e forzati e una evidente non compattezza della gamma. Erano il fraseggio, i colori, la musicalità straordinaria a sopperire ad una voce ribelle e non facile. Unica fu tuttavia la pervicacia e la volontà di Callas nell’applicare in modo maniacale, e stressante per l’interprete, il metodo belcantistico di ascendenza barocca, in una parola “classico”, a tutto il mondo protoromantico, verdiano e verista, scolpendo così, in una breve parabola, personaggi vocali che oggi è molto difficile, se non impossibile, dimenticare. Lo scrupolo filologico la portava a scrostare dal manierismo e dall’effetto “invecchiato” i maggiori ruoli di repertorio (cosa che dette fastidio a una piccola parte della critica vocale, ancora incompetente per molti versi e tradizionalista), dalle leggere Sonnambula e Lucia di Lammermoor, che riavvicinò a Norma e a Anna Bolena, ritornando alle indicazioni dei compositori, nelle quali venivano integrate in funzione espressiva, e in modo musicalmente perfetto, sia il legato, sia tutti gli ornamenti della coloratura, come il portamento, il trillo, il glissato, l’appoggiatura, la messa di voce: tutto ciò è fortunatamente dimostrabile grazie a una messe abbondante di registrazioni ufficiali e dal vivo, che fanno ascoltare una cantante sempre preparatissima ed esatta, perfino in prova (Dallas 1957). In questo senso non c’è differenza tra registrazioni in studio e dischi pirata, e rimane ancora un mistero come Callas abbia potuto realizzare personaggi a tutto tondo in disco, senza, o prima ancora, di averli interpretati in scena: Madama Butterfly, La bohème, Un ballo in maschera, Manon Lescaut.

Il suo approccio al canto, inteso come teatralità, drammaticità, enfasi tragica, raggiunte con pienezza e volume cospicui da librare in spazi ampi e nel vivo della recita, è da considerarsi, specie negli anni 1949-1953, ancora tradizionale e da porre in un’epoca e in una concezione al di qua della tendenza che, grazie alle tecniche più sofisticate di riproduzione del suono, alle leggi del mercato, all’avanzare del repertorio barocco, avrebbe considerevolmente abbassato i requisiti del singolo cantante d’opera (anche in repertori ottocenteschi) in fatto di volume e squillo, ripiegando piuttosto su elementi diversi, quali colore, gradevolezza timbrica, fusione con l’orchestra, ma anche sospiri, suoni privi di appoggio, ecc. Il ruolo vocale all’interno del quale la rivoluzione-restaurazione di Callas fu più sconcertante, sia per il pubblico che per la critica dell’epoca, fu probabilmente Lucia di Lammermoor, che in quegli anni tutti erano abituati a sentire affidata ai “sopranini” leggeri modello usignolo, i quali, oltre ad avere un’agguerrita tecnica virtuosistica, schiarivano ulteriormente il colore della voce per accentuare l’innocenza e la pudicizia del personaggio. Callas invece si avvicinò a Lucia con una voce senz’altro più debordante e una concezione interpretativa anche più tragica di quanto il tessuto orchestrale dell’opera lasciasse pensare. Il risultato fu però sbalorditivo e convincente, tanto che un direttore come Herbert von Karajan si avvicinò all’Opera romantica italiana dopo aver sentito la sua incisione EMI del 1953, e ne produsse, curando anche la regia, una storica edizione scaligera nella stagione 1953-1954.

