I.1 Teatro del Popolo
Mozart, Eine kleine Nachtmusik ben eseguita dall’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano nel maggio del 2006 al Teatro del Popolo di Gallarate.
Ero rilassato e tranquillo, avevo scelto di godermi quel bel programma mozartiano. Eppure non riuscivo a concentrarmi. Era la prima volta che mi accadeva di entrare in quel teatro da poco restaurato: e quegli stucchi sobri rimessi a nuovo, quel palco e quella platea continuavano a riportarmi a quando – bambino – accompagnavo mia madre dalla sarta Cozzi (la pentola col bollito e le verdure a produrre vapore a mezzogiorno) che abitava all’ultimo piano nell’altra ala dello stesso edificio. Ma soprattutto – salendo quelle scale – potevo sbirciare dall’alto i pugili che in quel teatro, trasformato in palestra, si allenavano.
Che cosa era accaduto? Che il teatro – voluto dalle associazioni operaie del contado gallaratese nel 1920, ciascuna donando l’importo di una giornata di lavoro per realizzarlo – ebbe vita brevissima: soltanto due stagioni. Perché l’edificio che lo conteneva, denominato Casa del Proletariato al civico 7 di via Palestro, il 5 settembre del 1922 venne sconvolto da un violento attacco fascista, che portò alla devastazione anche del teatro con conseguente chiusura. E poi, a partire dagli anni cinquanta, a quell’uso improprio – che la mia memoria infantile aveva indelebilmente registrato – col ring sul palco e i camerini adibiti a spogliatoi della Società Pugilistica Gallaratese “Ausano Ruggeri”.
Da adolescente avevo anche trovato il modo per intrufolarmi… le cerimonie del peso e quelle corde spesse che scendevano dai palchi coi sacchi per gli allenamenti… e fuori la mia bicicletta appoggiata al muro di fronte.
Se Mozart quel pomeriggio fece da sfondo ai miei fotogrammi viscontiani, alla Rocco, i documenti che alla sera riuscii a raccogliere in rete furono ancora più struggenti. Come questo elenco completo dei donatori del 1920:Bastonai della ditta S. D’Amici di Somma Lombardo L. 300
Affini Bottigliai di Sesto Calende (1° versamento) L. 600
Operai della Ditta G. Dolci di Somma Lombardo L. 146,60
Filatrici in seta di Sesto Calende L. 232,95
Operaie della Ditta Claudio Perrone di Somarate L. 184
Operai della Ditta Fratelli Lana di Gallarate L. 578,50
Affini vetrai di S. Anna (1° versamento) L. 400
Operaie Ditta Andreazza e Castelli di Samarate L. 49
Operaie della Ditta Aspesi e Senaldi di S. Macario L. 393
Operaie della Ditta Hermann Mosterts di Somma Lombardo L. 2062,10
Operai Ditta Berretta di Gallarate L. 300
Ferrovieri di Gallarate (1° versamento) L. 250
Operaie della Ditta Fratelli Delacroix L. 933
Operai della Ditta Introini e C. di Gallarate (reparto tintoria) L. 612
Operai della Ditta G. Bassetti di Gallarate L. 638,50
Operai del la Ditta C. Macchi di Crenna L. 2212,45
Operaie della Ditta Bettini Martora di S. Macario L. 330
Operai della Ditta Fratelli Maino di Gallarate
(Reparto Candeggio L. 659;
reparto piegatura L. 1212,50;
reparto meccanici L. 346,90;
reparto tintoria L. 326;
reparto campionario L. 325,05;
reparto magazzino L. 390,25;
reparto falegnami L. 260,90;
reparto misto L. 454)
Operai della Ditta Tosi e Daverio di Gallarate L. 1463,10
Tintori della Ditta A. Borgomaneri di Gallarate L. 211,50
Operaie della Ditta Eligio Pasta di Sesto Calende L. 153Quella notte mi addormentai pensando intensamente alle operaie della Ditta Andreazza e Castelli di Samarate: solo a loro. Che raccolsero 49 lire faticando dieci ore perché quel palco potesse esistere.
