Magazine Cultura
quest'oggi vi parlo di una novità in uscita che leggerò e recensirò per voi su LCdD per voi, si tratta de "La Stirpe Agortos - Prima generazione", il primo capitolo di una Saga Fantasy scritta da una giovanissima autrice italiana, già nota per la sua raccolta "Brevi monologhi in una sala da ballo di fine Ottocento", Alessandra Paoloni, qui con lo pseudonimo, Elisabeth Gravestone. In attesa di scrivere il mio personale parere sul libro, vi lascio con la scheda completa, la biografia, i links ed un assaggio del libro, buona lettura!
Titolo: La Stirpe di Agortos - Prima generazione
Autrice: Elisabeth Gravestone
Editore: Edizioni REI
Collana: Platinum Collection
Genere: Fantasy
Data di pubblicazione: Maggio 2012
Pagine: 194
Prezzo: € 16,00
Ebook € 5,00 (Standard ePub - PDF - Mobi)
ISBN: 978-88-97362-75-3
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Trama Nell'incontaminata terra dell'Egucron, Agortos, uomo di acuto ingegno e spiccata sensibilità, stringe un patto con la Dea Natura giurando che, sia lui che i suoi discendenti, si impegneranno ad approfondire la conoscenza della parte mistica e magica di quel mondo inesplorato che li circonda.
Saranno Anika e Airen, le sue figlie, le prime a dover far fronte a quella promessa. Separate da bambine, cresceranno in ambienti totalmente diversi: Airen come serva di Siderin, dispotico e spietato signore dei monti Atrùgeti, Anika nella sua casa natale a contatto con una natura misteriosa e incontaminata. Entrambe però sentiranno ben presto il richiamo di quel giuramento mantenutosi nel tempo, e nonostante le difficoltà e gli ostacoli che troveranno sul loro cammino, adempiranno al volere di Agortos preoccupandosi che le generazioni future mantengano vivo quel voto.
L'Autrice Elisabeth Gravestone (pseudonimo di Alessandra Paoloni) coltiva fin da bambina una passione quasi viscerale per la scrittura e la lettura, pubblicando fin da giovanissima poesie e racconti su riviste e giornali locali. Esordisce come scrittrice con la raccolta poetica “Brevi monologhi in una sala da ballo di fine Ottocento” con la casa editrice Il Filo, cui seguono “Un solo destino” e “Heliaca la pietra di luce” entrambi editi con la 0111 Edizioni. Attualmente collabora come scrittrice per una nota rivista femminile e per alcuni periodici indipendenti. Si ripresenta al pubblico con il nuovo romanzo “La Stirpe di Agortos”, in cui inizia un ciclo di fantasy imperniati sul rapporto mistico tra l’uomo e la natura. Prologo Tutta la terra è un’inesauribile fonte di energia e potere. Credo di averlo sempre saputo, fin da quando appresi i primi rudimenti naturali presso i monaci del monastero di Apator, nella terra dell’Eptacandro. Mi parlavano degli Dei e di come si manifestassero attraverso i doni della Natura. Ma non si può comprendere quali virtù siano nascoste tra le zolle della terra se non le si guarda con attenzione, al di là delle letture e degli insegnamenti riportati sulle pergamene e sui libri miniati. Fu così che me ne andai in viaggio alla ricerca del Potere della Terra e fu così che venni a conoscenza della parte magica del mondo. Aprii per la prima volta gli occhi sull’Egucron.
Osservai i moti del sole e della luna, il movimento delle fronde degli alberi e la crescita delle piante. Gli Dei ci avevano donato tutto ciò, e si manifestavano nei flutti dei ruscelli e tra i sibili del vento sussurrandomi verità alle quali gli uomini non volevano prestare ascolto. Il velo della realtà non può essere squarciato se non lo si desidera ardentemente. La Fede degli uomini è fragile ed effimera poiché la maggior parte di noi viene sedotta dall’inerzia e dal tedio, e l’uomo cessa di vivere nell’istante in cui si prosciuga in lui anche solo una misera goccia del suo entusiasmo. Temendo che ciò potesse accadere anche a me, dopo aver vagato per l’Egucron ed essere venuto a conoscenza che non siamo gli unici esseri ad abitarlo, strinsi un patto con la Natura pregando gli Dei che venisse accettato. Così tutta la mia vita, e quella di coloro nelle cui vene scorrerà il mio sangue, verrà consacrata alla scoperta e alla vigilanza del Potere naturale di cui il mondo è colmo. Non ci sarà uomo o donna che impedirà ai miei discendenti di seguire le mie orme, poiché verranno aiutati dal cielo e dalla terra e da tutto quello che li forma.
