Oggi ricorre il settimo anniversario della morte di Anna Politkovskaja, la giornalista della Novaja Gazeta, uccisa a colpi di pistola nell’ascensore del suo palazzo a Mosca, mentre stava rincasando. Una donna solo all’apparenza fragile, ma sempre in prima linea nel raccontare e denunciare “La Russia di Putin” – dal titolo di uno dei suoi libri più famosi – dalle le violazioni dei diritti umani durante le azioni militari russe in Cecenia alla tragedia del teatro Dubrovka nel 2002.
Una giornalista scomoda che usava ripetere che «l’unico dovere di un giornalista è scrivere quello che vede». Cosa che a lei ha sempre fatto, sfidando il potere e la paura, fino al giorno della sua morte.
E dopo sette anni, finalmente Mosca ricorda il coraggio della giornalista attraverso una targa affissa sul palazzo sede del giornale della Politkovskaja. L’opera raffigura tre fogli strappati da un’agenda e ricoperti da appunti, con sopra un ritratto di Anna.
Nei suoi articoli per il quotidiano russo Novaja Gazeta, Anna Politkovskaja condannava apertamente l’esercito e il governo russo per lo scarso rispetto per i diritti civili e dello stato di diritto, sia in Russia che in Cecenia.