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Antani Colucci si racconta: «La mia salsa tra folklore afrocubano e ricerca spirituale»

Creato il 25 novembre 2015 da Delpiera @PieraVincenti

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La passione innanzitutto, poi la tecnica. È questa la salsa secondo il maestro Antani Colucci – passaporto italiano, anima cubana – uno dei maggiori dei esponenti della cultura e del folklore caraibico a livello nazione ed europeo.

«Quando ballo e insegno, non mi limito alla tecnica ma cerco di seguire la tradizione, andando alle radici del folklore afrocubano – spiega l’artista – In occidente è avvenuta una transculturazione, ovvero quelli che sono gli elementi peculiari delle danze caraibiche sono stati riadattati per adeguarli al nostro modo di essere e di pensare. Così facendo, si sono persi i tratti distintivi, ad esempio, della rumba, della conga, della timba e del son, rendendoli spesso qualcosa di diverso da ciò che erano in origine. Per commercializzare il ballo e farlo diventare popolare, è stata fatta una fusione tra i vari stili e generi musicali. Il problema è che si finisce per ripetere meccanicamente alcuni movimenti senza comprenderne il reale significato».

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Il ballo, invece, per Antani è qualcosa di completamente diverso, è «ricerca spirituale, riscoperta dei sentimenti più profondi che albergano nel cuore dell’uomo, è allegria, divertimento, condivisione, ma anche studio socioculturale di un popolo».
Durante le sue lezioni, il maestro cerca di trasmettere tutto questo in modo che «chi apprende possa capire le motivazioni che si nascondono dietro un passo di danza, un gesto, un movimento. Nulla è lasciato al caso. Quando vado a Cuba per i miei studi, cerco gli anziani, quelli che hanno inventato la salsa, e mi faccio spiegare il significato sociale, culturale e religioso di ciò che balliamo».

Dentro e fuori dalla pista, Antani Colucci trasmette un’energia che cattura chi gli sta intorno. La sua umiltà e la naturale socievolezza si trasformano in performance dall’alto valore tecnico ed emozionale. La passione per il ballo brilla nei suoi occhi e in ogni passo. Si tratta di un amore sbocciato per caso, che dura ormai da oltre vent’anni. Un incontro fortuito che ha cambiato per sempre la vita dell’artista.

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«Mi è sempre piaciuto ballare – rivela Antani – da adolescente imitavo John Travolta e Patrick Swayze. Adoravo film come “La febbre del sabato sera” e “Dirty dancing”, di cui avevo i poster appesi alle pareti della stanza. Un altro film che mi ha influenzato molto è stato “Breakdance”. Poi, nel ’95 il mio professore mi ha mandato a Cuba per preparare la tesi di laurea in Agraria tropicale. Dovevo studiare ananas e canna da zucchero, sono tornato con la salsa. La prima volta che ho visto questa danza sono rimasto scioccato, era il primo ballo di coppia che vedevo e tutte quelle movenze mi hanno colpito fin da subito».

Da qui la decisione di approfondire lo studio della salsa, non solo come ballo ma come esperienza di vita totalizzante. «Ho iniziato a pormi delle domande. Vedevo che noi occidentali siamo spesso insoddisfatti, soffiamo mancanze, non ci sentiamo mai appagati. Proviamo una tristezza che spesso sfocia in estremismi come la depressione. A Cuba ho visto gente che non aveva niente, neppure il cibo, e tuttavia era felice, sorridente, in grado di gioire per ogni piccola cosa. Allora ho capito che la felicità non dipende da ciò che si possiede ma deriva soltanto da ciò che si ha dentro. A questo punto è cominciata la mia ricerca tecnica e spirituale, di cui il ballo rappresenta solo la punta dell’iceberg. Dietro c’è tutto un percorso di crescita personale, prima che professionale. Ho imparato a essere grato a Dio, o all’universo per chi non crede, per tutto ciò che mi ha dato, a non lamentarmi per ciò che non ho ma a gioire per le piccole e grandi cose di ogni giorno».

