“La guerra non è che la continuazione della politica con altri mezzi”, diceva circa 200 anni fa lo stratega. “…e la finanza non è altro che la continuazione della guerra con altri mezzi”.
Dopo il trionfo del capitale sul lavoro e dell’individuo sulla società, la storia non si preoccupa più di mascherare la causa del suo divenire: il denaro/potere e la bramosia di possederlo.
Questa rubrica si ispira ai metodi di una corrente della storiografia che identifica le cause del divenire storico negli ampi movimenti economici, politici e sociali che trascendono i singoli uomini e/o che coinvolgono diverse generazioni.
Ogni contributo della rubrica riassume e “iconizza”, in antitesi con i dettami della scuola delle Annales, in un singolo fatto o personaggio l’accadimento descritto.Se volete contribuire, mandate il pezzo alla redazione.
qualcunoal fondoall’interesse materiale, ovvero economico, di un gruppo di persone a scapito di altre
Tutti i grandi personaggi storici, alla fine, sono sempre stati dei “franchisers”: Hitler del sogno/abisso tedesco della Grande Germania, Giulio Cesare dell’Impero Romano e, “last but not least”, Carlos and Smith della rabbia e delle rivendicazioni di potere delle moltitudini “niggers” negli USA di fine XX secolo.
Ma in questi primi anni di terzo millennio ci sono alcune novità.
Come detto, la politica, poi guerra, diventa “finanza” (termine tanto abusato quanto non corretto), ovvero lo scontro fra interessi economici mascherati da interessi religiosi, da diritti civili o chissà cos’altro, e si palesa esplicitamente e finalmente nello scontro fra capitali, economie.
Non piú Waterloo, ma Wall Street. Non il Rubicone, bensì la City di Londra.
E i valorosi generali non sono più “franchisers”, bensì lupi solitari che agiscono in proprio, al massimo con il supporto economico di poche decine di simili. Non più Stati, imperi, monarchie, repubbliche marinare, guardie svizzere e compagnie pedofile, ma singoli, banche, hedge funds o oligarchie trasversali, di matrice american-canton-sino-indiana. Le masse, i popoli, come sempre ai margini, a fare numero e pubblico. Ci si può però rallegrare del fatto che a loro non si chieda più il vero sangue, ma solo lacrime.
E veniamo finalmente ai giorni nostri, a questa grande crisi di cui non si ricorda più quando o dove o perché è iniziata. I “subprimes”, ed anche il debito degli stati sovrani, la speculazione di pochi ed anche le banche che stampano moneta e/o quelle che non fanno le banche ma che sono solo piazziste di sofisticati prodotti finanziari.
In realtà, quello che succede è che:
-la finanza traspone la politica/la guerra mondiale verso i Paesi emergenti che, realmente, creano ricchezza perché (sur)lavorano o perché iniziano a tenersi le proprie merci invece di cederle all’impero occidentale.
-la finanza traspone la politica/la guerra mondiale a società opulenti e statiche che creavano e consumavano ricchezza virtuale.
Ma chi sono questi “finanzieri”? Come nella guerra e nella politica, tutti noi o quasi. Il soldatino che faceva la guardia alla trincea è come il trentenne che si fa il mutuo trentacinquennale per pagarsi un tetto e dei caloriferi a un prezzo spropositato. Il dirigente che investe nel suo ricco piano pensione come il sergente che arringa i suoi fanti. L’ idraulico che per decenni ha visto crescere al galoppo i suoi risparmi comprando i BOT, come il contadino che portava i viveri ai suoi compagni partigiani in montagna.
Non ci sono piú religioni, territori, princípi o príncipi da difendere.
Solo denaro e con esso il potere che ne consegue. E il denaro, checché se ne dica, non è illimitato, tanto che molte responsabilità di questa guerra sono da attribuire senz’altro ai mefistofelici teorici della crescita infinita, a chi annullò la convertibilità dell’oro in dollari, Bretton Woods, ecc. Ma queste sono altre storie, forse solo episodi, paragonabili all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo.
Tuttavia, come in tutte le guerre, soprattutto quelle mondiali, ci sono alcune figure che risaltano. Figure possenti, che compiono gesta fuori dal comune nella pugna globale, destinate, in veste di sineddoche, a rappresentare la parte per il tutto.
George Soros
Laureatosi in economia alla London School of Economics nel 1953, nel 1956 emigrò negli Stati Uniti e lavorò in altre banche d’investimento come analista esperto in titoli europei. Stanley Druckenmiller, fido collaboratore e definito da Soros suo alter ego, disse di lui: “Mi ha insegnato che quando uno è assolutamente convinto di un affare, deve attaccare alla giugulare. Ci vuole fegato, per essere dei porci…”
Dopo una piana, oscura e modesta gavetta, nel 1967 Soros riuscì a creare due fondi d’investimento “offshore” per trarre profitto dai movimenti rialzisti sul mercato azionario. Per la legge americana, nessun cittadino degli Stati Uniti poteva investire in un fondo offshore, così la clientela dei fondi di Soros era internazionale, composta da ricchi europei, arabi e sudamericani.
