Magazine Cultura
Anime tagliate di Francesco Scardone (recensione a cura di Miriam Mastrovito)
Creato il 16 marzo 2011 da BraviautoriFrancesco Scardone
Ciesse edizioni
Pag. 190
"Anime tagliate" è un romanzo incentrato sul tema del dolore inteso come componente imprescindibile dell'esistenza. La voce narrante è quella di un transessuale sadico che attraverso la propria e l'altrui sofferenza tenta di dare un senso al suo vivere.
Non ha un nome (peculiarità che accomuna i protagonisti delle opere di Scardone), probabilmente perché la sua diversità è celata dietro la maschera di una condotta anonima. Fatta eccezione per due seni che premono sotto il sottile strato di una maglietta, è una persona comune. Consuma le sue giornate imbustando merce in un supermercato e scambiando chiacchiere con una collega obesa appassionata di gossip. Bisogna scavare nella sua intimità per ottenere la giusta percezione del suo disagio sociale, della sua lucida follia, della sofferenza che attraversa come un fil rouge la sua vita al punto di confondersi con la vita stessa.
"Il dolore è l'unica dimensione possibile. È l'unico stato pensabile. È la sola cosa sensata. Reale" (pag.13).
Il racconto di un presente che si trascina tra malessere, piacere e perversione, pian piano s'intreccia con la ricostruzione del passato del protagonista. Attraverso una serie di flashback affiora così un percorso fortemente segnato dalla solitudine e da una condizione di disagio permanente nonché da un complesso rapporto edipico con la figura materna.
Ricostruzione che lungi dal voler spiegare, giustificare, razionalizzare si regge sulla dinamica delle libere associazioni suggerendo un itinerario all'interno del quale è possibile rintracciare alcuni legami di causa ed effetto senza tuttavia ottenere risposte dal potere rassicurante.
L'idea di fondo sembra essere che, per quanto ci si sforzi di scandagliare il lato oscuro dell'anima, alcune zone d'ombra non potranno mai essere rischiarate perché sfuggono all'umana comprensione e, con ogni probabilità, anche a quella divina, ammesso che esista un Dio a cui votarsi.
"Per quel che ne so, forse Dio è altrove, fuori di noi e di noi non ha mai, nemmeno sentito parlare" (pag. 85).
A supportare questo concetto di incomprensibilità è anche una sorta di "schizofrenia" rintracciabile sul piano narrativo. Il racconto in prima persona associato alla dimensione presente, infatti, cede il posto a quello in terza persona quando si riferisce al passato, quasi che il protagonista stesse intessendo un dialogo con il suo essere "altro" rinunciando a qualsiasi forma di autocommiserazione.
Allo stesso modo Scardone "gioca" con due registri stilistici alternando un linguaggio crudo, dissacrante, provocatorio (quello con cui descrive scene di sesso esplicito e di incommensurabile violenza) a un linguaggio poetico dotato di un forte potere evocativo (quello con cui ricostruisce alcune reminiscenze d'infanzia).
Un romanzo dalle tinte forti ma che "disturba" più per il senso di angoscia suscitato dalle riflessioni sul binomio dolore/esistenza che per le immagini scabrose di cui si avvale per far passare il messaggio (ragione in più per cui merita di essere letto).
"È questo tutto quello che ho ma, nonostante tutto, non sono capace di farla finita. Non desidero altro che la morte, in verità, continuamente solo la morte, ma non posso fare a meno di vivere" (pag. 145).
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