Il viaggio a Cuba e l’incontro con la sua gente e le sue tradizioni hanno cambiato radicalmente la vita di Antani Colucci, che ha detto addio alla brillante carriera verso cui si avviava nelle scienze agrarie per reinventare il suo futuro e dedicarsi interamente all’apprendimento e all’insegnamento del folklore afrocubano, che trova la sua massima espressione nella rumba. Una scelta radicale che, confessa l’artista, rifarebbe un altro migliaio di volte.
«La danza caraibica mi ha dato tantissimo. Certo, ci sono voluti un grande coraggio e una fede forte per abbandonare il mio vecchio progetto di vita e iniziare un nuovo percorso, ma non mi sono mai pentito di aver seguito l’istinto. È come se tutto fosse stato scritto per permettermi di realizzare questo progetto: se non avessi mai studiato agraria non sarei mai andato a Cuba, non avrei mai conosciuto la salsa e non sarei mai diventato la persona che sono».

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Fede è una parola che ricorre spesso nei discorsi del maestro, almeno quanto la parola sforzo durante le sue lezioni. Al termine di ogni esibizione ringrazia Dio con il segno della croce e rivela di essere cattolico ma, ci dice, «mi sono avvicinato a più culture e ho studiato diverse religioni, come l’Islam, il buddismo ecc. Fa tutto parte del cammino di ricerca spirituale di cui parlavo prima e che mi ha portato alla conclusione che tutte le religioni hanno analogie profonde, sono l’interpretazione e il desiderio di autoaffermazione dell’uomo a creare le divisioni».

È in questo percorso di crescita umana e professionale che si innesta lo studio della cultura afrocubana. «Negli anni ’90 con queste cose non si poteva fare business, in Italia non erano conosciute». Antani Colucci è stato il pioniere della salsa in Puglia, supportato dal suo amico e maestro toscano Leonardo Magrini. Da allora di strada ne ha fatta, fondando tre scuole nella sua terra e facendo incetta di premi sia come ballerino che come maestro. Tra gli altri ricordiamo i circa 150 trofei nazionali conquistati dalla sua scuola in sei anni e il primo posto per cinque anni consecutivi al Campionato Nazionale FederCaribe. Eppure, ci sono ancora tanti progetti da realizzare.
«Oltre a ballare, ballare e ancora ballare – dice l’artista – vorrei aprire un liceo della danza in Puglia, dove oltre alle materie normali si studino anche la danza e i suoi aspetti socioculturali. Al momento il progetto è in fase embrionale ma potrebbe concretizzarsi a breve».

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Antani Colucci gira l’Italia e l’Europa a passo di rumba ma c’è un luogo che gli è caro più di ogni altro: la sua scuola, la sua creatura a cui ha dato un nome particolare, la Mariposa del Caribe, la farfalla dei Caraibi. Come tutto il resto, anche questo nome nasconde un significato molto preciso, che il maestro è orgoglioso di spiegarci: «La farfalla rappresenta i diversi stadi dell’evoluzione della vita: prima è bruco, poi si trasforma in crisalide e infine nell’essere più bello del mondo, libero e colorato. Si dice che le farfalle vivano soltanto un giorno, ma hanno un segreto: sanno come morire. Perché se non si muore, non si può rinascere».

La vita, la morte, la trasformazione, ancora la vita. La salsa, dunque, diventa espressione dell’evoluzione: personale, sociale, culturale. Attraverso di essa, l’uomo impara a conoscere se stesso, a trovare la propria autenticità e scopre i suoi limiti, che non sono solo fisici ma anche spirituali. La felicità, allora, sta nella capacità di sognare, di spiegare le ali e volare via, come fanno le farfalle dopo aver avuto il coraggio di morire e nascere di nuovo.

Un grazie speciale al maestro Antani Colucci per l’amore e la passione che mette in ogni passo. Grazie per avermi trasmesso un po’ della sua conoscenza tecnica e culturale, per aver aver ballato con me e, soprattutto, grazie per avermi affidato la sua storia.

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