di Giuseppe Nativo. L’anno in corso è stato proclamato come “Anno europeo dei cittadini”. A stabilirlo è stato il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea con decisione presa a novembre scorso.
La Fidapa di Ragusa, nell’ambito delle sue variegate iniziative volte a rafforzare la coesione sociale, la solidarietà, la parità tra uomini e donne, visti in un ampio respiro europeo che tiene conto del senso di un’identità comune europea tra i cittadini dell’Unione, nel corso del duemilatredici ha promosso ed organizzato una serie di iniziative culturali su tematiche europeistiche. A tale scopo si avvale della sinergica collaborazione dell’Association Européenne Des Enseignants (Aede) di Ragusa.
Per completare l’esperienza formativo-culturale maturata nel corso dei programmati eventi, il direttivo della Fidapa ha deliberato di organizzare un incontro sul tema “Prospettive e iniziative dell’Unione europea per rispondere alle aspettative dei cittadini”, presso la sede del Parlamento europeo di Strasburgo nella prima decade di luglio, in occasione della sessione plenaria, coinvolgendo i giovani, i rappresentanti delle piccole e medie imprese, le forze sociali.
La visita, programmata per la mattinata del due luglio prossimo, è stata già autorizzata dal responsabile Unità Seminari e Visite del Parlamento europeo, dott. Alfredo Alagna, che ha riconosciuto la valenza dell’impegno del gruppo Fidapa. I partecipanti saranno circa cinquanta.
Ci siamo soffermati con la presidente Fidapa Ragusa, sig.ra Giorgia Gurrieri Stracquadanio, e con il professore Salvatore Licitra dell’Aede Ragusa con i quali abbiamo intrapreso una piacevole conversazione.
Sig.ra Gurrieri, come mai il 2013 è stato proclamato “Anno europeo dei Cittadini”?
«La Commissione Europea ha inteso sottolineare il ventesimo anniversario dell’entrata in vigore del trattato di Maastricht, trattato che ha introdotto la “cittadinanza europea” ».
Professore Licitra, quali sono gli aspetti positivi della cittadinanza europea?
«Nell’accezione comune, essere cittadini europei significa poter viaggiare, lavorare, studiare, vivere in uno dei ventisette Paesi che oggi compongono l’Unione Europea. Significa anche avere il diritto di partecipare alle scelte politiche delle comunità in cui si è inseriti grazie al diritto di voto per eleggere i rappresentanti locali. Significa, infine, grazie all’articolo undici del trattato di Lisbona, godere del diritto di iniziativa, ovvero, la possibilità per tutti i cittadini europei di raccogliere un milione di firme per partecipare all’elaborazione di determinate politiche comunitarie».
Sig.ra Gurrieri, cosa si potrebbe e dovrebbe fare, a suo parere, per rendere effettiva e percepibile da parte di tutti gli oltre cinquecento milioni di residenti nel territorio dell’Unione europea questa appartenenza comune, ovvero sentirsi cittadini europei?
«Nel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 Vincenzo Cuoco mette in evidenza l’astrattismo delle idee di un ristretto gruppo di rivoluzionari e le reali esigenze delle masse popolari. Proclamare “Finalmente siete liberi” non aveva alcun senso per la maggior parte della popolazione napoletana alle prese con più gravi e reali esigenze di sopravvivenza. Certo, nulla si ripete pedissequamente, ma non vorrei che l’istituzione della cittadinanza europea col trattato di Maastricht suonasse altrettanto vacua alle orecchie degli europei».
Dunque euroscetticismo? Nessun cambiamento positivo per gli europei?
«Al contrario! Una serie innumerevole di cambiamenti positivi, per citarne solo alcuni, dai quasi settant’anni di pace, allo sviluppo economico, sociale e culturale, caratterizzano l’area europea come una delle oasi privilegiate del mondo intero. Come dimostrato, del resto, dal flusso continuo di popolazioni di altri continenti in cerca di quella dimensione di vita, a livello umano, che non trovano garantita nei loro Paesi».
