Magazine Diario personale
ANNA STEPANOVNA POLITKOVSKAJA (NY 30/8/58- Mosca 7/10/2006) “Certe volte, le persone pagano con la vita il fatto di dire ad alta voce ciò che pensano”. “Sono una reietta. È questo il risultato principale del mio lavoro di giornalista in Cecenia e della pubblicazione all’estero dei miei libri sulla vita in Russia e sul conflitto ceceno. A Mosca non mi invitano alle conferenze stampa né alle iniziative in cui è prevista la partecipazione di funzionari del Cremlino: gli organizzatori non vogliono essere sospettati di avere delle simpatie per me.Eppure tutti i più alti funzionari accettano d’incontrarmi quando sto scrivendo un articolo o sto conducendo un’indagine. Ma lo fanno di nascosto, in posti dove non possono essere visti, all’aria aperta, in piazza o in luoghi segreti che raggiungiamo seguendo strade diverse, quasi fossimo delle spie. Sono felici di parlare con me. Mi danno informazioni, chiedono il mio parere e mi raccontano cosa succede ai vertici. Ma sempre in segreto.È una situazione a cui non ti abitui, ma impari a conviverci… Non sono un vero animale politico. Non ho aderito a nessun partito perché lo considero un errore per un giornalista, almeno in Russia. E non ho mai sentito la necessità di difendere la duma, anche se ci sono stati anni in cui mi hanno chiesto di farlo. Quale crimine ho commesso per essere bollata come “una contro di noi”? Mi sono limitata a riferire i fatti di cui sono stata testimone. Ho scritto e, più raramente, ho parlato.Pubblico pochi commenti, perché mi ricordano le opinioni imposte nella mia infanzia sovietica. Penso che i lettori sappiano interpretare da soli quello che leggono. Per questo scrivo soprattutto reportage, anche se a volte, lo ammetto, aggiungo qualche parere personale. Non sono un magistrato inquirente, sono solo una persona che descrive quello che succede a chi non può vederlo. I servizi trasmessi in tv e gli articoli pubblicati sulla maggior parte dei giornali sono quasi tutti di stampo ideologico. I cittadini sanno poco o niente di quello che accade in altre zone del paese e a volte perfino nella loro regione.Il Cremlino ha reagito cercando di bloccare il mio lavoro: i suoi ideologi credono che sia il modo migliore per annullare l’effetto di quello che scrivo. Ma impedire a una persona che fa il suo lavoro con passione di raccontare il mondo che la circonda è un’impresa impossibile. La mia vita è difficile, certo, ma è soprattutto umiliante. A 47 anni non ho più l’età per scontrarmi con l’ostilità e avere il marchio di reietta stampato sulla fronte. Non parlerò delle altre gioie del mio lavoro – l’avvelenamento, gli arresti, le minacce di morte telefoniche e online, le convocazioni settimanali nell’ufficio del procuratore generale per firmare delle dichiarazioni su quasi tutti i miei articoli. La prima domanda che mi rivolgono è sempre la stessa: “Come e dove ha ottenuto queste informazioni?”.Naturalmente gli articoli che mi presentano come la pazza di Mosca non mi fanno piacere. Vivere così è orribile. Vorrei un po’ più di comprensione. Ma la cosa più importante è continuare a fare il mio lavoro, raccontare quello che vedo.”
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