Le registrazioni di Callas ci consentono di seguire quasi mese per mese, si può dire, un progressivo declino vocale, dovuto a un insieme di ovvi fattori che vanno dalla drastica cura dimagrante all’alternanza di tessiture e stili molto diversi affrontati a partire da un’età giovanissima. Proprio gli anni di poco precedenti al ritiro mostrano, però, un’evoluzione tecnico-stilistica che andò di pari passo con la stilizzazione fisica: in generale, ci fu un abbandono del volume e dello scatto, spesso plateali, a favore di una maggiore morbidezza, di un maggiore e costante appoggio sul fiato di tutti i suoni, di una compattezza di tutta la gamma, come notarono i critici della sua seconda Norma londinese (1957). I ruoli cantati nel 1954 fanno, infatti, avvertire note gravi diseguali, sovracuti duri e privi di vibrazione e stridenze sparse qua e là. E se le arie incise nel 1955 sotto la direzione di Serafin fanno avvertire ancora qualche suono duro, è a partire dalla seconda metà di quell’anno che, grazie ad un salto tecnico enorme, abbiamo esecuzioni artisticamente molto più valide degli anni d’esordio, e forse insuperabili: le incisione verdiane di Rigoletto, Trovatore e Ballo in maschera, la riesumazione scaligera di Anna Bolena e di Ifigenia in Tauride, fino ad arrivare a La Sonnambula a Colonia e a Edimburgo, La traviata a Lisbona e a Londra (Covent Garden), il recital in disco delle “pazzie celebri” (EMI 1958), il concerto del tour americano ripreso dal vivo nella tappa di Los Angeles, il concerto del debutto parigino (Opéra, dicembre 1958), dove si produsse in una scelta di tre scene e nel secondo atto di Tosca, in costume, fino a Il pirata in forma di concerto a New York (Carnegie Hall, gennaio 1959) e alla Gioconda in disco del settembre dello stesso anno, sorta di testamento vocale dove riuscì a trovare un eccellente equilibrio tra forma fisica generale e maturità artistica.

Dopo il primo ritiro, il rientro alla Scala col Poliuto, nel 1960, ben provato grazie alle cure di Antonio Tonini, fa udire una voce in buono stato e corretta, ma drasticamente ridimensionata nel volume e nell’estensione rispetto a solo un anno prima. Quest’opera fu preceduta da alcuni recital incisi a Londra ma pubblicati postumi, da una Norma al teatro antico di Epidauro che si trasformò in un evento mondano senza precedenti (aumentato dal clamoroso ritorno nella terra di origine e dalla presenza di Onassis), e da una seconda incisione ufficiale dell’opera di Bellini, con a fianco Franco Corelli e Christa Ludwig. Qui, una maggiore raffinatezza di fraseggio e di colori, e la compagnia finalmente adeguata, riescono in parte a controbilanciare una notevole riduzione della leggendaria elasticità e potenza vocale. I recital di arie francesi dei primi anni sessanta, riprese anche in una trionfale tournée di concerti sotto la direzione di Georges Prêtre, nuova guida musicale della cantante, fecero addirittura ripiegare Callas sul registro di mezzosoprano, con arie da Carmen, Don Carlo, La Cenerentola, Werther, nelle quali poté rifinire con tranquillità il fraseggio e i colori senza il timore del volume e dell’estensione in alto, e costituiscono il meglio del suo primo periodo parigino. Ma i problemi si ripresentarono, e in modo drammatico anche per la salute psichica, con Tosca e soprattutto con Norma, affrontate dal vivo nel 1964-1965, che determinarono una definitiva battuta di arresto per una voce e una sensibilità interpretativa che nell’epoca d’oro sembrò non conoscere ostacoli di sorta.

