Scomparso nell'anonimato a seguito degli insuccessi di "Il Solista" e "Hanna", Wright cerca di nuovo un modo per ripiazzarsi al centro dell'attenzione e lo scorge dando tocco particolare alla sua rappresentazione adattandola all'interno di un teatro di posa e acconsentendo che questo diventi partecipe avvertibile della scena. Un'esperienza di cinema fuso a teatro su cui il regista, forzatamente, punta moltissimo specie nelle battute iniziali, quando cerca di metterlo in risalto nelle sequenze di largo trasporto emotivo e durante i mutamenti scenografici incaricati di cambiare gli ambienti sia in interno che in esterno. L’esperimento si palesa presto però meno funzionale del previsto tanto è vero che – probabilmente anche per presa coscienza dello stesso Wright - viene abbandonato lungo la strada e diluito in dosi sempre maggiori, fino a passare direttamente nel dimenticatoio per essere poi ripescato solo una volta giunti al punto d'arrivo.
Sotto queste precarie condizioni l'ambizione di Joe Wright non può altro che andarsi a schiantare prepotentemente contro la sua stessa mania di grandezza, ricordandogli di essere regista meno capace di quel che crede. Prima di buttarsi a capofitto in espedienti di questo genere bisognerebbe valutare attentamente sia i rischi che le proprie abilità e "Anna Karenina" non sembra averlo fatto, pertanto (si) sovraccarica levandosi infine solo come figlio di un'insopportabile presunzione, che seppur apprezzabile per audacia, viene pagata a caro prezzo sia dal suo ideatore che dai suoi realizzatori.
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