Inizia l’ultimo decennio del Novecento e il ventiseienne Giorgio Perrella, che ha appena ultimato la sua preparazione teorica alla vita, si accinge a entrare nel mondo del lavoro e a far parte della classe dirigente. Come lui, altri suoi coetanei cominciano a sperimentare sulla propria pelle le grandi sollecitazioni esistenziali e i primi disinganni. I loro destini si snodano in una narrazione fitta e corale, ritmata dallo scorrere veloce del tempo, venendo a formare una sorta di biografia collettiva.
Sullo sfondo, come lampi di magnesio, esplodono gli echi delle inquietudini sociali e si consuma l’era berlusconiana. Grandi avvenimenti e piccoli fatti di cronaca, balordaggini pubbliche e idiozie private: dalla caduta del Muro alle Torri Gemelle, da Maradona a Pietro Maso, dalla compravendita di parlamentari alle apparizioni di Madonne.
Sono i “rumori di fondo” che hanno accompagnato le vite degli Italiani negli anni che hanno preceduto e seguito il Duemila e che Umberto Apice racconta attraverso lo sguardo prima incantato, poi disincantato di Giorgio, un personaggio che sembra uscito da un libro di Calvino.
“Il mondo intorno non esisteva. La sensazione era di possedere un cuore supplementare, che permetteva di respirare contemporaneamente aria di montagna e di mare. E di muoversi su una passerella sospesa nel vuoto, certi di essere salvi da ogni minaccia”.
Umberto Apice – Magistrato a Milano negli anni della rivolta studentesca, e attualmente Avvocato Generale presso la Corte di Cassazione nonché presidente della Giuria del premio letterario RIPDICO – Scrittori della giustizia. Ha scritto saggi, racconti e romanzi, tra cui: Attacco al cuore (1988), Tracce confuse verso l’alba (2001), Processo a Pasolini. La rapina del Circeo (2007), Nelle stanze di Joyce (2013), Questa conoscenza ultima (2014). Quest’anno torna nelle librerie con il suo nuovo romanzo, Anni e disinganni, nel quale ricostruisce l’ultimo decennio del Novecento e i primi anni Duemila attraverso gli occhi di un aspirante giornalista, onesto e fiducioso che, scontrandosi con la dura realtà, si chiede se essere stato nel giusto non sia troppo poco.