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Anna e Alberto Oliverio: “Don Abbondio sbagliava”

Creato il 21 febbraio 2014 da Tipitosti @cinziaficco1

                                                              “Tutto ciò che non mi fa morire mi rende forte”

                                                                                                            Friedrich Nietzsche

 

Il coraggio? Uno se lo può dare. Alla faccia di quello che pensava Don Abbondio.

Non ci credete? Provate a leggere il libro Più forti delle avversità – individui e organizzazioni resilienti – scritto da Anna Oliverio Ferraris (psicologa  e psicoterapeuta) e Alberto Oliverio (neuroscienziato), pubblicato di recente da Bollati Boringhieri. Scoprirete che dai dissesti psichici, anche da quelli più travolgenti, si può rinascere. Merito di quella che nell’antichità i filosofi Epitteto e Marco Aurelio definivano forza d’animo e che oggi gli psicologi chiamano resilienza, parola mutuata dalla scienza dei materiali.  

Più forti delle avversità
Boris Cyrulnik, neuropsichiatra, etologo e psicoanalista noto a livello internazionale  ha definito la resilienza  L’arte di navigare nei torrenti”, ossia la capacità di destreggiarsi di fronte ai colpi della vita e all’imprevedibilità  degli eventi. Nel libro  Il dolore meraviglioso lo stesso Cyrulnik (1999) racconta la traiettoria  sorprendente  di coloro che, sopravvissuti all’Olocausto, cresciuti in strada in mezzo ad ogni genere di pericoli oppure picchiati e maltrattati durate l’infanzia dai loro genitori, sono riusciti ad avere una vita professionale  e personale soddisfacente al di là di ogni previsione.

“Lo steso Cyrulnik – scrivono i due autori – rimasto orfano nell’infanzia di entrambi i genitori, deportati e uccisi nei campi nazisti, riuscì, grazie a quelli che egli definiva i tutori della resilienza, a costruirsi una personalità sana e ben disposta verso il prossimo e a ottenere grosse soddisfazioni in ambito professionale”.

La resilienza, si scopre leggendo il libro, non è una dote eccezionale, riservata a pochissimi, ma un tratto piuttosto diffuso che può venir fuori in modo inaspettato come una risposta a eventi traumatici.

“Come il corpo – scrivono -  è dotato di un sistema  difensivo, così è la psiche. Un nucleo di resilienza lo abbiamo tutti dentro di noi, sia pure in misura variabile da individuo: esso coinvolge comportamenti, pensieri e azioni che possono essere imparati e sviluppati”.

Due sono le fasi che caratterizzano la capacità degli individui di reagire ai colpi della vita. All’inizio si cerca di parare il colpo difendendosi, lottando contro la  fonte  di stress, il cosiddetto coping. Poi, in una prospettiva a lungo termine si accettano i fatti che possono essere reversibili, ma anche irreversibili, come un lutto, un divorzio, un fallimento, si attribuisce loro un senso e li si integra nella propria storia personale. E’ questa seconda tappa, ricostruttiva, quella che viene chiamata resilienza.

“Essa – spiegano gli psicologi Oliverio – è il contrario del blindarsi o del negare l’impatto subito”.

C’è un film che aiuta a capire come si sviluppa questo processo. Ed è Il ragazzo con la bicicletta dei fratelli Dardenne, del 2011, in cui il protagonista è un bambino, Cyril, rifiutato dal padre, che riesce a “ricostruirsi” perché non smette mai di cercare un appiglio, una vita d’uscita.

Ma vediamo con gli autori qual è la vera resilienza, cosa l’agevola e se cambia con l’età.

Dunque, tutti possiamo resistere e ripartire dopo eventi traumatici. E il coraggio uno se lo può dare. E’ così?”

