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Anna Maria Sibylla Merian: quando scienza e pittura si incontrano

Creato il 07 dicembre 2011 da Sirinon @etpbooks

Meriam5Vissuta tra il 1647 ed il 1717 Anna Maria Sibylla Merian, divenuta durante la sua vita naturalista e pittrice, inizia proprio in giovane età, grazie anche all’esempio ed all’insegnamento del patrigno, ad esercitare l’arte del disegno e della pittura con particolare attenzione a soggetti presi dalla natura. Una sorta di lettura in “macro” di quanto, apparentemente sfuggente all’occhio umano durante una semplice passeggiata o una sosta nel giardino di casa, popolava invece ogni piccola pianta o cespuglio o ancora roccia sul sentiero.   La sua passione, nata all’interno della famiglia verrà ulteriormente alimentata dal matrimonio con Johann Andreas Graff, un pittore allievo del patrigno. Il suo lavoro, inizierà a diventare selettivo e mirato scientificamente all’osservazione di alcuni fenomeni. In particolare saranno bruchi e farfalle gli oggetti dei suoi primi studi, talmente meticolosi che arriverà a preparare ben 176 tavole disegnate con illustrate tutte le varie fasi di sviluppo di altrettante varietà di farfalle. Meriam4Così scrisse infatti nell’introduzione al suo primo volume di immagini: “…In gioventù mi dedicai a ricercare insetti: cominciai con i bachi da seta nella mia città natale di Francoforte. Osservai poi che essi, come altri bruchi, si trasformavano in belle farfalle notturne e diurne. Questo mi spinse a raccogliere tutti i bruchi che potevo trovare per osservarne la trasformazione. Ma, per disegnarli e descriverli dal vero con tutti i loro colori, ho voluto esercitarmi anche nell'arte della pittura…”. Ne uscirà un volume, dal titolo “Der Raupen wunderbare Verwandlung und sonderbare Blumennahrung” (La meravigliosa metamorfosi dei bruchi e il loro singolare nutrirsi di fiori), che risulterà per l’epoca un’assoluta novità. Nel frattempo, non mancheranno altre tavole dedicate unicamente alla botanica ma, ciò che più importa, è che inizia ad essere riconosciuto il valore scientifico del suo lavoro in un tempo in cui ancora alle donne era praticamente preclusa l’appartenenza ufficiale alla categoria, anche se già in molte si erano distinte (come vedremo in successivi appunti e appuntamenti). Meriam2

Sarà infatti il borgomastro di Amsterdam che le offrirà aiuto anche materiale per l’allestimento di una spedizione nella colonia olandese del Suriname (situato vino alla Guyana, a nord-est del Brasile), nella cui capitale, Paramaribo (città oggetto delle scorrerie più famosi pirati!!!), andrà a stabilirsi con l’intenzione di raccogliere esemplari tropicali per l’allestimento di un ulteriore volume. Sarà la popolazione del luogo la sua più fedele e proficua alleata; molti cacciatori le procureranno esemplari di piante, di fiori e di frutti, specie di insetti, d’uccelli, di serpenti, che le consentiranno, unitamente alle notizie di cui verrà a conoscenza, di allestire il suo volume. Il suo interesse si sviluppa ben oltre la descrizione sia pittorica che verbale di quanto posto sotto esame ma, come nel caso delle piante, cerca di interessarsi anche delle qualità terapeutiche visto che ancora la medicina era principalmente di origine botanica.

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Molto emblematico è un suo commento ad un campione di Flos pavonis: “ … I semi sono usati dalle donne che hanno le doglie per accelerare il travaglio. Le indiane, che sono maltrattate dagli olandesi presso i quali sono a servizio, li usano per abortire affinché i figli non nascano schiavi come loro. Le schiave nere della Guinea e dell’Angola vanno trattate con una certa benevolenza altrimenti in condizione di schiavitù non fanno bambini. E infatti non ne hanno e arrivano a suicidarsi per il trattamento al quale sono abitualmente sottoposte. Infatti credono di rinascere libere nel loro paese in condizione di libertà…”. Tale commento che risultava oltremodo oltraggioso nei confronti della politica olandese in merito alla gestione delle colonie, risulta ancor più irriverente nei confronti dell’Olanda in quanto non solo la ospitava, ma che in buona parte la sosteneva finanziariamente; fondamentalmente però la dice lunga sul suo carattere ed anche sul tipo di educazione ricevuta, piuttosto liberale ed improntato ad una certa carità religiosa, fors’anche per il periodo passato a suo tempo in Olanda presso una comune protestante di labadisti (seguaci di Jean de La badie che professavano un culto religioso di stampo cristiano ma da esercitarsi all’interno di comunità piuttosto chiuse), che evidentemente aveva lasciato una certa traccia. Al suo rientro in Olanda, nella primavera del 1701, causa anche l’esser rimasta vittima della febbre gialla, fu dato alle stampe il volume “Metamorphosis insectorum Surinamensium“ (Metamorfosi degli insetti del Suriname) che ottenne un enorme successo e fu capace oltre tutto di sfatare uno dei tantissimi equivoci su cui si basava (anche) allora la scienza, ovvero che gli insetti nascessero nel fango, mettendo a disposizione i dati per una prima classificazione di molti insetti che si sviluppavano attraverso la crisalide divenendo poi farfalle diurne e notturne.

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Doppio fu dunque il valore del suo lavoro: scientifico ed artistico e se anche la scienza ha abbondantemente integrato e superato i risultati da lei ottenuti, per contro i suoi disegni sono ancora oggetto di ricerca da parte di molti collezionisti. Anna Maria Sibylla Merian lascerà anche altre opere disegnate, soprattutto la serie dei volumi aventi per tema i fiori ed altri ancora che la figlia Dorothea Henrica, avendo ereditato quanto meno le capacità pittoriche, porterà a termine e pubblicherà postumi. Ma il più grande contributo ed anche l’innovazione sta nell’aspetto scientifico del lavoro: non solo riuscì ad imporsi in un ambiente del tutto maschile al tempo ma, inoltre, lo fece con spavaldo coraggio, evitando di pubblicare in latino, servendosi prima del tedesco (lingua della sua terra d’origine e della sua giovinezza) e poi dell’olandese, facendo gridare allo scandalo gli scienziati conservatori che continuavano, agli inizi del 1700, a vedere la lingua latina come unica degna di rappresentare la scienza ma in realtà altro non era se non uno dei pochi appigli rimasti a preservare una categoria (in realtà una casta, l’ennesima che la storia ci presenta) che faceva della lingua un elemento per proteggere spesso sperimentazioni prive di ogni fondamento oltre che simbolo di un certo status sociale. Non sapevano inoltre che di lì a breve, certi Diderot e D’Alembert con la loro “Encyclopédie” avrebbero definitivamente scardinato questo falso privilegio. E quello che ieri era un vero privilegio, oggi, modificato dalla storia, ritorna nell’inglese dell’era globale e digitale, quale segno distintivo di appartenenza al branco, quello informatizzato e, speriamo, anche informato.

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