Io Agortos, che rinnegai mio padre e la mia famiglia per avventurarmi lungo le vie impervie del mondo, firmai quel giuramento col mio sangue.
La mia stirpe ne verrà coinvolta, riconosceranno i segni poiché essi sono stati già tracciati sulla loro via. Non temeranno di seguirli, e semmai esitassero nel farlo la Natura manderà loro dei messaggeri che li aiuteranno a ritrovare la strada. Il destino del mondo è nelle nostre mani, s’intreccia con esso e ne dipende. Questo è il più grande mistero che l’uomo abbia mai ignorato.
(dal prologo al libro di Elisabeth Gravestone, La stirpe di Agortos. Prima generazione pubblicato dalla Edizioni R.E.I.) Due Sorelle L’orizzonte era adombrato da un interminabile ordine d’alberi, e non permetteva alla vista umana di scorgere un breve sprazzo di cielo. La cortina di alberi alti dal fusto sottile formava un groviglio all’apparenza impraticabile che annientava ogni forma di coraggio, e dissuadeva chiunque tentasse di sfidare quell’intrico complesso di piante secolari. Riusciva a dissuadere chiunque, tranne Anika. Era uscita da casa presto quella mattina, non appena il sole aveva deciso di puntare di nuovo i suoi occhi sul mondo. Quello era il momento durante il quale ogni ombra si trasformava in cosa tangibile, i sogni rifuggivano come spettri e la realtà irrompeva fulminea.
Un gallo cantò in lontananza. Un piccolo stormo di uccelli si alzò in volo. Il soffio di un vento caldo le fischiò nelle orecchie, e Anika si sentì rinascere come parte di quel mondo di cui conosceva solo lo spazio circostante i colli Atrùgeti, perché mai vi era andata oltre. Si voltò a guardare il noce solitario che alla sua destra occupava, con il suo tronco tozzo e largo, un piccolo spiazzo annunciando così il bosco imminente. Lo salutò con un sorriso, come era solita fare, e parve che i rami ondeggiassero per ricambiarla. Una delle radici era fuoriuscita dal terreno, e Anika non si sarebbe meravigliata se il noce si fosse messo a camminare da un momento all’altro sulle sue gambe lunghe e contorte. “Gli alberi parlano e si muovono” queste parole ricorrevano ripetutamente sul manoscritto dalla copertina di pelle marrone che il padre le aveva lasciato, assieme ad altre svariate pergamene, come unica eredità. “Tutta la natura, dal più piccolo virgulto alla più grande delle rocce, vive davanti ai nostri ciechi occhi.” Superato il noce solitario, il bosco si materializzò di fronte ad Anika come un’onda di acqua verde sprizzata dalle profondità della terra. La ragazza imboccò uno dei tanti sentieri che conosceva e che portava dritto al margine destro. In quel punto sapeva che gli alberi lasciavano entrare i raggi del sole e la penombra veniva scacciata via. Anika s’incamminò, stringendosi nelle spalle. Prima di giungere in quel punto, avrebbe dovuto attraversare un sentiero costeggiato da alberi altissimi; questi creavano, con le loro cime congiunte le une alle altre, un lungo e stretto tunnel ombroso al quale i suoi occhi erano abituati. Il terreno si sarebbe presentato accidentato e difficile per chi non lo avesse mai praticato, ma Anika in quel luogo era perfettamente a suo agio. Gli alberi non la sfioravano, i rami a terra non le erano di intralcio, gli animali restavano indifferenti al suo passaggio: sembrava quasi che Anika e la natura di quel luogo fossero entrati perfettamente in simbiosi.
