La frangia italiana di Anonymous inizia a interessarsi a temi ambientali. E lo scorso agosto sottrae ai database dell'Ilva dati sull'inquinamento dell'acciaieria tarantina e li pubblica in Rete. Ci racconta come è andata Carola Frediani, collaboratrice di Wired e autrice dell'ebook Dentro Anonymous - Viaggio nelle legioni dei cyberattivisti, edito da Informant. Ecco un estratto del testo.
È l’alba dell’ 8 agosto 2012 a Taranto. La città pugliese è stremata da giorni di discussioni pubbliche e prove di forza tra diversi organi dello Stato. In gioco c’è il destino della più grande acciaieria d’Europa, dei suoi oltre 11mila dipendenti, e degli abitanti di un’area che sta vivendo, per usare le parole del gip di Taranto Patrizia Todisco, una " grave e attualissima situazione di emergenza ambientale e sanitaria". […]
In questo scenario entra in campo all’improvviso un soggetto del tutto inaspettato. Quella stessa mattina infatti il sito del comune di Taranto viene defacciato. Al posto della home compare l’immagine di una città pesantemente inquinata, accanto al simbolo dell’ Ilva e a all’uomo senza testa che rappresenta Anonymous. “ Operai, cittadini siamo con voi”, si legge in una scritta. E poi, nel comunicato, rivolgendosi ai lavoratori: “ Nessuno è moralmente autorizzato a chiederti di sacrificare la vita; neanche tua moglie o i tuoi figli. Nessun ideale o bisogno materiale vale la tua esistenza. Operai, occupiamo la fabbrica e sabotiamo ogni impianto!”.
L’operazione però non finisce qui. Contemporaneamente gli anonimi sono riusciti a entrare nei database dei siti dell’Ilva, in particolare di IlvaTaranto.com e IlvaGroup.com, e a prelevare parecchio materiale. Mettono tutto online, linkandolo dal loro blog a più riprese.
Ci sono lunghe liste di indirizzi email di dipendenti, dirigenti e giornalisti, nomi di documenti interni (non linkati) riguardanti prodotti del gruppo industriale. Ma soprattutto ci sono una serie di tabelle sui valori di sostanze inquinanti emesse dalle acciaierie. Anonymous ne mette in evidenza soprattutto una sulle emissioni di furfurano, un contaminante ambientale persistente noto per la sua tossicità. Secondo gli hacktivisti, l’analisi dei dati mostrerebbe che a fine maggio 2012 i valori di furfurano immessi nell’atmosfera avrebbero superato i limiti di legge. E che l’Ilva avrebbe mascherato il dato alzando arbitrariamente il limite consentito nelle proprie tabelle.
L’ analisi dei dati rilasciati però non è semplice. Gli stessi anonimi segnalano il leak a varie associazioni ambientaliste, non ricevendo nell’immediato alcuna risposta. E i media non hanno la più pallida idea di che farsene del leak.
“ Il punto è che sono dati di difficile interpretazione per tutti”, mi spiega Alessandro Marescotti, presidente di Peacelink, associazione che ha seguito da vicino la questione Ilva, schierandosi a favore degli interventi della magistratura. “ I valori sulle emissioni rilevati dalle strumentazioni devono essere trasferiti in automatico dall’Ilva alla sede Arpa (Agenzia regionale per la prevenzione e protezione dell’ambiente, nda) di Taranto. Sarebbe interessante poter comparare i dati presi da Anonymous con quelli effettivamente trasferiti. Una delle polemiche che ci sono state in passato riguardava il fatto che l’Arpa Puglia non avesse pieno controllo sul processo di trasmissione dei dati, mentre sarebbe auspicabile che le chiavi del sistema fossero in mano all’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente”.
Resta il fatto che con quest’operazione Anonymous Italia si richiama, anche con un riferimento diretto nel suo blog, alla lezione di WikiLeaks. “ Il nostro intento non è mai stato quello spiegare i dati, né di arrivare a conclusioni - mi dice uno dei partecipanti più attivi nell’operazione, Archimedes - piuttosto quello di presentare i dati così come ci si sono presentati a noi”. […]
Entrare nei server Ilva, di per sé, non è stato difficile, almeno secondo l’autore del colpo, GreenRiot: “ Abbiamo individuato una vulnerabilità nel database, prima sul sito Ilvataranto.com e poi su RivaGroup.com, e siamo entrati con una SQL Injection. Abbiamo avuto accesso a molti database. Anche se l’Ilva era nell’occhio del ciclone da tempo, sotto inchiesta: e trovare leaks scottanti sarebbe stato difficile”.
Ma l’attacco avrebbe potuto avere anche un seguito mediatico insolito. Nei giorni concitati dell’operazione, tra i dati sottratti ai server, gli hacker sono convinti di aver trovato anche un elenco di numeri di cellulare di dipendenti dell’Ilva Taranto. Decidono quindi di inviare loro un messaggio di solidarietà attraverso un invio di massa di sms.
“ Lo sappiamo che molti operai non la penseranno come noi”, mi confida GreenRiot durante i preparativi di questa azione aggiuntiva, quando gli faccio presente che una parte dei lavoratori non vuole la chiusura degli impianti: “ La domanda è: che futuro possiamo avere in queste condizioni? Lavorare per sopravvivere e poi lavorare per morire?”.
L’incursione di Anonymous sui telefonini dei dipendenti sarebbe comunque una novità assoluta, e per una giornata si lavora dietro le quinte, anche con soluzioni tecniche piuttosto eleganti e pirotecniche, all’invio dei messaggini. Alla fine però la minioperazione salta per un motivo piuttosto banale: nella confusione dell’attacco e nella quantità di dati scaricati i numeri dei cellulari non si trovano più. “ Non dormivo da giorni”, si giustifica con un sorriso (virtuale) GreenRiot, che è attivo su molti fronti, non solo nel nostro Paese. “ A ogni modo questa è solo l’inizio di una campagna contro tutte le industrie inquinanti in Italia”.
Da tempo infatti Anonymous ha iniziato a mostrare una predilezione sempre più spiccata per tematiche ambientali. L’ Operazione Green Rights, in cui rientra anche l’attacco all’ Ilva, si interessa dell’inquinamento da acciaieria in Europa così come della costruzione di devastanti megadighe in Brasile. O, ancora, di un tema davvero poco mediatico e dimenticato dai più: il pesante tributo di vite umane pagato dall’estrazione e il commercio del coltan nella Repubblica Democratica del Congo.
Nell’agosto 2012 a essere prese di mira sono Philips e Siemens, di cui sono rilasciati online ampi pezzi di database, con molti dati sensibili, fra cui email, password e numeri di telefono; e prima ancora AVX, un’azienda che produce un’ampia varietà di componenti elettroniche. Questa è una modalità sempre più tipica di Anonymous: rilasciare leak in pubblico e chiedere agli utenti Internet, ma anche al mondo dei media, di fare le loro verifiche – e anche di dare una mano, di unire le forze per orientarsi di fronte a montagne di informazioni complesse. Una richiesta di collaborazione che a volte cade nel vuoto ma che pure potrebbe prefigurare, anche per il mondo dell’informazione, nuove modalità di lavoro e di rapporto con le proprie fonti.
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