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Insomma, il fatto è che ogni volta che vado a vedere un film di Mike Leigh, leggo la trama e ne sono affascinata, cosicché quasi automaticamente dimentico il suo passato cinematografico, il suo modo di fare cinema, l'iperrealismo un po' artritico che lo caratterizza.
Vi ricordate il tanto osannato Segreti e bugie, vincitore della Palma d'oro a Cannes? Mi ricordo la medesima sensazione un po' claustrofobica, nonostante in quel caso la sceneggiatura fosse certamente più distesa e di maggior respiro.
In questo caso eccoci qui a seguire la vita normale di due persone normali, Gerri (Ruth Sheen) e Tom (Jim Broadbent), nel trascorrere delle stagioni nell'arco di un anno. Intorno a loro ruota un'umanità varia, da Mary (Leslie Manville, straordinaria interprete) che vive con sofferenza lo sfiorire della bellezza e l'assenza di un uomo, a Ken (Peter Wight) che affoga le sue tristezze nell'alcol e nel cibo, al figlio di Gerri e Tom, Joe (Oliver Maltman), al fratello di Tom, Ronnie (David Bradley).
Leigh ama catturare momenti della vita delle persone normali, e lo fa inquadrando ripetutamente e insistentemente i volti delle persone e proponendoci le loro conversazioni, frammenti di una quotidianità che non sempre hanno un vero senso, una finalità, una dimensione epica. Ogni volta che vedo un film di Leigh (e in questo caso l'ho pensato ripetutamente) penso: "Chissà se le nostre conversazioni riprese da una camera in maniera discontinua apparirebbero così - in un certo senso - banali, o forse sarebbe meglio dire difficili da inserire in quel tessuto connettivo, in quel quadro d'insieme che dà un senso anche alla banalità del quotidiano". Probabilmente sì.
Ma allora tanto più mi disturba quella componente enfatica o affettata che attraversa in molte circostanze le scene di questo film (mi sono anche chiesta se parte della responsabilità non sia del doppiaggio). Tom e Gerri non riescono a risultarmi simpatici, né commoventi, coppia felice la cui socialità appare a volte quasi assistenziale. Il figlio Joe è un personaggio non del tutto comprensibile psicologicamente, e la sua fidanzata eccessivamente integrata per risultarmi del tutto credibile. Sinceramente, se è vero che Leigh rappresenta persone, non personaggi, la sua è una ben strana selezione dell'umanità.
Personalmente trovo che Mary sia l'unico "personaggio" capace di trasmettere il senso di una complessità reale e di un'affettività fragile ma densa e riconoscibile. Che vi devo dire? Forse al cinema mi piace vedere dei personaggi, piuttosto che delle persone reali? ;-)
Per concludere, definirei il film un Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera in chiave minimalista britannica e volutamente privo - a mio modo di vedere - di quella trama simbolica che invece è propria dei film orientali.
Insomma, non è che non ne riconosca le qualità registiche e la capacità di una storia così semplice di lasciare un segno, ma personalmente è un film che non tornerei a vedere una seconda volta.
Voto: 3/5
Comunque, guardatevi il trailer, che, nella necessità di una sintesi, finisce per essere molto più commovente perché - in un certo senso - molto più cinematografico.
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