I suoi soldati.
Fa soldi, Soros, ma non per umana avidità, esclusivamente perché crede di aver carpito il senso del mondo, ha capito fin dai suoi esordi, alla fine degli anni sessanta, la direzione in cui il mondo andava, orientandone anche il percorso.
Un perfetto guerriero, fortissimo nella strategia e nella tattica.
E mentre i guru specializzati nell’arrivare sempre dopo si accorgono che la finanza domina la politica, egli lo aveva inteso quaranta anni prima. Qualche suo collaboratore sostiene che spesso si sente vicino a Dio, o si immedesima così profondamente nelle sue battaglie che il punto di vista personale diviene la stella polare per centinai di investitori, filosofanti teoreti di “think tanks” e, addirittura, importanti dirigenti politici, finanziari e bancari, se non Capi di Stati tra i più potenti dello scacchiere euro-nippo-americano.
Il suo risiko.
Definito come il Robin Hood che sbancò la Banca d’Inghilterra, il gringo che indusse Ciampi, in qualità di Governatore della Banca d’Italia, a spendere miliardi di lire di riserve per arginare le sue speculazioni, l’individuo che costrinse due monete ad uscire dallo SME, il Sistema Monetario Europeo, a quei tempi (gli anni novanta) il contenitore dell’Europa unita. Sia la lira che la sterlina, sotto i colpi delle sue intuizioni e/o rivelazioni o più semplicemente informazioni riservate, dovettero ridimensionarsi e svalutarsi. La liretta divenne ancora più monetina decorativa svalutandosi del 30%.
Fu così che ottenne, durante questi due processi di svalutazione, oltre un miliardo di dollari, guerreggiò contro due nazioni e arrivò alla sua meta, di ricchezza, potere e conseguente fama. Fu accusato di aver provato a fare lo stesso gioco con la valuta malese durante la crisi delle tigri asiatiche, nella seconda metà degli anni novanta, e con lo yen, pur avendo scarsi risultati.
Prova oltre l’indizio che gli speculatori vincono e perdono, e che in finanza non ci sono buoni o cattivi, ma solo chi guadagna o chi perde. Dal soldatino coi BOT o il mutuo-casa al 100%, fino all’affondatore della liretta.
Nel mezzo, gli Stati nazionali e tutto ciò che ne dovrebbe conseguire (welfare, servizi pubblici, ecc.), intrinsecamente inadatti al conflitto finanziario, perché incompetenti e, orrore degli orrori, lenti, bloccati dai processi di burocratizzazione della democrazia. Ma chi può lamentarsi della debolezza degli Stati, quando sono più di cinquanta anni che il turbo capitalismo cresce generazioni di individualisti, in perenne “rat-race, no-matter-what”?
Soros calcola e sfrutta le tendenze cicliche sui mercati finanziari, non limitandosi semplicemente a scoprire i trend di fondo e ad approfittarne ma creando lui stesso i trend sul mercato. In sostanza Soros individua e indovina la sequenza dei ribassi e rialzi delle azioni di società, Stati, enti quotati, riuscendo a vincere sia quando questi vincono sia quando perdono, sia coi rialzi che coi ribassi.
Il guerriero George, nel tempo libero, si imbelletta col tweed del “filantropo internazionale” e, negli ultimi trenta anni, ha distribuito centinaia di milioni di dollari per creare le “Soros Foundations” in quasi tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale. Probabilmente, come tutti i più grandi guerrieri, per primo riconosce l’assurdità della guerra e la banalità delle cause della guerra (vedi sopra), e si impegna, nella pratica, a cercare “un altro mondo possibile”. Il suo lavoro, su questo fronte, ha avuto risultati concreti (nella natia Ungheria durante gli ultimi anni di dittatura comunista), altalenanti e infine misteriosi (chissà se è vera la storia del presunto riciclaggio di denaro guadagnato con la marijuana?!?). Insomma: “piuttosto che niente, meglio piuttosto”.
Come poche persone al mondo, George Soros, ad oggi, e purtroppo, è uno dei pochi che possa azzardare un’ipotesi su cosa sarà il globo dopo la Grande Crisi degli anni Dieci. Come poche persone al mondo, George Soros, ad oggi, e purtroppo, muove i fili della storia senza verosimilmente preoccuparsi delle conseguenze e senza dover risponderne a nessuno.