Magari, chissà, una di loro era poi diventata la madre di uno dei miei pugili.I.6 Ginnastica medica e pugilato
Avevo tredici anni: acitsannig id alas / acidem, leggevo dall’interno del vetro smerigliato che interrompeva il corridoio, nell’angolo dell’attesa. Finché non mi facevano entrare per la mia mezz’oretta di sani esercizi guidati. Perché ero cresciuto troppo in fretta e la spina dorsale doveva restare diritta.
Una noia mortale, con gli altri due sbarbati coi quali condividevo il supplizio due volte a settimana: spogliatoio, ginnastica, spogliatoio.
Finché un giorno il fisioterapista dovette cambiarmi il turno: mi mise con un portiere di diciassette anni che aveva avuto un incidente di gioco. Eravamo alti uguali. Ancora oggi, se penso al paradiso, il pensiero mi va lì.
Il portiere, di cui diventai anche amico, malgrado la sua apparente scostante ruvidezza fuori dallo spogliatoio, faceva anche pugilato, ed era appena diventato “novizio” nella palestra “Ausano Ruggeri”, che frequentava due volte a settimana.
Io però non me la sentivo di entrare nelle fila dei “canguri”, come erano definiti i ragazzini che aspiravano a praticare il pugilato: “cangurini” dai nove ai dodici anni (per i quali i corsi di preparazione consistevano solo nell’esecuzione di vari esercizi di ginnastica), mentre i “canguri” dai tredici ai quattordici anni potevano già boxare, con casco e guantoni, pur se in incontri al massimo di tre riprese di un minuto ciascuna.
Non faceva per me. Ma faceva molto per me la palestra con i suoi odori rumori sapori richiami e spogliatoi. Adoravo assistere agli incontri dei novizi (novizi A dai quindici ai sedici anni; novizi B dai diciassette ai diciannove anni).
Io aspiravo solo a respirare quell’aria.
Dovevo trovare un modo per frequentare l’ambiente senza dover combattere.
Qualche tempo dopo lo trovai. Tra le dita, invece dei guantoni, avrei infilato la penna.I.7 La nobile arte
Il 24 marzo 1963 la Società Pugilistica Gallaratese ebbe il proprio labaro benedetto nel corso di una cerimonia presieduta dal prevosto di Gallarate mons. Lodovico Gianazza; madrina Luigia Ruggeri, figlia di Ausano.
In quell’occasione feci la conoscenza del cronista sportivo locale, che doveva scrivere una piccola cronaca, elementare, un trafiletto, per la pagina di Gallarate della Prealpina. Lo aiutai a raccogliere i nomi delle autorità e dei pugili professionisti presenti. Divenni il suo assistente.
La mia passione allora era il mediomassimo Lino Matteazzi, allenato da Aldo Maistro.
Riciclato in assistente cronista sportivo, potevo intrufolarmi per reperire i dati tecnici relativi ai vari incontri, le variazioni al “peso” (la cerimonia che prediligevo) e persino chiedere brevi interviste ai pugili.
“La nobile arte”, stava scritto sotto un quadro fatto incorniciare, ai suoi tempi, da Franco Garzonio, il fondatore nel 1924 dell’Accademia Pugilistica Gallaratese. Riproduceva – lo imparai in seguito – i fanciulli pugilatori di un affresco di Thera del XVI secolo avanti Cristo, sconvolgenti nella sensualità dei loro corpi snelli con le treccine a punta.
E, accanto, ricopiata in bella grafia su carta pergamena e incorniciata, una poesia di Cesare Pavese, “I due corpi”:I due corpi si scuotono avvinghiati,
muovono cauti, scattano felini,
ristanno a tratti, alenano sudati
poi tornano all’attacco repentini.
Schermano colle braccia, che i guatati
Torsi possenti cingono. Ora, chini
sui due fianchi, si gravano i costati
e si torcono al suolo coi taurini
muscoli tesi sull’ossa crocchianti,
coi muscoli di pietra poderosi,
che, fremitando come archi scoccanti,
si danno a terra la stretta suprema,
avviluppati com’ serpi furiosi,
finché l’un sorga e sotto l’altro frema.Ma mutano i tempi e mutano le denominazioni. Chissà se i dirigenti attuali, dopo aver cambiato il nome alla Pugilistica Gallaratese, trasformandola in Thunder Boxing Gallarate, si sono premurati di conservare il quadro e quella pergamena?