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Anna Karenina - Prima Parte, frasi [Lev Nokolaevic Tolstoj]
Creato il 08 gennaio 2014 da Frufru @frufru_90Stepan Arkad’evic era un uomo onesto verso se stesso. Non poteva ingannarsi promettendo di pentirsi di ciò che aveva fatto. Questa volta non poteva pentirsi, come invece era stato sei anni prima, quando aveva tradito la moglie per la prima volta. Non poteva più pentirsi del fatto che lui, a trentaquattro anni, bello e incline a innamorarsi, non era innamorato della moglie - madre dei suoi cinque figli, e dei due che erano morti - che aveva soltanto un anno meno di lui. Si pentiva solo del fatto di non essere riuscito a nasconderle meglio ogni cosa; ma avvertiva pienamente la gravità della sua posizione e provava pena per la moglie, per i figli e per se stesso.
Stepan Arkad’evic era abbonato a un giornale liberale, che rispecchiava la posizione moderata più diffusa. E sebbene in realtà non lo interessasse né la scienza, né l'arte, né la politica, in tutti questi ambiti si atteneva con fermezza alle posizioni cui si atteneva tanto la maggioranza, quanto il suo giornale, e cambiava idea solo se la cambiava la maggioranza; anzi, per meglio dire, non era lui a cambiare idea, ma erano le idee che cambiavano impercettibilmente dentro di lui.
Stepan Arkad’evic non sceglieva né la posizione, né le idee; erano la posizione e le idee che giungevano autonomamente a lui, così come non sceglieva la forma di un cappello o di una giacca, ma comprava quello che portavano tutti. Per lui, che viveva nell'alta società, dov'era indispensabile avere quella certa attività mentale che di solito si sviluppa negli anni della maturità, avere delle opinioni era tanto necessario quanto avere un cappello.
Aveva spesso sentito che le donne amano i brutti, i semplici, ma non ci credeva, perché giudicava in base alla sua esperienza di uomo che amava solo le donne belle, misteriose e speciali.
Tuttavia, dopo aver trascorso altri due mesi da solo in campagna, si era convinto che non si trattava di uno di quegli innamoramenti che aveva provato nella prima giovinezza; che questo sentimento non gli dava un minuto di pace; che non poteva più vivere senza sapere se sarebbe diventata sua moglie oppure no; si era convinto che la sua disperazione scaturiva solo dalla sua immaginazione e che non aveva prova che lo avrebbero respinto.
Fece ancora qualche passo: davanti a lui si spalancò la pista e subito, tra gli altri pattinatori riconobbe lei.
Comprese che era lì dalla gioia e dal terrore che assalirono il suo cuore. Era in piedi che parlava con una signora all'estremo opposto della pista. Non c'era nulla di speciale, si sarebbe detto, nei suoi vestiti e nella sua postura; ma riconoscerla era stato facile per Levin, come riconoscere una rosa tra le spine: lei illuminava tutto, lei era il sorriso che irradiava ogni cosa.
"Sì, pensava, questa è la vita, questa è la felicità! 'Insieme', ha detto lei, 'così pattiniamo insieme'. Glielo dico adesso? Ora, però, ho paura perché sono felice, felice di avere almeno la speranza...E dopo invece?...
- In campagna noi cerchiamo di curare le mani in modo che sia comodo servirsene per lavorare; per questo ci tagliamo le unghie e a volte ci rimbocchiamo le maniche. Qui, invece, si fanno crescere apposta le unghie più che possono e, come fossero dei gemelli, si attaccano ai polsini una sorta di piattelli, così sono sicuri che con le mani non potranno fare niente.
Stepan Arkad’evic sorrise. Conosceva così bene il sentimento di Levin, sapeva che per lui le ragazze del mondo si dividevano in due tipologie: la prima comprendeva tutte le ragazze del mondo tranne lei; e costoro avevano tutti i difetti possibili ed erano ragazze molto convenzionali; la seconda tipologia comprendeva lei sola, che non aveva alcun difetto ed era superiore all'umanità intera.
- Ecco, vedi, - Stepan Arkad’evic, - tu sei una persona molto integra. È la tua qualità e il tuo difetto. Tu hai un carattere integro e vorresti che tutta la vita fosse fatta di eventi integri, ma non è così. E così disprezzi l'attività al servizio dello Stato, perché vorresti che ogni azione corrispondesse immancabilmente a un fine, e non è così. Vorresti pure che l'attività di un uomo avesse sempre un fine, che l'amore e la vita famigliare fossero una cosa sola. Ma non è così. Tutta la varietà, tutto il fascino e la bellezza della vita sono fatti di luce e ombra.
- Sì, lo perdonerei. Non sarei più la stessa, ma lo perdonerei, e lo perdonerei come se questo non fosse successo, come se non fosse successo niente.
- Beh, s'intende! - la interruppe rapidamente Dolly, come se non fosse la prima volta che ci pensava. - Altrimenti non sarebbe un perdono.
Nikolaj Levin continuava a parlare:
- Sai che il capitale schiaccia il lavoratore; i nostri lavoratori e i contadini hanno per intero il peso del lavoro e la loro condizione è tale che, per quanto lavorino, non possono emanciparsi dalla loro vita da bestie. Tutto il profitto del loro lavoro, quello che permetterebbe loro di migliorare la loro condizione, di avere del tempo libero e un'istruzione, tutto il residuo di produzione viene sottratto loro dai capitalisti. E la società è strutturata in modo che, quanto più loro lavorano, tanto più i commercianti e i proprietari terrieri si arricchiscono mentre loro restano perennemente degli animali da soma. E questo stato di cose va cambiato.
Adesso [Levin] si sentiva se stesso e non voleva nient'altro, voleva solo diventare migliore di com'era prima. Per prima cosa, aveva deciso che da quel giorno non avrebbe più sperato nella felicità eccezionale che avrebbe dovuto dargli il matrimonio e, di conseguenza, non avrebbe così disprezzato il presente.
Anna Arkad'evna leggeva e comprendeva, ma non le faceva piacere leggere, cioè seguire il riflesso della vita altrui. Aveva troppa voglia di vivere lei stessa. Se la protagonista del romanzo stava curando qualcuno, avrebbe voluto essere lei a muoversi a passi silenziosi per la stanza del malato; se leggeva del discorso pronunciato da un membro del parlamento, avrebbe voluto essere lei stessa a tenere quel discorso; se leggeva di Lady Mary che inseguiva a cavallo uno stormo di anatre e provocava la cognata sorprendendo tutti per la sua audacia, avrebbe voluto essere li a farlo.
- Perché sono in viaggio? - ripeté lui guardandola dritto negli occhi. - Lo sapete: per essere dove siete voi, - disse, - non posso fare altrimenti.
Nel mondo pietroburghese di Vronskij le persone si dividevano in due tipologie del tutto contrapposte. La tipologia inferiore comprendeva le persone squallide, stupide e soprattutto ridicole, coloro che credono che un solo marito debba vivere con la sola moglie che ha sposato, che le ragazze debbano essere pure, le donne pudiche, gli uomini forti, temperanti e determinati, che si debbano educare i figli, guadagnarsi il pane, pagare i debiti e simili sciocchezze. Era la tipologia degli uomini antiquati e ridicoli. Poi c'era l'altra tipologia, quella delle persone vere, cui tutti loro appartenevano, la quale richiedeva soprattutto di essere eleganti, belli, generosi, arditi, allegri, di cedere a ogni passione senza arrossire e di prendersi gioco di tutto il resto.
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