Sì e I fattori che entrano in gioco sono svariati. Senza dubbio avere avuto un buon legame di attaccamento nei primi anni di vita con le figure di accudimento, è una buona base di partenza. Ma non è l’unico. Il temperamento ha anche un ruolo, così come i modelli che troviamo nel nostro ambiente e il tipo di educazione che abbiamo ricevuto. In condizioni estreme come un lager nazista o una prigionia molto dura, pochi ce la fanno. Inutile nasconderlo.

Nella sua infanzia Adolf Hitler ha vissuto sotto la minaccia continua del padre, che coglieva ogni pretesto per picchiarlo, umiliarlo e punirlo. A vent’anni tenta la carriera artistica, ma senza successo. Si lascia andare e per un certo periodo vive come un barbone, dorme per strada.  A cinquant’anni arriva a ricoprire la più alta carica dello Stato ed è adulato dal suo popolo come un dio. Hitler è stato resiliente?  

Per vera resilienza si intende la capacità di mantenere intatta la propria sensibilità e la capacità di provare ancora sentimenti. Alcuni resistono ai colpi della vita, diventando, però, insensibili e con un fortissimo bisogno di rivalsa a danno di altri. La vera resilienza consente di superare un trauma senza grossi strascichi o problematiche psicologiche successive.

Dalla vostra esperienza qual è il trauma da cui è più difficile venir fuori?

Quello che porta all’umiliazione e alla perdita del rispetto di sé.

Cos’è che fa scattare la voglia di ricominciare? Forse la responsabilità nei confronti di altri?

L’istinto di sopravvivenza, che tutti quanti abbiamo dentro di noi, sia pure in misura variabile. Anche aiutare gli altri, quando si è stati duramente colpiti, è spesso una via per uscire da uno stato di rinuncia e sofferenza.

Spesso si dice che è più difficile separarsi da un dolore che da una situazione di benessere. 

Il dolore può diventare un compagno di vita per vari motivi, non ultimo perché ti fa sentire ancora vivo, nonostante tutto.

Sono più resilienti le donne?

Difficile dare una risposta definitiva su questa questione. Nella vita quotidiana le donne possono muoversi meglio degli uomini, perché abituate a risolvere in prima persona tanti problemi che riguardano la famiglia e i figli. Ci sono, però, numerosi esempi di uomini molto coraggiosi che in condizioni estreme sono riusciti a mantenersi lucidi e razionali e a non perdere la speranza di farcela.

Con il tempo la resilienza si indebolisce? Forse da anziani è più facile adattarsi che ricominciare ?  

Per certi aspetti o colpi della vita l’età può aiutare, nel senso che, avendo superato difficoltà precedenti, si sa che se ne può venire fuori. Avendoli sperimentati, si conoscono modi e strategie con cui far fronte alle avversità.

Avete dedicato la parte finale alla resilienza delle aziende in Italia, che potrebbero fare da modello ad altre oggi intenzionate a chiudere in modo definitivo o delocalizzare.

Sì, ci sono industrie alimentari che continuano ad esportare e industrie del lusso nel campo della moda che continuano ad avere un successo internazionale. Ci sono, poi, le aziende che producono tecnologie biomediche,  al centro di un polo di eccellenza nell’area di Mirandola. L’Italia è anche leader nella meccanica di precisione. Creatività, conoscenza sono fattori vincenti.

Di recente Michele Dotti ha scritto un libro, dal titolo: “Sbagliando non si impara”. E’ dai successi, secondo l’autore, che si impara, si matura e ci si rafforza. Cosa ne pensate?

Si impara molto dagli errori e dagli insuccessi. Bisogna, però, avere la voglia di reagire, non lasciarsi intimidire dagli insuccessi e non perdere la fiducia in se stessi o nel gruppo di appartenenza. Prendiamo i bambini di età prescolare, per esempio: se gli adulti non inducono il senso di vergogna per gli inevitabili errori che fanno, per loro sbagliare è normale, spesso è anche divertente. Si prova di nuovo, si cercano soluzioni alternative, se ne verifica l’efficacia, si seleziona la risposta corretta, si capisce. E si impara.

                                                                                                                        Cinzia Ficco


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