Magazine Cinema
Cinema punitivo o allegoria di una forma d’arte sempre più invasiva, simile alle pene corporali subite dalla giovane protagonista, una donna che nel giro di pochi giorni e per un motivo non meglio precisato decide di mettere fine alla sua vita durante l’ennesimo atto amoroso con un partner che come lei preferisce il sesso estremo.
Pur non risparmiandoci nessuno degli abusi e delle stranezze messe in atto dall’acrobatico duo, il film isola questi momenti e li riduce, anche dal punto di vista emotivo, all’interno di un quotidiano dove l’isolamento, l’alienazione e la mancanza di un sincero sentimento di condivisione sono il “Pasto Nudo” al quale sembra dobbiamo proprio abituarci. Un attualità ribadita anche dal punto di vista formale, per la capacità di rendere un esistenza ed il personaggio che la vive attraverso una sobrietà di mezzi davvero rara: facendo di necessità virtù e volendo rendere i labirinti mentali di una personalità allo stremo, Rowe utilizza un unico spazio scenico, la casa della donna, privandosi completamente del mondo esterno, una chimera per chi ha deciso di togliersi la vita. Così facendo, e grazie anche ad un utilizzo invisibile della macchina da presa il regista mantiene evidente la cifra realistica del suo cinema, enfatizzata dalla presenza ossessiva dell’ambiente domestico e degli oggetti che lo costituiscono, ma allo stesso tempo la trascolora con una liturgia gestuale che restituisce il mondo interiore della giovane donna.
Interpretato da Monica Del Carmen con assoluta naturalezza ed un masochismo che piacerebbe all’inventore del Dogma, “Año bisiesto” è un film apolide perchè prodotto da capitali (si fa per dire) messicani e diretto da un regista australiano, Michael Rowe; presentato alla Quinzaine de Realisateurs dell’ultimo Festival di Cannes, ha vinto la Camera D’or come migliore opera prima.
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