Anita B.: la recensione del nuovo film di Roberto Faenza

Creato il 17 gennaio 2014 da Oggialcinemanet @oggialcinema

17 gennaio 2014 • Recensioni Film, Vetrina Cinema, Videos •

commento di Maurizio Ermisino

Summary:

Lascia Auschwitz fuori da questa casa”. È quello che dice Eli ad Anita, appena sopravvissuta al campo di concentramento più feroce della storia, e arrivata in Cecoslovacchia da una zia. Eli è il fratello del marito della zia di Anita, e la avverte subito della cosa più importante. In casa loro nessuno vuole ricordare l’Olocausto, i nazisti, il campo di concentramento. Non vogliono nemmeno far sapere che sono ebrei. Perché in Cecoslovacchia ora ci sono i comunisti e, sebbene non siano i nazisti, nemmeno loro amano molto gli ebrei. Quanto ai tedeschi, l’odio di tutti sembra concentrato verso i sudeti, cecoslovacchi di origine tedesca, che vengono rispediti in Germania, e a cui vengono confiscate le case. In tutto questo universo in continua evoluzione, Anita vive una storia d’amore con Eli. Un amore controverso, in cui le cose non andranno come sogna.

Anita B., il nuovo film di Roberto Faenza, inizia dove gli altri film di solito finiscono. Con la fine dell’incubo, con la riconquistata libertà, con la salvezza. E già questo è un punto di vista interessante: che cosa accade quando ci si salva, ma tutto quello che era intorno a te è crollato (i genitori di Anita sono morti) e devi ricominciare una nuova vita? Anita non ha nemmeno i documenti, e non può uscire di casa. È come se non esistesse. Ed è la sua paura di non esistere che le dà ancora più forza e impeto. Da qui nascono il bisogno di amare, di vivere, di agire. E anche quello di ricordare: a differenza di tutti non vuole dimenticare l’Olocausto, perché rimuoverlo vorrebbe dire rimuovere anche le proprie origini, la propria storia. E quindi non esistere. Mentre tutti intorno a lei vogliono dimenticare, non vogliono ascoltarla, non vogliono sentire nulla, come accadeva al personaggio di Eduardo De Filippo in Napoli milionaria. Come se il fatto di essere stati perseguitati fosse una colpa.

Roberto Faenza sposa in pieno il punto di vista della sua protagonista, Anita (interpretata dalla dolce e grintosa Eline Powell, volto e grazia d’altri tempi al servizio di un personaggio dal respiro moderno, mentre Robert Shehaan è perfetto nei panni dell’irruento Eli) e decide di guardare il mondo con i suoi occhi, di fare un film in soggettiva. Come la Sabina S. di Prendimi l’anima, anche Anita B. è una giovane donna che lotta contro tutto e tutti per affermare se stessa. E Anita B. è un film che ha il pregio di trasmettere la voglia di vivere della sua protagonista. Attraverso le azioni che compie Anita, ma anche attraverso tante piccole cose, piccoli indizi disseminati lungo l’irta via della protagonista, pronti a darle (e a darci) coraggio: un bambino da accudire e amare (il figlio della zia), un cavallo nero libero di correre, una musicista, David, l’amico che sceglie di tornare a Gerusalemme. E anche Anita sceglierà la vita, e la libertà. A un film così vitale e sincero si perdona volentieri anche qualche difetto, come i dialoghi eccessivamente didascalici e schematici, pensati per far capire bene la storia e tutto ciò che c’è in gioco nei suoi momenti topici. Anita B. ci racconta un pezzo di storia che forse non conoscevamo, e ci regala un personaggio bello e puro. Si capisce come Faenza ami Anita. E come si possa amarla anche noi.

di Maurizio Ermisino per Oggialcinema.net

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