Anna Rosa Balducci - La casa color grigioperla

Da Ellisse

Una recensione di un romanzo, per una volta in mezzo a tanta poesia, che ricevo da Narda Fattori e che pubblico volentieri.

Anna Rosa Balducci, La casa color grigioperla, Edizioni Progetto Cultura.

“C’era una volta…”: no, non inizia così il bel romanzo di Anna Rosa Balducci; c’è stato, c’è ancora, un barcone di naufraghi in fuga da fame e guerra che ha affrontato il mare inconosciuto e periglioso per sfuggire ad un destino che non ha storie, ma finali.

Dal barcone quattordici personaggi sbarcano su un lido ignoto ma inconsueto: non siamo a Lampedusa, a Mazara del Vallo, a Otranto; qui c’è un Adriatico quasi lagunare, qui c’è un Adriatico che non reagisce alla loro intrusione, un po’ perché da sempre accogliente, un po’ perché distratto e poco interessato a chi non ha denari da versare. Si capisce abbastanza presto , specie per chi abita questi territori, che siamo a Rimini, in autunno. Dopo un giorno smarrito sugli scogli, appare un rifugio: una casa lì a due passi, abbandonata e vuota, quasi in attesa della piccola comunità di rifugiati di colore: due vecchie, due vecchi, due giovani donne, due giovani maschi e cinque bambini, tre orfani e due figli “regolari”; anche i bambini sono differenziati per carattere e sesso, due femmine e tre maschi , un microcosmo che riflette il macrocosmo.

L’autrice all’inizio, soprattutto, gioca con diversi punti di vista, che non mi pare contribuiscano a dare originalità alla storia, perché il linguaggio rimane uguale, e il punto di vista si riduce a un commento, non molto di più. La storia è affidata ad un narratore esterno, onnisciente, che conosce gli antecedenti e forse anche il finale, anche se non lo lascia trapelare. E’ un narratore attento, specie a quanto differenzia i singoli; per quanto riguarda il confronto con i pallidi cittadini chiaramente esprime che vede soprattutto somiglianze. Come dev’essere fra umani.

Ci viene detto che la comunità viene da un paese africano scombussolato dalla guerra, eppure abbiamo un missionario cattolico che lì si è insabbiato con un altro bianco misterioso e insieme portano avanti un ospedale, una scuola. Sono figure quasi mitiche, fiabesche sicuramente. Ma entrano a pieno diritto nell’inframmezzarsi di parole e molti silenzi, silenzi non ritrosi, ma di rispetto, di individuazione.

Già da subito leggiamo l’irruzione della fantasia: il missionario che non è mai tornato in patria, quattro vecchi che decidono di emigrare e sono solo in attesa della morte; forse rappresentano lo spirito di un mondo antichissimo e lontano che abbiamo sopraffatto ma che non vuole cedere lo scettro della dignità..

Le due giovani donne sono la forza e la fermezza, sono figure amorose ma non oppressive e non timide o represse; dei due giovani uomini, quello non sposato ha studiato medicina, l’altro ha imparato le abilità del tirar su case e ponti, cose solide e durature.

Nessuno li disturba nella pacifica convivenza; sono i bambini che per primi affrontano la nuova realtà, creano il primo legame, poi il giovane dottore che voleva frequentare l’Università di Bologna, per fregiarsi del titolo con la piena competenza derivante, finisce a curare gli ultimi in un ambulatorio precario e volontario. I bambini, soprattutto, i maschi sono disegnati a tutto tondo, curiosi, pieni di talenti nel corpo, nelle mani, nelle menti.

Poi la storia vira improvvisamente sul fiabesco: l’arrivo di una signora ammalata che vuole godere della loro pacifica compagnia e lasciare qualcosa di suo ad altri : sarà la cura della pittura per un bambino, l’offerta del denaro per sollevarli dal rischio dell’ elemosina. Infine , con la sua morte, arriveranno gli agi di una casa da sentire propria, dove vivere e legare il filo della vira che dura, proprio quando lei se ne va.

Il dottore si è innamorato, la vita riprende il suo ciclo.

Non ha un inizio fissato nel tempo, né un finale che chiuda perfettamente il cerchio.

Perché la vita non ha un chiaro inizio né una altrettanta chiara fine: siamo come quanti ( in fisica) che si incontrano, si intrecciano , si lasciano, creano. Intanto nella storia irrompe la primavera…

E’ un bel libro , questo di Anna Rosa Balducci: un libro che ti invita alla lettura e quel tanto di fiabesco sfuma la pesantezza e l’ammasso del dolore che le storie di migranti portano con sé.

Ci fa, noi lettori, diventare più buoni, più generosi, più innocenti.

Bastasse un libro….

Narda Fattori


Anna Rosa Balducci è nata a Rimini nel 1952. Laureata in Lettere Moderne a Bologna, insegna materie letterarie. Scrive da sempre e ha ricevuto diversi riconoscimenti nei Premi letterari ai quali ha partecipato. Ha pubblicato articoli e interventi su quotidiani e riviste; la raccoltaLa balena e altri racconti (2002); il romanzo Pane a colazione (2007), oltre ai libri di fiabe Pupaz zi, nani, re e anche un tre (2004) e Girasole e altre storie (2010).


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