L’arte di Callas fu comunque un fatto ancora più complesso dell’impegno vocale, coinvolgendo del pari l’aspetto scenico delle parti che interpretava, compiendo una sintesi del tutto inedita tra canto e arte drammatica. Fu la sua una restaurazione totale del concetto di “belcanto”, che andava dalla voce al fraseggio, dalla recitazione alla postura, al trucco, perfino alla capigliatura. Fu la prima cantante lirica ad interessare registi cinematografici e teatrali di grido all’opera; a parte gli esperimenti del Maggio Musicale Fiorentino (Armida di Rossini, con le scene di Alberto Savinio e le coreografie di Léonide Massine, 1952), ebbero importanza storica le collaborazioni con Luchino Visconti (che la considerava la più grande attrice vivente) alla Scala per La Vestale, La sonnambula e La traviata (stagione 1954-1955, con riprese nel 1956 e 1957), Anna Bolena e Ifigenia in Tauride (stagione 1956-1957, con ripresa nel 1958), e quelle successive con Franco Zeffirelli, Margherita Wallmann, Alexis Minotis. Da tutti questi imparò molto, tuttavia, come ebbe a dire anche nell’intervista televisiva a Lord Harewood del 1968, la sua ricerca gestuale fu sempre all’interno della partitura, dove le note e le parole danno indicazioni più che sufficienti su che cosa fare in scena e cosa “non” fare. Anche la gestualità un po’ esasperata che le richiese Visconti lasciò ben presto il posto a una recitazione più misurata e in linea con lo stile musicale, e in questo senso l’apporto più scenografico che registico di Zeffirelli doveva essere il suo preferito. Le sue interpretazioni riportarono il melodramma all’epoca d’oro, come notarono i critici (Teodoro Celli, Rodolfo Celletti, Eugenio Gara, Massimo Mila), ma soprattutto lo reinserirono a pieno diritto (come segnalò l’interesse dimostrato per la sua arte da parte di Eugenio Montale, Mario Praz, Ingeborg Bachmann, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Federico Fellini, Carmelo Bene e moltissimi altri) tra le espressioni artistiche più alte, facendone quasi un genere d’attualità, in grado di rinnovarsi incessantemente e attirare un pubblico molto più giovane nei teatri, nonché di fornire spunto ad analisi critiche ed estetiche molto complesse (come dimostrò il dibattito che coinvolse anche Mario Praz ed Ettore Paratore circa la sua Medea cherubiniana).

Assorbiva da tutti (indossatrici e amiche comprese) come una spugna, con l’unico scopo di fare Arte e, se l’insegnamento degli addetti del mestiere come Visconti e Zeffirelli le lasciò molto, una propensione innata alla “recitazione” (da intendere in tutti i sensi, anche nella vita quotidiana) la rese magnetica e affascinante anche quando si dirigeva da sola, ad esempio nei concerti.

Maria Callas ha dato nuovo impulso alla riscoperta di titoli desueti, al miglioramento delle scuole di canto e alla maturazione di una nuova consapevolezza tecnica da parte dei cantanti.

In occasione del ventennale della sua scomparsa, l’edizione del 1997 del Maggio musicale fiorentino ha dedicato parte del suo programma al repertorio classico callasiano.

Secondo le vendite dei dischi, Maria Callas è oggi la cantante lirica più nota al mondo.[19]

Dissero di lei.

Carlo Maria Giulini: “Cosa dire di Maria Callas? Si potrebbe scrivere un libro sulla sua arte interpretativa, sulla sua capacità di muoversi da grande artista sulla scena”[senza fonte]
Giulietta Simionato: “Si è tanto parlato di Maria, cose vere e non. Io mi limito a ciò che sento e cioè che Maria ha fatto testo. La ricorderemo sempre, volenti o nolenti, e la sentiremo in noi in modo indescrivibile. Siamo come drogati dal suo modo di essere, pur con tutti i suoi difetti; ma chi non ne ha?”[senza fonte]
Franco Zeffirelli: “L’emozione di quel suono… la sua voce, che udivo per la prima volta, giungeva attraverso i timpani fino ai nervi, alle cellule più segrete e recondite della mente, del cuore.”[senza fonte]
Leonard Bernstein: “… perché è stata – senza alcun dubbio – la più grande cantante drammatica del nostro tempo.”[senza fonte]
Franco Corelli: “Era nata per cantare e per stare sulla scena. La musica e la sua voce entravano dentro il cuore, lei produceva melodia. Aveva dentro di sé, dentro la sua voce, la vita.”[senza fonte]
Carla Fracci: “La Callas?… L’ho guardata proprio da vicino con occhi, cervello e orecchi spalancati. L’ho proprio divorata con occhi cervello e orecchi. L’ho amata come solo il fervore dell’adolescenza permette.”[senza fonte]
Renata Tebaldi: “La cosa più straordinaria era che potesse eseguire il canto di coloratura con quella voce enorme! Fantastico, davvero”.

(Biografie tratte dalle rispettive pagine wikipediche)


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