Che cosa è mancato a parere suo?
«Semplificando, e nella consapevolezza di tralasciare altri aspetti altrettanto importanti, è necessario tener conto di almeno due fattori:
il primo è la mancanza di una percezione diffusa dei vantaggi arrecati dalla costruzione comunitaria ai cittadini che ne fanno parte. E’ raro, nelle conversazioni che frequentemente abbiamo con studenti e docenti, riscontrare la consapevolezza di quante e di quali opportunità l’Unione europea metta a disposizione dei giovani per la loro formazione, professionalizzazione, specializzazione, mobilità per l’inserimento nel mondo del lavoro. Forse l’unico programma di cui hanno in qualche modo sentito parlare è l’Erasmus, per il resto, buio totale. A ciò si aggiunga anche l’atteggiamento miope, per non dire in malafede, delle classi dirigenti dei vari Paesi, troppo propense ad attribuirsi tutti i meriti dei successi economici trainati dalle politiche comunitarie, e, al contrario, a scaricare sull’Unione europea tutte le difficoltà derivate da scelte talvolta impopolari. Con questo non voglio assolutamente affermare che le politiche comunitarie siano immuni da pecche. Al contrario! In un momento come quello attuale in cui la disoccupazione, specialmente giovanile, morde a sangue le carni e gli animi di tanti giovani, come vogliamo, come possiamo parlare loro di cittadinanza europea? Sarebbe questo il momento di un coraggioso intervento comunitario che assicuri a tutti il “diritto di cittadinanza”, grazie all’istituzione di un reddito minimo garantito. E’ così che si assicurerebbe all’Unione Europea la partecipazione effettiva di tutti i cittadini alle sue politiche. E’ così che si restituirebbe dignità a milioni di giovani, attualmente deprivati di ogni riconoscimento delle loro capacità, nemmeno considerati cittadini partecipi della vita del loro Paese giacché è il lavoro che dà dignità e cittadinanza.
Il secondo fattore è la volontà decisa di alcuni governi europei, in particolare quelli che hanno più voce in capitolo, di focalizzare tutte le politiche comunitarie sugli aspetti economici, sull’Europa dei mercanti, per intenderci, senza voler compiere quel passo di unione politica che solo potrebbe assicurare un futuro all’Europa».
Professore Licitra, si tratta di una visione pessimistica del futuro dell’Europa?
«E’ venuto il momento, per noi europei, di dare una lustratina a quella “ragione” che con i suoi lumi ha tanto caratterizzato la civiltà europea e favorito la sua espansione. Dobbiamo avere ben chiaro davanti agli occhi ciò che ci si prospetta. Come evidenziato nello studio della Commissione europea ”Progetto Europa 2030, sfide e opportunità”, elaborato da esperti di livello mondiale, non c’è futuro per nessuno degli Stati europei, singolarmente. All’interno di una società globalizzata, stretta tra colossi mondiali quali l’area Cina e India, quali i nuovi Paesi emergenti, tra cui Turchia e Corea, con tassi di crescita ormai inimmaginabili per l’Unione europea, l’unica nostra chance, è di rispondere come europei, senza farci tentare da apparentemente più facili e fruttuose politiche nazionalistiche e protezionistiche, peggio ancora, localistiche. Insieme, dunque, e non per vincere, ma per sopravvivere, per limitare le perdite. Forse è venuto il momento di disabituarci ai tassi di crescita di alcuni anni fa, ma non tutto il male viene per nuocere, può essere, questa, la sfida, l’occasione, l’opportunità, come evidenziato dallo studio, per progettare uno sviluppo che sia più rispettoso dell’uomo e dell’ambiente. Una sfida, quella dello sviluppo sostenibile, che noi europei siamo attrezzati, culturalmente, ad accettare e a vincere. Unica condizione: quella di essere insieme».
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