Il 29 marzo 1912, il capitano Scott vergava poche, tremolanti righe nel suo diario, le ultime, divenute epitaffio al tragico epilogo della spedizione britannica in Antartide. La conquista del Polo si era rivelata una sconfitta, la pianificazione accurata di mezzi ed equipaggiamento, non aveva tenuto conto delle estreme condizioni ambientali e dei conseguenti imprevisti. Al freddo e alla stanchezza, si era aggiunto, poi, il colpo morale: giunti alla meta, Scott e i suoi compagni, avevano scoperto di essere stati preceduti dal norvegese Amundsen, arrivato là un mese prima. Fiaccati e torturati dal gelo, sarebbero morti sulla via del ritorno, bloccati da una tormenta, a meno di 20 chilometri dal campo base. A distanza di cento anni, le opinioni sulla vicenda restano contrastanti. Da un lato, la celebrazione romantica dell’impresa eroica e sfortunata; dall’altro, le accuse a Scott di aver sottovalutato la situazione, mettendo così a repentaglio la vita sua, e degli uomini che lo seguivano. Si dimentica perciò che la spedizione, denominata ‘Terra Nova’, era iniziata nel 1910, impiegando un team formidabile di scienziati, esploratori e tecnici, allo scopo di raccogliere materiali ed informazioni sugli aspetti geografici, geologici e naturalistici dell’Antartide. Gran parte di questa avventura, era stata immortalata dal fotografo ufficiale Herbert George Pointing, le cui foto sono attualmente in mostra alla Queen’s Gallery, fino al 15 aprile. Il British Film Institute ha invece rieditato le pellicole originali, con commento musicale di Simon Fisher Turner, in un affascinante documentario, dal titolo The Great White Silence.
Evocazioni visive a parte, restano, come dicevamo, il significato e l’importanza scientifica dell’impresa, tutti gli aspetti meno conosciuti e il dietro le quinte della spedizione, che adesso è possibile esplorare grazie ad una mostra davvero ben fatta, in programma al Natural History Museum, fino al 2 settembre. Muovendosi attraverso la ricostruzione della baracca (il cui originale sopravvive intatto a Capo Evans, nell’isola di Ross), il visitatore può rivivere i momenti salienti della spedizione, seguendone il quotidiano, mediante foto, documenti, reperti scientifici, suppellettili, viveri, vestiario, strumenti. La mostra mira a focalizzare l’attenzione sul valore che l’impresa scientifica assume oggi, specialmente alla luce dei cambiamenti climatici che minacciano il sistema climatico dei circoli polari. Pochi sanno che Scott e i suoi uomini continuarono a raccogliere materiali anche durante il tragico viaggio di ritorno dal polo, tra cui ben 16 chilogrammi di fossili (tra cui un rarissimo esemplare di Glossopteris Indica, una felce estintasi 250 milioni di anni fa). Sorprende il fatto che non pensarono di disfarsi di questa zavorra, nemmeno quando le condizioni di sopravvivenza si resero drammatiche e impossibili. In mostra, anche la scatola di acquerelli e le meravigliose illustrazioni di Edward Wilson, realizzate a partire da schizzi e disegni eseguiti sul campo, a temperature proibitive. L’esposizione è accompagnata da un fitto programma di eventi, dibattiti e proiezioni, e rimane aperta fino alle 22.30, ogni ultimo venerdì del mese.
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