Camminò indisturbata e in silenzio nella penombra; si arrestò solo quando le parve di udire un rumore alle sue spalle. Si mise in ascolto e le sembrò di udire degli zoccoli calpestare il terreno. Le vennero allora alla mente ancora parole di Agortos: “… e vidi creature composte da un corpo equino e busto umano”. Anika non sapeva cosa suo padre volesse dire esattamente con quelle parole, e poiché il rumore non si ripeté riprese a camminare convinta di averlo solo immaginato.
Le ci volle del tempo prima di uscire dal tunnel ombroso. Avanzò svelta con le braccia strette al petto che sorreggevano una sacca intelaiata di stoffa bianca. I lunghi capelli biondi non le davano fastidio perché come ogni mattina li aveva raccolti in un drappo grigio fermato saldamente sulla testa da un fermaglio di citrino giallo brillante; era stato suo padre a donarle quella pietra tantissimo tempo prima.
Il tunnel s’interruppe, e Anika dovette socchiudere gli occhi perché la luce del sole l’accecò: all’improvviso si era fatto giorno. Nonostante fosse oramai abituata a quello spettacolo, la radura circolare la pietrificava ogni volta: un mantello di fiori colorati e immobili accoglieva il visitatore invitandolo a tuffarsi come in un mare calmo e limpido, dove il fondo era la terra. Anika respirò a pieni polmoni: quei profumi erano corroboranti e rischiaravano la mente. Poi posò gli occhi su un gruppo raccolto di piante verdi e basse; formavano un cespuglio al centro del manto colorato, una chiazza verde scuro attorno alla quale gli altri fiori sembravano far da corolla. Vi si diresse senza esitare ancora. Quando arrivò al centro del mantello colorato, si chinò per raccogliere le piante che le occorrevano. All’apparenza potevano sembrare tutte uguali, ma un occhio esperto e attento come il suo sapeva oramai riconoscerle. Raccolse così con le dita qualche foglia di maggiorana. Un forte odore aromatico subito le riempì le narici. Aprì la sacca intelaiata e vi infilò le foglie, riponendole senza troppa cura; non le sarebbero servite intere. Quindi si rialzò e si guardò attorno. Un gruppo sparpagliato di mughetti bianchi si trovava esattamente alla sua sinistra. Aveva letto su uno dei libri di suo padre che i mughetti, se presi nelle dosi sbagliate, potevano rivelarsi dannosi per l’uomo. Eppure quei fiori dalle piccole campanelle bianche potevano essere allo stesso tempo preziosi per la salute di Ierèa, sua madre. Anika si chinò per raccoglierne alcuni. Li ripose nella sacca, ponendoli questa volta in uno scompartimento che aveva cucito sul davanti. Richiuse accuratamente la sacca, e si avviò per ripercorrere a ritroso il tunnel tra gli alberi. Pensò che sua madre doveva essersi svegliata oramai. Ierèa era da tempo malata. Quella notte, sconvolta dalla tosse e da terribili convulsioni, non aveva quasi chiuso occhio costringendo lei e Feude a organizzare lunghi e faticosi turni per assisterla. E proprio in compagnia di Feude l’aveva lasciata quella mattina, un’anziana donna vedova da tempo e senza figli che conosceva Ierèa da anni e che si era offerta di aiutare Anika in quel terribile momento. Sebbene Anika avesse studiato a fondo i libri di suo padre, non vi aveva trovato alcun rimedio per guarire Ierèa da una malattia della quale non conosceva neppure il nome, e nessun rimedio naturale l’avrebbe salvata. Anika lo sapeva. Nessun fiore o pianta o roccia della terra l’avrebbero guarita. Si arrestò di colpo quando aveva percorso già metà del tunnel naturale. Le parve di aver udito ancora uno scalpiccio tenue di zoccoli sul terreno. Si voltò: l’oscurità del tunnel rendeva il manto colorato solo un ricordo. Il rumore non si ripeté, e Anika si convinse di averlo di nuovo immaginato. Tornò allora a camminare: era certa sua madre la stesse aspettando già sveglia.
In realtà Ierèa quella mattina non avrebbe rivisto il giorno.
(dal prologo al libro di Elisabeth Gravestone, La stirpe di Agortos. Prima generazione pubblicato dalla Edizioni R.E.I.)
Links Utili Blog dell'Autrice La fanpage de La Stirpe di Agortos su Facebook Forum della Stirpe Sito della Casa Editrice R.E.I.
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